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L'Arcivescovo Battaglia lancia il patto educativo per Napoli

“La scia di sangue che ha attraversato la città - ha detto l'Arcivescovo di Napoli - non può lasciarci indifferenti e inermi ad attendere chi sa cosa"

Monsignor Domenico Battaglia, Arcivescovo di Napoli |  | Arcidiocesi di Napoli Monsignor Domenico Battaglia, Arcivescovo di Napoli | | Arcidiocesi di Napoli

I bambini, i ragazzi e i giovani sono la cosa più sacra di Napoli, una reliquia del suo futuro, il germoglio del suo presente, il bene più importante”. Lo ha detto l’Arcivescovo di Napoli, Monsignor Domenico Battaglia, incontrando in Cattedrale gli aderenti al patto educativo per la città.

Il patto educativo – ha osservato il presule – è “una necessità, un’urgenza, un percorso condiviso da tanti sognatori che nel mettersi insieme, indipendentemente dai mondi di provenienza e dalle differenze culturali, decidono di dar vita ad un sogno comune. Ma il nostro essere insieme è anche molto di più, perché nel decidere di camminare l’uno con l’altro per il bene dei piccoli, superiamo i recinti del sogno e ci ritroviamo ad essere segno, segno concreto di attenzione alle giovani generazioni, segno di responsabilità nei loro riguardi, segno capace di aggregare altri sognatori in questo camino comune che ha come obbiettivo il bene dei nostri ragazzi”.

Questo percorso – ha auspicato – non sia “il cammino solitario di una realtà, foss’anche la Chiesa, ma un processo fatto di incontri inclusivi, di reciproche contaminazioni, di continui confronti tra istituzioni, realtà ecclesiali, mondo della scuola, università, enti del terzo settore, associazioni e società civile affinché i bambini, i ragazzi e i giovani di Napoli possano essere rimessi al centro delle politiche educative e del dibattito cittadino. È giunto il tempo della responsabilità costruttiva e per questo ora più che mai serve un patto educativo capace di generare una cultura dell’inclusione, affinché nessuno sia lasciato indietro, né oggi né mai”.

La scia di sangue che ha attraversato la città, procurando la morte a delle giovani vite e terrore e angoscia a interi quartieri, strade, famiglie – ha proseguito l’Arcivescovo - non può lasciarci indifferenti e inermi ad attendere chi sa cosa: ognuno deve sentirsi interpellato dal grido della città, ognuno deve dare il proprio contributo alla vita della comunità, ognuno deve essere per le nuove generazioni un segno di speranza e di resurrezione, a partire dal proprio ambito, dovere, ruolo”.

Bisogna battersi contro l’emarginazione che – ha sottolineato – “è un problema eminentemente culturale ed educativo e comporta l’impegno di intere comunità per colmare quel divario tra le condizioni di emarginazione ed una vita civile accettabile”.

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L’obiettivo specifico del Patto Educativo – ha spiegato ancora Monsignor Battaglia - deve essere quello di promuovere quelle forme di accompagnamento, cura e partecipazione di ragazzi e giovani e delle loro famiglie, adeguate a contrastare il degrado umano conseguente alla condizione di emarginazione sociale e povertà economica e morale. Ed è necessario che nelle situazioni più delicate e multiproblematiche le famiglie siano affiancate nella cura educativa da persone appassionate, formate, esperte di relazione, corresponsabilità e capaci di coinvolgimento. Non possiamo più voltarci dall’altra parte. Non possiamo passeggiare per la nostra Napoli, incontrare i volti di tanti bambini abbandonati a sé stessi e passare oltre, come se non fossero figli nostri, come se la loro cura non dipendesse anche da noi”.

Pertanto Monsignor Battaglia ha proposto dunque di “ripartire dall’etica della cooperazione, costituire in ogni municipalità o territorio un Tavolo Educativo , costituire una Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative, affidare all’ Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative inclusive la costruzione di un sistema digitale capace di monitorare la dispersione scolastica in tempo reale e di intervenire immediatamente nel momento stesso in cui la vita di un minore si immerge nell’invisibilità, valorizzare la scuola non solo come luogo di apprendimento, ma come laboratorio sociale e comunità educativa partecipante, diversificare e individualizzare i progetti e le azioni educative, investire su specifici processi di formazione degli educatori per implementare le competenze relazionali e pedagogiche”.