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Per gli ultimi e i più deboli: in Vaticano si studiano le patologie rare e neglette

Conferenza stampa  | La conferenza stampa di presentazione della XXXI conferenza internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari, Sala Stampa della Santa Sede, 7 novembre 2016 | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa Conferenza stampa | La conferenza stampa di presentazione della XXXI conferenza internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari, Sala Stampa della Santa Sede, 7 novembre 2016 | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

L’ultimo evento organizzato dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari è una Conferenza Internazionale (la 31esima) su “Una cultura della Salute accogliente e solidale a servizio delle persone affette da patologie rare e neglette”. L’evento si tiene dal 10 al 12 novembre, e racconta la solidarietà della Chiesa verso gli ultimi e i più deboli, perché le malattie rare sono quelle meno oggetto di studio.

È anche questo parte di quello sforzo per lo sviluppo integrale che convergerà nel Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale, che sarà attivo a partire dall’1 gennaio. Perché l’impegno per gli ultimi è sempre stato nelle corde della Santa Sede.

In particolare, si parlerà di “malattie tropicali neglette” e malattie rare”, un ambito “inconsueto”, sottolinea padre Augusto Chendi, sottosegretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari sulle Patologie rare. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una malattia è considerata rara quando colpisce una persona su 2000 (e sono comunque 8 mila quelle riconosciute come rare), e quelle neglette sono “condizioni che infliggono gravi oneri sanitari sulle persone più povere del mondo”.

Mons. Jean-Marie Musivi Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio, ricorda che ci sono oltre 1 miliardo di persone affette da malattie neglette, e la maggior parte di questi sono bambini, per la maggior parte diffuse in Paesi dell’Africa dove i bambini non hanno accesso all’acqua potabile e a condizioni di igiene adeguate.

Si tratta – spiega mons. Mupendawatu – “di una sfida importante”, anche “culturale e socio-politica” con chiaro riferimento agli impegni di tutti a livello globale.

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Come lavora la Chiesa in Africa? Alcune cifre sono state fornite qualche tempo fa dal Cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e prossimo prefetto del nuovo dicastero, che in un recente convegno ha quantificato le strutture sanitarie della Chiesa in Africa, dove – secondo dati aggiornati al 2014 - la Chiesa ha 1298 ospedali, 5256 dispensari, 29 lebbrosari, 632 case di riposo per anziani, disabili o persone con malattie croniche.

Monsignor Mupendawatu sottolinea che “nel mondo della sofferenza e della salute c’è stata e c’è sempre la Chiesa. Da quando abbiamo cominciato la conferenza stampa ci sono almeno 3-4-5 nuovi dispensari o maternità che sono aperti da missionari, anche in un posto poco conosciuto nel mondo. Ancora oggi, in alcuni Paesi, la Chiesa supplisce alla mancanza di presenza delle istituzioni. Pensiamo solo a quello che è stato fatto per combattere l’Ebola in Sierra Leone, Guinea, Liberia”.

La cura delle malattie rare è “opera di misericordia corporale”, c’è una urgenza di misericordia “specialmente per i decisori sanitari”, afferma monsignor Mupendawatu, che sottolinea che ci sono oltre 200 partecipanti ad una conferenza che avrà anche una mostra collegata.

Quale è il filo conduttore dei lavori? Mons. Mupendawatu le sottolinea in tre parole: riformare, curare e custodire. In pratica, si tratta di andare a rivedere i sistemi, curare la persona umana, custodire l’ambiente. L’approccio è quello di una ecologia umana, che miri proprio all’aiuto degli ultimi.

“Le malattie tropicali neglette – dice padre Chendi – pur nella dimenticanza dei mezzi di comunicazione sociale e di gran parte dell’opinione pubblica, incidono su un numero considerevole di popolazione povere e vulnerabile, che solitamente vivono in zone rurali tra le più remote del mondo, nelle zone di conflitto e nelle baraccopoli urbani”.

Sono patologie che sono “pressoché debellate” nei Paesi ad alto reddito, cui ha dato voce solamente la Chiesa con una “poco conosciuta opera capillare sul campo”, e una “risonanza incisiva come animazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni specificamente preposte alla salute nel contesto nazionale e internazionale”.

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Per quanto rare, le malattie vanno affrontate e i malati curati, e la Chiesa non manca di ricordarlo “alla scienza, come ai legislatori e ai responsabili socio-economico, di porsi al servizio del bene comune, particolarmente nel farsi carico anche di patologie ‘rare’, per le quali il solo investimento finanziario per la ricerca difficilmente potrà essere adeguatamente compensato da un congruo ritorno economico”.

 

Il tema è quello dei “farmaci orfani”, che non “incontrano l’impegno nella ricerca e l’interesse economico delle industrie del farmaco” perché vanno a curare malattie molto rare e infrequenti.

 

Il Dottor Marco Tartaglia, Responsabile dell’Area di Ricerca Malattie Genetiche e Malattie, sottolinea che “in passato non si è molto investito sulle malattie rare, ma ora la tendenza sembra cambiata”. E il Dott. Claudio Giustozzi, Segretario Nazionale dell’Associazione Culturale “Giuseppe Dossetti: i Valori-Sviluppo e Tutela dei Diritti” ONLUS ricorda che già nel 2003 in Italia c’è stata una proposta di legge per le malattie rare, ma chiede che si debba instaurare “un tavolo di lavoro indipendente dove le associazioni abbiamo un peso dove si possa indicare la strada giusta. Questa è la fotografia del nostro Paese e il nostro Paese è evoluto”.

 

Alla fine, la cura delle malattie rare e neglette, l’impegno per gli ultimi anche se non economicamente rilevanti, rimandano ai principi di “solidarietà” e “sussidiarietà” della Caritas in Veritate. È una società che si occupa degli ultimi che crea il bene comune, e, dunque, la pace.