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La Vergine del Carmine a Napoli: la festa tra storia, leggende e fede

L'Anno santo del 1500 e la confraternita dei cuoiai

L'Icona della Madonna del Carmine di Napoli  |  | pd L'Icona della Madonna del Carmine di Napoli | | pd

E’ una Napoli calda e solare quella del 16 luglio. Donne e uomini, piccoli e grandi, si ritrovano in una delle più famose piazze della città, adiacente alla chiesa della Vergine del Carmine, per rendere omaggio alla Mamma Celeste: è Piazza del Mercato, leggendaria agorà partenopea, che accoglie da secoli  una delle più importanti feste della tradizione popolare.

’A mamma d’o Carmene ce fa a grazia!”, questo il grido dei fedeli che,  uscendo dal santuario, si riversano numerosi in questo luogo. La scena è magistralmente descritta dal poeta e drammaturgo del Novecento Ernesto Murolo in una sua commovente poesia dal titolo O miercurì d'a Madonna 'o Carmene: “Guardano tuttuquante,/ cu”e ccape dint”e spalle,/ ‘ncopp”Aldare Maggiore/ addò, una mass”argiento,/ mentre s’aspetta ‘a benediziona,/ cu ll’organo ca sona,/ luce, fra cere e ncienzo,/ ‘o Sacramento”.

Dietro a questa grandiosa “scenografia teatrale”, vi è un’antica storia; dietro a questa atmosfera intrisa di fede e di devozione, ci sono personaggi, uomini, episodi storici che hanno fatto di questa tradizione popolare una delle più conosciute a Napoli e nel mondo. 

Tutto ebbe inizio nell'Anno Santo del 1500, quando la confraternita dei Cuoiai condusse a Roma il Crocifisso presente nel santuario e l'icona della Madonna Bruna, chiamata così per il colore scuro della pelle. Tale effige, per tutti i napoletani, rappresenta la Vergine del Carmelo. Nel corso di questo pellegrinaggio, si narra che vi furono moltissimi miracoli di guarigione. L'icona rimase a Piazza San Pietro per tre giorni: una moltitudine di fedeli accorse a venerarla, saputo degli innumerevoli miracoli operati. Essendo la folla così numerosa, Papa Alessandro VI fu costretto a ordinare il rientro immediato dell'immagine a Napoli. Federico d'Aragona, l’allora Re di Napoli, vedendo un così grande affetto del popolo napoletano verso tale immagine, stabilì che un mese prima della festa del Carmine, tutti i malati del regno si recassero al santuario per chiedere il miracolo della guarigione. 

Ma la storia del pellegrinaggio, è solamente una delle tante vicende che s’intrecciano con la storia di questo santuario. E’ impossibile non ricordare quella del miracolo del crocifisso avvenuto nel XV secolo durante la lotta per il dominio di Napoli tra il popolo degli Angioini e degli Aragonesi. All’epoca era regnante Renato d'Angiò, che aveva posizionato le sue artiglierie a difesa della città, proprio nel campanile del santuario del Carmine. Il luogo sacro era stato trasformato in una vera e propria fortezza. Un giorno, in particolare, è ormai inscritto in questo racconto: il 17 ottobre 1439, quando Pietro d’Aragona ordinò di dar fuoco a una grossa bombarda, pezzo d’artiglieria dell’epoca, detta la Messinese: una grossa palla d'artiglieria ancora oggi viene conservata nella cripta della chiesa stessa. La sfera sfondò l'abside dove era posizionata l’opera lignea, ma si narra che, per evitare di essere colpito, il Cristo del Crocifisso abbassò il capo sulla spalla destra, così da non subire alcun danno. Il giorno successivo, mentre Pietro d’Aragona dava ordini di azionare nuovamente la Messinese, un colpo - partito dal campanile - gli recise il capo. Fu Re Alfonso, allora, che per riparare al deplorevole gesto del fratello, fece costruire un sontuoso tabernacolo in onore del Crocifisso, dove fu accolta l'immagine miracolosa della Vergine del Carmine. Era il 26 dicembre del 1459.

