venerdì, dicembre 05, 2025 Donazioni
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Al Meeting di Rimini una mostra sul Concilio di Nicea per una nuova prospettiva sul mondo

Una istantanea della mostra itinerante

Nel 325 d.C. a Nicea si tenne il primo evento ecumenico della storia della cristianità, da cui scaturì una professione di fede condivisa che da 1700 anni rappresenta per i cristiani un elemento in cui identificarsi e trovare unità, come ha scritto papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo ordinario, ‘Spes non confundit’: “Si compiranno, infatti, 1700 anni dalla celebrazione del primo grande Concilio Ecumenico, quello di Nicea. E’ bene ricordare che, fin dai tempi apostolici, i pastori si riunirono in diverse occasioni in assemblee allo scopo di trattare tematiche dottrinali e questioni disciplinari. Nei primi secoli della fede i Sinodi si moltiplicarono sia nell’Oriente sia nell’Occidente cristiano, mostrando quanto fosse importante custodire l’unità del popolo di Dio e l’annuncio fedele del Vangelo… Dopo vari dibattimenti, tutti, con la grazia dello Spirito, si riconobbero nel Simbolo di fede che ancora oggi professiamo nella celebrazione eucaristica domenicale. I Padri conciliari vollero iniziare quel Simbolo utilizzando per la prima volta l’espressione ‘Noi crediamo’, a testimonianza che in quel ‘Noi’ tutte le Chiese si ritrovavano in comunione, e tutti i cristiani professavano la medesima fede. Il Concilio di Nicea è una pietra miliare nella storia della Chiesa”. 

 

E’ per tale motivo che al meeting dell’Amicizia tra i popoli, in programma alla Fiera di Rimini fino al 27 agosto è stata allestita dalla Pontificia Università della Santa Croce e dall’associazione ‘Patres’ la mostra ‘Luce da Luce: Nicea 1700 anni dopo’, curata da Leonardo Lugaresi, Giulio Maspero, Paolo Prosperi, Ilaria Vigorelli, con la collaborazione di Samuel Fernández: “Ma proprio a Nicea la Chiesa, di fronte alla crisi ariana, è riuscita a formulare per la prima volta la verità sconvolgente che Dio è Padre, non che fa il Padre. Quindi non è che Dio può decidere se essere Padre o non essere Padre, proprio perché Gesù è il Suo Figlio eterno. Ma ciò significa dire che Dio non può far altro che amarci e questa è una notizia che ci libera. Anzi, forse noi soffriamo così tanto proprio perché abbiamo perso tale riferimento. Perciò la mostra, in occasione di questo anniversario di Nicea, è una grande occasione per recuperare questa verità”. Il progetto si articola in un viaggio a tappe dove, attraverso grandi grafiche, si sviluppano i temi emersi al Concilio di Nicea: partendo dalla narrazione delle contese che hanno portato alla sua convocazione; quindi si passa all’esposizione del Simbolo di Nicea, in greco e in italiano, affiancato da una grande riproduzione del Cristo Pantocratore da Hagia Sophia. A seguire le fasi successive al Concilio fino ad arrivare al rapporto con i giorni nostri.

 

Ad uno dei curatori, don Giulio Maspero, professore ordinario di teologia dogmatica alla Pontificia Università ‘Santa Croce’ di Roma, chiediamo di raccontarci brevemente la mostra: “La mostra introduce ad una parte della nostra storia che è all’origine proprio del Giubileo che stiamo vivendo. La speranza che ci viene offerta, infatti, non è quella di una favola, ma ha origine in un dramma e un percorso, in alcuni passaggi faticoso, per accogliere il dono della rivelazione che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio, cioè che è eterno come Suo Padre. La crisi ad Alessandria di Egitto, che ha portato poi al concilio di Nicea nell’odierna Turchia, con tutti gli eventi anche ad essa successivi, rappresentano un percorso che può essere considerato liberante. Infatti, l’essere umano è sempre in tensione tra il proprio desiderio di infinito e i limiti che lo caratterizzano. Senza la verità proclamata a Nicea, l’uomo sarebbe assurdo, come ha scritto anche Gregorio di Nazianzo, un Padre della Chiesa fondamentale per la ricezione del concilio”.

 

Quale prospettiva sul mondo ha offerto il Concilio di Nicea?

“A prima vista, potrebbe sembrarci che si tratta di eventi passati, legati a questioni cavillose che potevano interessare solo i vescovi del IV secolo: quanto di più lontano da noi. La sfida che la Pontificia Università della Santa Croce e l’Associazione ‘Patres’, coorganizzatrici della mostra con il Meeting dell’Amicizia tra i popoli, hanno raccolto è quella di mostrare come oggi tutti ci sentiamo sbagliati, inadempienti e insufficienti, proprio perché la verità che il Dio di Gesù Cristo è trinitario è in ombra nel nostro contesto culturale. Il cuore di quanto il percorso mira a presentare è che a Nicea la Chiesa è riuscita a dire a sé stessa e al mondo che Dio è Padre e non solo fa il Padre. Ciò significa che Egli sa solo generare e rigenerare, quindi perdonare e accogliere sempre. E questo, dopo l’uccisione simbolica di Dio e del padre, da parte della modernità, è una verità che l’epoca post-moderna ha profondamente bisogno di riascoltare”. 

 

Quanto è importante tale Concilio per l'unità dei cristiani?

“La storia di Nicea dimostra che le divisioni nella Chiesa ci sono sempre state, ma nello stesso tempo esse possono venire superate solo tornando all’unità del Dio di Gesù Cristo che è trino. Infatti, a Nicea è iniziato un percorso che ha permesso di cogliere come l’identità di ciascuno non può essere pensata in modo indipendente da quella degli altri, proprio perché siamo stati creati ad immagine e somiglianza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, i quali sono una cosa sola nella loro mutua relazione. Questa è la verità di fede che tutti i cristiani condividono. Per questo essa deve diventare fondamento del cammino per tornare alla pienezza dell’unità tra i cristiani. Abbiamo bisogno di un ecumenismo radicale, perché è semplicemente assurdo credere nella Trinità ed essere separati”.

 

Inoltre al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, papa Leone XIV ha espresso il desiderio di andare a Nicea: sarà un passo verso un cammino di unità?

“Da tale punto di vista, la visita di papa Leone XIV a Nicea renderà visibile questo fondamento dell’unità che già è presente. E ciò corrisponde proprio alla missione del ministero petrino, che la profondità patristica dell’attuale Sommo Pontefice rende particolarmente evidente”. 

 

Infine quale rapporto c’è tra il titolo della mostra, ‘Luce da Luce: Nicea 1700 anni dopo’, e quello del meeting, ‘Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi’?

“La parte della nostra storia che raccontiamo dice molto chiaramente come il ‘deserto’ non è caratteristico solo della nostra epoca, ma c’è sempre stato e sempre ci sarà. Come nel ‘Piccolo Principe’ di Saint-Exupéry, l’aereo della nostra anima va spesso in panne. Ma il deserto rappresenta una grande opportunità, perché abbiamo mattoni sempre nuovi per costruire la casa. E questi mattoni sono le eredità che abbiamo ricevuto, a livello sia ecclesiale sia culturale. Esse hanno una virtualità che proprio le crisi fanno emergere. Per questo le chiamiamo ‘fonti’, infatti sono proprio sorgenti. La storia del pensiero umano dimostra che ogni grande rinascita ha avuto origine da un approfondimento del patrimonio che già si possedeva. Ogni rinascimento sorge da un ritorno alle fonti e questo è tanto più vero per ciò che riguarda la fede in Cristo, Figlio di Dio salvatore”.  

 

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