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All'ONU, la Santa Sede certifica che "Dio non è morto"

Nazioni Unite | La sede delle Nazioni Unite di New York | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa Nazioni Unite | La sede delle Nazioni Unite di New York | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Dare la notizia della "morte di Dio" è stato "piuttosto prematuro", dato che i media secolari sono pieni di notizie che riguardano eventi legati alla religione. Ma questi eventi “non riguardano quello che le persone di vera fede avrebbero voluto sentire”. Le cose fatte “in nome della religione”, compresa la violenza in nome di Dio, sono infatti parte delle notizie di ogni giorno. L’analisi, amara, è fatta dall’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Il quale indica anche una “road map” per uscire fuori dall’impasse.

Si tratta di sei principi, che l’osservatore ha delineato lo scorso 6 maggio ad un tavolo delle Nazioni Unite su “Armonia tra le fedi: promuovere il dialogo interreligioso e la tolleranza, così come una cultura della pace”.

L’arcivescovo Auza si mette così sulla scia dei temi del dialogo e della cultura dell’incontro delineata da Papa Francesco sin dall’inizio del Pontificato e quindi reiterata nel recente incontro con la delegazione del Royal Institute for Interfaith Studies lo scorso mercoledì.

Si parte dal “totale e incondizionato rifiuto della violenza in nome della religione”, perché “nessuno può considerarsi un vero credente” se “pianifica o porta a compimento atti di violenza”. L’osservatore ricorda che Papa Francesco ha sempre condannato chi cerca “di strumentalizzare la propria religione come una giustificazione di violenza” e fa l’esempio dei discorsi di New York, Tirana, Sarajevo, Ankara e Bangui.

Ma religione e violenza “non devono essere identificati con alcuna specifica religione, razza nazionalità e cultura”, perché “nessuna religione o cultura è violenta per natura”.

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Per raggiungere una vera armonia si deve anche “educare al rispetto dell’inviolabile dignità di ogni persona umana e dei suoi inalienabili diritti”, inclusa quella libertà religiosa che “gli estremisti violenti” mettono in discussione in maniera più probabile.

Educare per mettere fine ai pregiudizi, e per portare avanti incessanti sforzi di dialogo interreligioso e interculturale, che è il quarto principio messo sul tavolo dall’arcivescovo Auza. “Non importa quanto siano gravi le minacce poste dal terrorismo alla nostra sicurezza collettiva, ma non basta la coercizione militare per dare una risposta definitiva”, serve piuttosto “la promozione di una cultura dell’incontro e del dialogo” che creino” società inclusive.

Così, vengono sradicate le cause dell’estremismo violento, che è il quinto principio enunciato da Auza. Perché – spiega l’Osservatore – “i giovani sono attratti dalle ideologie estremiste perché si sentono socialmente alienate ed escluse, o a causa della povertà e della disoccupazione cronica”. Ci vuole una risposta da parte dei governi che affrontino la situazione dell’esclusione e della mancanza di integrazione.

Perché così – sesto principio – si crea una società armoniosa, che “non è il risultato dello sforzo di uno per tutti”, ma si consolida attraverso “migliaia di azioni quotidiane”.

È uno sforzo, conclude Auza, che serve “oggi più che mai”.