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Da allora ogni anno - dal 26 dicembre al 2 gennaio - il quadro viene svelato per permetterne la venerazione. E’ da questa vicenda che nasce la tradizione dell’ “incendio del campanile”, rievocazione storica dell’evento.

Ma nella vicenda se ne inserisce un’altra; e a questi personaggi, un altro volto della storia di Napoli, si aggiunge all’affascinante cronistoria: è quello di Masaniello, protagonista dell’insurrezione che vide insorgere la popolazione napoletana  (7-16 luglio 1647) contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Ai tempi di Masaniello vi era l'usanza, per rievocare i fatti storici accaduti nel 1400, di fingere un attacco a un fortino in legno costruito proprio in Piazza del Mercato: i Borbone, sovrani di Napoli, omaggiavano la Vergine, regalando ogni anno due barili di polvere pirica per gli spettacoli di fuochi artificiali in suo onore.

Masaniello, decise di dare inizio alla rivolta proprio durante i preparativi della festa del Carmine. Nella Cronistoria del Real Convento del Carmine Maggiore di Napoli, redatta da Padre Pier Tommaso Moscarella, troviamo scritto, infatti: “Principiò il tumulto nel dì 7 di Luglio coll’occasione della festa del Carmine, in cui era costume di farsi nella Piazza del Mercato un Castello, e questo poi alla militare si saccheggiava; Masaniello per ciò secondo il solito fece una compagnia di ragazzi in numero di quattrocento che portavano per armi una cannuccia”. Ed è in quell’occasione che accadde qualcosa di incredibile. Durante la rivolta, Masaniello, sentendosi in pericolo, cercò protezione nella chiesa di Piazza di Mercato, e lì interrompendo la celebrazione della messa, si spogliò delle vesti, dando scandalo. I frati lo invitarono a porre fine a quel folle gesto. Egli obbedì, ma fu raggiunto da quattro colpi per poi essere decapitato.

A distanza di poche ore dalla morte, il popolo napoletano però si rese subito conto dell'errore che aveva commesso e così ne raccolse il cadavere - precedentemente gettato tra i rifiuti della città in un fosso tra Porta del Carmine e Porta Nolana  - lavandolo nelle acque del Sebeto, per poi ricongiungere la testa con il corpo, successivamente portato in processione. Al termine di tutto ciò, Masaniello fu sepolto all'interno della chiesa del Carmine, dove rimase fino al 1799. 

E oggi cosa rimane di questa affascinante storia? Lo sanno bene i cittadini napoletani che ad ogni 15 luglio, vigilia della festa della Vergine del Carmelo, si ritrovano tra Piazza del Mercato e Piazza del Carmine, ad osservare l’imponente e luminosa rievocazione dell’incendio del campanile. Infatti, alle ventidue precise del 15 luglio di ogni anno, si spengono le luci della piazza e ha inizio lo spettacolo: girandole colorate prendono vita nella piazza;  i bengala colorati disegnano la scritta “Napoli devota alla Madonna Bruna”; un razzo - chiamato dai tecnici “'o sorece” (il topo) parte da un vicino terrazzo del santuario per colpire il piano delle campane e, in un turbinio di esplosioni, ha inizio l' “incendio pirotecnico”; piogge colorate rivestono l'intera mole del campanile tanto da illuminare a giorno il tutto. In ultimo, si accende la croce in cima al campanile (posta a 75 metri di altezza) e così, mentre infuria l'incendio, una stella luminosa accompagna l'immagine della Madonna, che, salendo verso il campanile, doma e spegne le fiamme. 

Vivere questo momento vuol dire, per il popolo napoletano, ritrovarsi sotto il manto della Vergine. In questi istanti di festa, le pagine di storia della città di Napoli s’intrecciano a quelle della fede e devozione popolare più viva. Tutto si accende d’incanto. Tutto brilla di fiamme d’amore per la Mamma Celeste. Oggi più che mai questa devozione rappresenta l’anima semplice della grande tradizione della fede. Rievocare questi episodi vuol dire ricordare, fare memoria di un passato che rivive nei volti dei devoti di oggi. In poche parole: fare in modo che la tradizione non vada perduta. Oggi, così come è stato ieri. 

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