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Dio, uno e trino. XVI Domenica del Tempo Ordinario

Santissima Trinità

Il testo della prima lettura, tratto dal Libro della Genesi, ci presenta uno degli episodi più affascinanti e suggestivi di tutta la Scrittura. Abramo, nella calura opprimente del giorno, siede all’ingresso della sua tenda. Alza lo sguardo ed ecco, vede tre uomini  davanti a sè. Non li conosce, non sa da dove vengano. Ma qualcosa nel suo cuore si muove. Intuisce, più che comprendere, che in quella presenza c’è qualcosa di più grande.  Si alza in fretta, corre loro incontro, si prostra fino a terra e li chiama: “Mio Signore”. Non conosce i loro nomi, ma riconosce la loro dignità

La tradizione della Chiesa ha visto in questa visita una rivelazione misteriosa della della Santissima Trinità. Sant’Ambrogio annota: “In tre si presenta, ma parla come uno solo”, perché uno è il Dio che si manifesta e tre le Persone che agiscono in perfetta comunione. Abramo non si limita a ricevere i tre viandanti: li accoglie con gesti semplici, ma solenni. Porta acqua per ristorare i loro piedi, offre l’ombra fresca della quercia, prepara pane e carne tenera. Ma, più ancora, dona attenzione, premura, cura, rispetto. Ogni gesto, ogni parola, ogni movimento è un atto di riverenza. Egli sa, nel profondo, di trovarsi davanti al Mistero. E proprio per questo il suo atteggiamento ci insegna come anche noi dobbiamo stare davanti al Signore, soprattutto nel mistero dell’Eucaristia.

Troppe volte ci accostiamo a Dio con superficialità come se la sua presenza fosse scontata. Abramo, invece, ci insegna che stare alla presenza di Dio significa essere completamente presenti, corpo e anima, vigili, disponibili. Significa offrire a Dio non ciò che avanza delle nostre giornate, ma il meglio di noi stessi: il tempo, l’ascolto, l’attenzione, la cura. Perché l’amore, quando è vero, diventa attenzione; e l’attenzione, davanti a Dio, diventa adorazione.

 

Ma c’è un rovesciamento sorprendente in questo incontro: non è solo Abramo che nutre i suoi ospiti, ma è Dio che viene a nutrire Abramo. Infatti, Dio  dopo aver ricevuto, dona infinitamente di più. Annuncia  una parola che apre il futuro, una promessa che sfida l’impossibile. “Tornerò da te tra un anno, e allora tua moglie Sara avrà un figlio.” È una dichiarazione che infrange i limiti dell’età, della logica, della biologia. Sara, nascosta dietro la tenda, ascolta e ride. Ride con l’amarezza di chi non osa più sperare, con la stanchezza di chi ha rinunciato ai sogni. Ma Dio non si scandalizza di quella risata. La accoglie. La trasfigura. Quella risata, nata dall’incredulità, diventa il primo segno della gioia che verrà. Perché a Dio nulla è davvero impossibile.

 

Nel deserto di Mamre, Dio entra in una tenda. Ma nel compimento dei tempi, Dio entra nella storia, si fa carne nel grembo di una donna, abita tra noi. In Cristo, il Figlio fatto uomo, Dio non è più solo l’Ospite: diventa Amico, Fratello e  Salvatore. Ci invita, Lui, alla sua mensa per donarsi a noi come cibo. E così, nel mistero dell’Eucaristia, il Dio che un tempo accettò un pasto da Abramo, ora diventa il Dio che ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue. Si fa povero per saziarci, si fa cibo  per essere accolto da noi. Ma non dimentichiamo l’insegnamento di sant’Agostino: “il Signore ama essere ospite di chi ha il cuore umile.”

 

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