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Schuelerkreis, padre Horn: "Nel pensiero di Benedetto XVI, l'antidoto alle persecuzioni"

Padre Stephan Horn | Un ritratto di padre Stephan Horn, coordinatore del Ratzinger Schuelerkreis | Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger Padre Stephan Horn | Un ritratto di padre Stephan Horn, coordinatore del Ratzinger Schuelerkreis | Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger

Due relatori, e un testimone, per un incontro dal forte aspetto “ecumenico” alla luce di una “teologia che unisce”: quella di Benedetto XVI. Racconta così il prossimo Schuelerkreis padre Stephan Horn, salvatoriano, che fu assistente di Benedetto XVI all’università e che coordina il circolo di ex studenti del Papa emerito.

I membri dello Schuelerkreis si incontreranno dall’1 al 3 settembre, per parlare di “Persecuzione dei cristiani e martirio”. I due relatori sono monsignor Helmut Moll, che ha compilato il “martirologio tedesco del XX secolo” e il vescovo Manfred Scheuer di Linz, postulatore della causa di beatificazione di Franz Jägerstätter. Il testimone – chiamato su suggerimento dei membri del Nuovo Schuelerkreis, i giovani che si formano sul pensiero di Benedetto XVI – sarà il vescovo copto Anba Kyrillos William Samaan, di Assiut.

Padre Horn, perché quest’anno è stato scelto il tema della persecuzione dei cristiani e martirio?

Come tutti gli anni, i membri dello Schuelerkreis hanno presentato le idee sui possibili temi dell’incontro, e poi hanno proceduto ad una votazione. Uno di questi temi era appunto quello della persecuzione dei cristiani. Il tema ha suscitato un grande numero di consensi. L’ho presentato così a Benedetto XVI, e lui subito lo ha accettato e ha proposto immediatamente i due relatori.

Il Papa emerito ha in qualche modo commentato il tema?

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Non ha fatto commenti, ma non ha avuto alcun dubbio nell’accoglierlo. Si tratta, in fondo, di una delle tematiche più importanti per la Chiesa di oggi.

In che modo la teologia di Benedetto XVI può essere di aiuto per comprendere l’esperienza del martirio?

Per Benedetto XVI, la fede è una esperienza di vita fatta con gli altri, un cammino di famiglia. Questo vuol dire che l’esistenza cristiana vive dell’esempio degli altri. Si tratta di una cosa che riguarda tutta l’esistenza, non è una astrazione mentale. Per questo, la famiglia è il luogo naturale di questa testimonianza, così come lo sono gli amici. E poi c’è l’esempio dei santi, e specialmente quello dei santi che hanno dato la vita per questa esperienza cristiana. Già con il Battesimo noi diventiamo di Dio. Tutta la nostra esistenza comporta, in fondo, un martirio quotidiano, una testimonianza costante.

Quanto influisce la secolarizzazione sul martirio dei cristiani oggi?

È un tema che Benedetto XVI aveva affrontato già ai tempi del Concilio Vaticano II. Per il Papa emerito, le sofferenze della Chiesa provengono anche da questa secolarizzazione. Il che porta però all’antidoto: la secolarizzazione può essere vinta con una nuova testimonianza di fede, che cerchi di fare ponti nella diversità. Quando i cristiani sono più uniti, o lavorano insieme per l’unità, lì c’è l’antidoto alla secolarizzazione. Perché il martirio non è solo dei cattolici, ma anche delle altre confessioni cristiane. Per questo l’unità, per Benedetto XVI, è una questione centrale.

Si parla oggi molto di ecumenismo del sangue, un tema che piace molto a Papa Francesco…

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Non solo di Papa Francesco: il tema lo avevano sviluppato anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E noi, in Germania, lo abbiamo vissuto in maniera concreta durante il nazismo, quando sacerdoti cattolici e protestanti, e anche ortodossi, si sono ritrovati insieme nei campi di concentramento. E, in quella situazione così terribile, hanno vissuto insieme, hanno pregato insieme, si sono scambiati le loro esperienze di fede.

Si può dire, dunque, che ragionando sul martirio e sulla persecuzione dei cristiani, lo Schuelerkreis cerca anche una strada ecumenica?

Si tratta di un tema che entra particolarmente in discussione. Per questo, siamo molto felici che ci sarà una testimonianza di un vescovo copto. I copti hanno vissuto sulla loro pelle la divisione tra copti cattolici e ortodossi, mantenendo però la fede, sopravvivendo in una nazione a maggioranza islamica.

E quale è il contributo che può dare il pensiero di Benedetto XVI a questa ricerca di unità?

La teologia di Benedetto XVI vive in primo luogo di esegesi biblica. Questo lo avvicina al mondo protestante, così come al mondo ortodosso per il suo riferimento costante ai Padri della Chiesa. La sua teologia, dunque, è veramente cattolica, unisce, comprende bene il pensiero e le ricchezze delle altre confessioni cristiane.

Sembra che il Circolo di ex allievi di Benedetto XVI stia come seguendo un percorso: due anni fa, si parlava dell’eclisse di Dio, l’anno scorso dell’Europa, oggi del martirio. C’è una linea comune?

Si potrebbe dire che c’è una linea comune. Di certo, il pensiero su Cristo è sempre stato al centro dei nostri incontri, così come la domanda sul perché Dio viene in qualche modo messo da parte.

Quando si parla di martirio, si pensa sempre a un martirio di sangue. Secondo lei, c’è un martirio nascosto?

Quando parliamo di persecuzione dei cristiani, normalmente ci viene da pensare alla Corea del Nord, o alla situazione dei cristiani in Medio Oriente. Non parliamo mai, però, di una persecuzione che viviamo in Europa. Forse la parola “persecuzione” non è esatta, perché questa persecuzione non si esprime con il sangue. Ma i cristiani la vivono, perché sono emarginati. Non si parla di fede, il modo di vivere non rispetta la fede cristiana. Nemmeno i media parlano di fede, non vogliono darle spazio. Per i cristiani è molto difficile. Siamo al termine di un processo, che è iniziato in maniera silenziosa, all’interno delle istituzioni educative. Non se ne parla molto, ma si tratta di un martirio della vita quotidiana che i cristiani devono sopportare.