Advertisement

Quel sacerdote morì in un lager. Ora c’è un monumento che lo ricorda

Il beato Omelyan Kovch, sacerdote greco – cattolico, morì nel campo di concentramento di Majdanek. Il 3 ottobre, davanti a quel campo di concentramento, è stata inaugurata una grande statua che lo ricorda

Monumento Beato Kovch | Un momento dell'inaugurazione del monumento al Beato Kovch | Chiesa Greco Cattolica Ucraina Monumento Beato Kovch | Un momento dell'inaugurazione del monumento al Beato Kovch | Chiesa Greco Cattolica Ucraina

È un monumento in pietra, che sembra quasi accoglierti, quello che è stato posto a Lublino, in Polonia, davanti al campo di concentramento di Majdanek. È il monumento dedicato al Beato Omelyan Kovch, sacerdote greco-cattolico, padre di sei figli.

Era finito in quel campo di concentramento perché aiutava gli Ebrei. E le sue lettere da Majdanek mostrano la sua straordinaria fiducia nell’umanità, il suo amore per Dio, la sua testimonianza. A lui, fu dedicata anche la preparazione della visita di Papa Francesco nella Basilica di Santa Sofia a Roma,nel 2018.

Beatificato insieme ad altri 25 da San Giovanni Paolo II nel 2001, Kovch era nato a Kosmach nel 1884, ed era stato parroco dal 1921 al 1943 nel villaggio di Permyshliany, e poi in Przemysl. Padre di sei figli, si dedicava molto all’assistenza di poveri e di orfani.

La Gestapo lo arrestò nel 1943 (alcune fonti dicono nel 1942), dopo aver scoperto che questi aveva fornito agli Ebrei più di 600 certificati di battesimo per salvare loro la vita. Morto nel campo di concentramento di Majdanek, è stato proclamato “Giusto di Ucraina” del Consiglio Ebraico della Nazione.

È proprio davanti al campo di concentramento dove morì, nella città di Lublino, che è stata inaugurata la statua in onore del beato. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in una lettera inviata a nome di Papa Francesco, ha scritto che “il beato sacerdote e martire ha percorso fino in fondo la strada della vittoria. È la strada che passa dal perdono alla riconciliazione, e che conduce alla luce sfolgorante della Pasqua”. Il Segretario di Stato vaticano ha anche esortato a non fare andare perduta “la memoria di padre Kovch”, perché “essa è benedizione”, e costituisce segno di speranza “per i tempi odierni e per quelli che verranno”.

Advertisement

L’inaugurazione della statua è stata preceduta da una Divina Liturgia celebrata da Sua Beatitudine Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, .

Questi ha ricordato che “24 anni dopo la morte del Beato Kovch, il patriarca Josyf Slipyi, liberato dall’esilio, scrisse una lettera a Paolo VI a nome di gerarchi e sacerdoti perseguitati e relegati nel sottosuolo della Chiesa Cattolica Ucraina per chiedere la sua beatificazione”, cosa che dimostra come da subito padre Kovch avesse mostrato qualcosa di speciale, un fenomeno che “nasceva dal potere dello Spirito che lo permeava”.

L’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha notato che il beato Kovch, attraverso “la sua visione ultraterrena del campo di sterminio”, ha dimostrato che “l’inferno in terra che era Majdanek poteva essere vissuto in vari modo”. E così, sebbene provasse anche lui “dolore ed esaurimento, cercò comunque di portare sollievo e sostegno compagni di prigionia sofferenti e umiliati dalla meschinità delle guardie del campo”, e in una delle sue lettere ha persino chiesto di pregare “per i creatori dell’ideologia della violenza e dell’illegalità”, mettendo in pratica il suo pensiero convinto che “è possibile vincere l’odio solo con l’amore, e vincere il disprezzo con il perdono e la misericordia”.

Inaugurando il monumento, Shevchuk ha ricordato “l’esempio di umanità” rappresentato dal Beato Kovch nel campo di concentramento di Majdanek, definendolo “una figura che incarna l'idea del dialogo e della riconciliazione tra le nostre nazioni, tradizioni e religioni. Ci aiuta a comprendere le sfide che devono affrontare i cristiani Oriente e Occidente nel mondo moderno”.

Sua Beatitudine ha infine esortato affinché “la figura del Beato Kovch ci incoraggi a tenere un comportamento umano anche in condizioni estreme”.