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Papa Francesco, e quell’opera di misericordia di Giovanni Paolo II nel Caucaso

Ashotsk, ospedale Redemptori Mater | Un krachkar all'ingresso dell'ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptori Mater | Un krachkar all'ingresso dell'ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | Padre Mario Cuccurullo, direttore dell'Ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | Padre Mario Cuccurullo, direttore dell'Ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | Pronto soccorso dell'ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | Pronto soccorso dell'ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | Padre Mario Cuccurullo, direttore dell'Ospedale, con la piccola Maria | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | Padre Mario Cuccurullo, direttore dell'Ospedale, con la piccola Maria | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | La parte posteriore dell'ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Ashotsk, ospedale Redemptoris Mater | La parte posteriore dell'ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

C’è un’opera di misericordia che Giovanni Paolo II ha donato all’Armenia, e che è lì, tra le montagne del Caucaso, quasi al confine con la Georgia. Si chiama “Redemptoris Mater”, è un ospedale gestito dai Camilliani, ma è comunemente noto come “l’ospedale di Giovanni Paolo II”. A questo ospedale, Papa Francesco ha fatto riferimento nei ringraziamenti finali della messa a Gyumri. E lo avrebbe probabilmente visitato, se il programma non fosse stato così chiuso.

Perché l’ospedale è a sola mezzora di auto da Gyumri, ad Ashotsk, nel mezzo delle montagne, colpito da un vento incessante e da grande escursione termica. Giovanni Paolo II ci sarebbe voluto andare, durante la visita del 2001, ma non poté, perché non si trovò un elicottero. Nemmeno con Papa Francesco si è riuscito a fare.

Il Papa avrebbe comunque voluto. Sa delle attività dell’ospedale, ha inviato attraverso la Papal Foundation una donazione di 100 mila dollari quest’anno, viene costantemente informato. Anche per questo, ha voluto salutare al termine della messa “chi, con tanta generosità e amore concreto, aiuta quanti si trovano nel bisogno. Penso soprattutto all’ospedale di Ashotsk, inaugurato venticinque anni fa e conosciuto come l’ ‘Ospedale del Papa’: nato dal cuore di san Giovanni Paolo II, è ancora una presenza tanto importante e vicina a chi soffre”.

Ma come è nato "l’ospedale del Papa"? Lo racconta padre Mario Cuccarollo, un camilliano che dirige la struttura dal 1992: “Dopo il terremoto che devastò l’Armenia a partire dall’epicentro di Spitak (si parla di 25 mila morti), la Caritas pensò di fondare un’opera qui per aiutare la popolazione. Si decise di fare un ospedale. E si scelse di costruirlo in Ashotsk perché era un territorio non troppo colpito dal territorio, che allora aveva anche una sua struttura organizzativa, con una provincia, un prefetto… ora tutto è stato centralizzato a Gyumri”.

L’ospedale si estende per 5 mila metri quadri, su un solo piano, costruito in prefabbricato, ma tenuto pulitissimo dal personale. C’è una lavanderia, una cucina, una mensa e una sala operatoria e mezza, dove si fanno operazioni chirurgiche anche complesse, per una media di 3 o 4 interventi al giorno (1700 interventi annui complessivi).

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Un piccolo gioiello in un territorio isolato. Perché l’ospedale ha contribuito a creare un sistema sanitario in tutti i villaggi intorno, e ora ci sono 11 ambulatori che sono sotto l’amministrazione dell’ospedale.

“Giovanni Paolo II – dice padre Cuccurullo - si interessava sempre delle attività dell’ospedale, voleva sapere… abbiamo tre ambulanze che sono frutto delle sue donazioni, così come le culle termostatiche”.

Eppure, l’ospedale è stato figlio di nessuno per tanto tempo. “La Caritas l’ha costruito, Giovanni Paolo II lo voleva simbolicamente donare alla popolazione armena, ma poi crollò l’Unione Sovietica, e ci si ritrovò senza un proprietario. Finché, quando Giovanni Paolo II venne in Armenia nel 2001, chiese all’allora presidente Robert Kacharian di far finta che l’ospedale era dello Stato e di donarlo simbolicamente alla Fondazione Umanitaria San Camillo, che era stata appena riconosciuta dalla legislazione armena. E così fu”.

Per la zona, non si tratta solo di un ospedale. Distirbuisce anche aiuti. Madre Noelle, una suora francese delle Piccole Sorelle di Charles De Foucauld con un passato da missionaria in Libano negli anni delle guerra, ascolta le famiglie che vengono a chiedere una mano, distribuisce aiuti, dà quintali di latte in polvere gratuiti. “Aiutiamo 500 famiglie – dice padre Cuccurullo – che diventano 800 con il sostegno a distanza”. In molti sono tornati in ospedale, per lavorare da infermieri, grazie alla formazione che hanno ricevuto lì.

Dove tutti trovano un po’ di amore. C’è Maria, la figlia di una ragazza di 16 anni che non voleva partorire. La ragazza è rimasta in ospedale per 4 mesi, la bambina è stata salvata da un sicuro aborto, poi la madre l’ha lasciata in ospedale: ora sarà adottata.

Sono storie come questa che fanno dell’ospedale un luogo diverso dagli altri ospedali della zona, che non hanno nemmeno cucine e lavanderia. L’assistenza è davvero per tutti. Gli indigenti non pagano nulla, mentre chi paga lo fa a prezzi popolari: 2 euro per una visita, 4 euro per un esame di laboratorio, 30 euro al giorno il ricovero. E le operazioni chirurgiche sono divise in piccole, medie e grandi, e costano rispettivamente 40, 60 e 80 euro. “Il dipartimento di chirurgia è molto avanzato, opera anche in laparoscopia”, dice orgoglioso padre Cuccurullo.

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Non sorprende che il bacino di utenza dell’ospedale vada ben oltre le 15 mila persone dei villaggi limitrofi, ma si estenda fino alla Georgia e persino all’Azerbaijan.

Il quale poi afferma: “Ci dovremmo chiedere cosa sarebbe quest’area senza l’ospedale. Quando è stato costruito l’ospedale, Ashotsk era amministrativamente una regione, ora tutto è stato centralizzato a Gyumri, mentre le condizioni di vita sono sempre peggiori. Questo ospedale ha dato una mano, e ha anche creato lavoro: abbiamo 145 dipendenti, tutti armeni”.