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Linguaggi Pontifici, la nascita della Cappella Papale

Il cerimoniale vaticano di oggi è anche debitore del periodo avignonese della Chiesa

Cappella Papale | Una celebrazione della cappella papale  | Vatican News Cappella Papale | Una celebrazione della cappella papale | Vatican News

Agostino Patrizi Piccolomini, grande maestro di cerimonie del XV secolo e nipote acquisito di Papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, ha lasciato testi particolarmente importanti sul cerimoniale di Curia romana, nonché testi che sono all’origine di alcuni elementi del ricevimento di sovrani o capi di Stato E in particolare, in un testo sul ricevimento di Federico III, si legge che “la cerimonia non è niente altro che l’onore dovuto a Dio e agli uomini in ragione di Dio”. È una chiave di lettura fondamentale per il linguaggio pontificio.

La cui tradizione, spiega monsignor Stefano Sanchirico, per anni prelato d’anticamera di Sua Santità nella Prefettura della Casa Pontificia, “nasce da duemila anni, si sedimenta anche in gesti, in istituti, in parole, che anche quando nel loro uso scompaiono, lasciano sempre delle tracce profonde”.

Così – continua monsignor Sanchirico - cerimoniale e protocollo papale sono “religiosi” e “hanno un radicamento religioso, anche in quella che è la parte civile”, perché “il Papa si visita sempre in una doppia veste”, vale a dire “come capo di una istituzione che è riconosciuta nella sua personalità giuridica internazionale, ovvero come di Stato”, ma anche come “successore di Pietro”.

Non si visita solo il Papa, si visita una storia. In questa visita il pellegrino, il fedele o il semplice visitatore incontrano due realtà: la Cappella Papale e la Famiglia Pontificia.

Cosa è la Cappella Papale? Monsignor Sanchirico spiega che si tratta, nell’accezione che si conserva ancora oggi di “un termine relativamente nuovo, che ha circa 700 anni e viene dal periodo di residenza dei Papi ad Avignone”. Insomma, “Quando i Papi andarono ad Avignone, non dimenticarono di essere Vescovi di Roma. Questo significava sul piano liturgico e sul piano cerimoniale una cosa fondamentale: riprendere tutta la tradizione romana liturgica all’interno di un ambiente nuovo, dove non c’erano più i luoghi della tradizione: le celebrazioni romane che il Papa compiva nelle chiese dell’Urbe passarono nelle cappelle di palazzo e divennero così le cappelle papali”.

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Prima, il Papa aveva un calendario istituzionale di celebrazioni fisso, che toccava tutta Roma, secondo quella che veniva definita liturgia stazionale (basti pensare alla tradizionale prima stazione Quaresimale che ancora si fa nella Basilica di Santa Sabina all’Aventino), che includevano anche cerimonie riguardanti il governo civile della città.

In Avignone, queste celebrazioni sono state trasferite nel Palazzo Pontificio, e si sono adattate, trasportate nella cappella di palazzo, mentre il Papa ha cominciato a celebrare in modo continuativo con un clero stabile, e non quello delle stationes.

La Cappella Papale non si chiude con il rientro del Papa a Roma, ma invece viene integrata. Spiega Monsignor Sanchirico: “Una parte delle celebrazioni rimasero in cappella, la Cappella Sistina in Vaticano, successivamente la Cappella Paolina in Quirinale, ma altre furono riprese nelle chiese stazionali”. Una situazione ibrida che è durata fino al 1870, quando poi Roma fu conquistata dai Savoia. A quel punto, e fino al 1929, la Cappella Papale si ridusse solo alle celebrazioni in Sistina e a qualche celebrazione nella Basilica vaticana.

 

(3 – continua)