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CCEE, laboratorio sinodo. “I giovani hanno bisogno di essere ascoltati”

Plenaria CCEE a Minsk | Il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente del CCEE, benedice la statua di San Michele all'inizio dei lavori  | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa Plenaria CCEE a Minsk | Il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente del CCEE, benedice la statua di San Michele all'inizio dei lavori | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Chi sono i giovani di oggi? Incerti, impauriti, ma allo stesso tempo vogliosi di partecipare. Sono giovani che hanno voglia di essere presi sul serio, e questo al di là di ogni atteggiamento. È l’analisi che viene fuori dalle prime sessioni di dibattito dell’Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa, che si riunisce in questi giorni a Minsk. E, al termine del Consiglio, ci sarà un documento del CCEE consegnato alla segreteria generale del Sinodo, che delineerà sfide e conclusioni dei pastori durante questi due giorni di plenaria.

“Il problema dei giovani – sottolinea il Cardinale Angelo Bagnasco – è uno solo: quello degli adulti”.

Secondo il presidente dei vescovi europei, i problemi del mondo giovanile risiedono proprio in un “rapporto conflittuale con il mondo degli adulti”. Un conflitto “completamente diverso dalla Rivoluzione Culturale del 1968”, quando “i giovani avevano il rifiuto per il mondo degli adulti e per tutte le istituzioni possibili”.

Oggi, invece, “i giovani non rifiutano radicalmente gli adulti. Se hanno una posizione di risentimento è perché non trovano gli adulti accanto a loro. E questo può valere per i genitori, ma anche per la Chiesa, nonostante la generosità di tanti sacerdoti”.

È un problema che si lega, spiega il Cardinale Bagnasco, alla “società liquida”, cosa che genera “incertezza anche sulla vita, sul mondo, sul senso delle cose”, un mondo dove “non si può vivere bene” che porta “alla disistima esistenziale”. Ed è quello il punto, per il presidente del CEE: “Molti giovani non hanno stima in sé stessi nonostante appaiano sicuri o sbruffoni. L’antidoto, la speranza che essi hanno è di trovare qualcuno che li aiuti, li accompagni, li veda, perché essi sono spesso invisibili al mondo che conta. E questo qualcuno si metta in ascolto con pazienza, senza pretendere di risolvere le loro domande, e li accompagni”.

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Il tema dell’ascolto è stato centrale nelle relazioni dei vari gruppi linguistici, che si sono riuniti dopo l'inizio dei lavori (sugellato dalla benedizione di una statua di San Michele) per discutere delle situazioni locali e poi portare le loro esperienze in comune.

Il Cardinale Vincent Nichols, vicepresidente del CCEE, ha sottolineato anche lui la “paura, l’incertezza” dei giovani di oggi, nonché la loro “sete di essere accettati ed amati”, con una “crisi di identità”, data anche dal fatto che in molti sono in movimento, a partire proprio dal momento in cui si spostano per andare all’università, la prima migrazione.

Per la Chiesa – ha detto il Cardinale Nichols – è importante “esserci, individuare punti di intersezione, momenti di incontro”, e dare priorità agli “spazi di preghiera, luoghi dove i giovani vengono ed esplorano il senso della trascendenza”.

In generale – ha aggiunto l’arcivescovo di Westminster – “la crisi dell’Europa è una crisi di fede, e questo vale per tutti i Paesi. Dipende anche dal mondo in cui giovani e famiglie sono connessi: in Occidente la famiglia è più ferita che in Oriente, nei Paesi occidentali è più facile che si viva in una famiglia ‘rotta’, e tra l’altro la cultura dei giovani cambia più rapidamente.”

L’arcivescovo Stanislaw Gadecki, di Poznan, ha sottolineato che la crisi c’è anche in Oriente, perché “a guardare i fatti, quasi la metà dei bambini nasce fuori dal vincolo sacramentale”. Ma – ha aggiunto l’arcivescovo polacco, anche lui vicepresidente dei vescovi europei – “la crisi è sempre una sfida, la possibilità di andare oltre”, e così “la crisi della gioventù e della famiglia può essere cambiata in una situazione di speranza”.

Ma come fare? La condizione, per l’arcivescovo Gadecki, è che “noi guardiamo ai giovani e alle famiglie non solo in modo sociologico, ma anche in modo teologico. Noi dobbiamo avere la visione fondamentale che “noi partiamo dall’amore di Cristo e finiamo al Cristo amore. Non si inizia il discorso con lo stato sociologico della gioventù e della famiglia, ma dall’amore di Dio, dall’amore di Cristo. Se non lo facciamo, la nostra valutazione non sarà adeguata”.

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Aggiunge l’arcivescovo di Poznan che “i giovani non sono solitari in questo mondo, anche se il mondo senza fede li immette nella solitudine. La Chiesa accompagna tutti allo stesso modo, come una madre, a volte rimproverandoli, ma sempre con amore”.

In generale – sottolinea il Cardinale Bagnasco, per concludere – “una novità emersa dai gruppi è che i giovani vogliono partecipare, essere protagonisti, entrare dentro una visione, un sogno, una prospettiva, che sia anche utopistica, e poi mettersi in movimento”. Ed è questo che “noi, pastori della Chiesa, dobbiamo approfondire”.