venerdì, dicembre 05, 2025 Donazioni
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Al Meeting di Rimini la grande avventura di san Francesco di Assisi

Al Meeting per l'Amicizia fra i popoli le mostre si aprano ed iniziano il loro cammino. 'Io, Frate Francesco. 800 anni di una grande avventura ', è il primo progetto espositivo curato dalla Provincia Serafica di San Francesco d'Assisi, inserito nel programma dei Centenari Francescani 2023-2026 e patrocinata dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dell'Ottavo Centenario: essa si propone come un incontro autentico con il Santo, attraverso un percorso narrativo basato sul suo testamento, documento fondativo dell'Ordine. L'allestimento, concepito come un'esperienza immersiva, sarà guidato da frati francescani e volontari del Meeting. Tra le opere esposte spicca l'effige di san Francesco dipinta da Cimabue, custodita nel museo della Porziuncola e mai prestata prima in un contesto simile. Inoltre, sarà presente anche un'opera di Sidival Fila, frate francescano ed artista di fama internazionale.

La mostra è stata presentata ad Assisi a fine luglio alla presenza del patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa , che ha raccontato le sofferenze e le speranze della comunità cristiana di Gaza: "Viviamo un tempo drammaticamente complesso: guerre, squilibri sociali, crisi delle istituzioni internazionali e la violenza che sembra l'unica via per affermare potere. In questo contesto san Francesco rimane un riferimento universale, amato da tutti pur non avendo costruito nulla né risolto problemi concreti. Eppure, ha lasciato un segno profondo perché ha vissuto il Vangelo con radicalità e mitezza.  Torno ora da Gaza, e vi dico che ciò che ho visto è indescrivibile. Distruzione totale, fama, mancanza di cura, bambini senza scuola, ospedali distrutti dei governi, ma dalla capacità di guardarci negli occhi, di riconoscerci fratelli. Il nostro compito è non lasciare che il dolore occupi tutto il cuore, ma tenere viva la speranza attraverso gesti concreti di umanità. Questo è ciò che conta davvero, ed è questo che ci salverà”.

Fra Francesco Piloni, ministro provinciale di Umbria e Sardegna e curatore della mostra riminese, insieme al prof. Stefano Brufani, presidente della Società Internazionale Studi Francescani e componente del Comitato Nazionale ‘800 anni’, frate Luca Di Pasquale, frate Giuseppe Gioia, frate Gianpaolo Masotti, prof. Grado Giovanni Merlo, presidente onorario della Società Internazionale Studi Francescani e componente del Comitato Nazionale ‘800 anni’, suor Cristiana Mondonico, presidente della Federazione delle Clarisse di Santa Chiara e Sant’Agnese, ha sottolineato l’esperienza vissuta da san Francesco: “Francesco non ha lasciato ricchezze, ma parole, esperienze e gesti che interrogano ancora oggi. La mostra nasce dal suo Testamento, dove troviamo parole chiave per leggere la vita di oggi con occhi evangelici. Quando uno scrive il testamento, va sulle cose fondamentali, non gira intorno alle parole, non chiacchiera, non dice parole vuote: l’eredità è precisa. Ecco, noi nella mostra abbiamo delle parole chiave che vogliamo consegnare, e sarà Francesco attraverso il suo Testamento a farci scoprire come queste parole siano contemporanee per l’uomo d’oggi”. 

Cosa mette in risalto la mostra su san Francesco?

“Decisamente gli 800 anni di storia, ma soprattutto l’eredità, quanto mai attuale, della grande ‘avventura’ di questo uomo ‘figlio’ di Assisi. La mostra, intitolata ‘Io, frate Francesco’, ha la pretesa di lasciare al Santo assisate la parola. Infatti, soprattutto il testamento ed altri scritti, è Francesco stesso che ci consegna quei tesori eterni, che sono senza data di scadenza ed ancora così capaci di toccare l’uomo e la donna e di orientarli. Già come si entra la mostra racconta l’intenzione di immergere il visitatore nella vita di Francesco, nel suo saio, ma soprattutto nella sua esperienza di Dio, vissuta negli ultimi anni. Infatti, accanto agli scritti di Francesco, ci sono poche parole di commento; saranno le guide ad attualizzare quelle (chiamiamole) password, che Francesco ci ha consegnato nel testamento come eredità. Accanto agli scritti ed alle poche parole di corredo ci sono le immagini di fra Sidival Fila, frate minore che vive a Roma, ed un’artista, che prende le stoffe scartate, cuce i tessuti con diversi materiali e li armonizza in opere d’arte di un significato vibrante, quasi a dire che c’è Francesco che nel testamento ci consegna la sua esperienza, ma già entrando nel suo abito ci si immerge nella sua vita, perché le pareti sono rivestite del tessuto del suo saio. Lui, figlio di mercanti di stoffe che faceva cucire pezzi di tessuti pregiati con altri eccentrici, incontra Cristo povero e nudo,scegliendo di vestirsi con abiti di poco conto. Questa è la prima pro-vocazione, cioè a favore della nostra vocazione: una sveglia a chi guarda troppo alla vita ‘defora’, come scrive san Francesco a santa Chiara, e non sa più che quella di ‘dentro’ è ‘migliora’, cioè la vita interiore vale molto di più di una vita di apparenze. Lasciando parlare  le ‘inquietudini’ di Francesco, la mostra è una grande occasione per ‘disturbare’ la nostra falsa quiete ed accendere le domande e la ricerca di ciò che è vero e bello, cioè eterno. Nel finale della mostra ci sono due interessanti sorprese per continuare a restare nelle profondità”. 

Quale esperienza di Dio ha vissuto san Francesco?

“Ha vissuto tante esperienze di Dio, quanti sono i passaggi della vita. Uno dei suoi biografi, Tommaso da Celano, narra che a volte si intratteneva con il Signore, parlandoGli come un amico; altre volte parlava a Dio come ad uno sposo (penso al grido emesso a La Verna: ‘mio Dio e mio Tutto’); altre volte come ad un giudice con la responsabilità di essere amministratori della vita donata da Dio. Comunque certamente l’esperienza di san Francesco è quella di un Dio vicino ed incarnato, che è appassionato dell’umanità ed entra nella storia. Questo piace molto a Francesco; è la sua esperienza. Al vertice dell’esperienza cristiana abbiamo nel 1223 il presepe di Greggio, dove vuole vedere con i suoi occhi  Dio, Bambino di Betlemme. In quel periodo, in cui è iniziato il suo grande tormento interiore, Francesco ha bisogno di consolazione, vince questi momenti cercando colui che è l’Emmanuele e viene a stare con noi. Nel 1224 a La Verna è segnato nel corpo con le stimmate, segni della Passione. Nonostante questo, resta umano: questo convince Francesco, perché egli è e resta un amico vicino e continua ad affascinare, ma soprattutto a convincere, perché incarna la nostalgia che abbiamo di un mondo fraterno e riconciliato”.   

 In quale modo è possibile ri-conoscere san Francesco d’Assisi?

“Quando una persona che lo avvicina abbandona tutte le immagini distorte, che il mondo offre anche nei confronti di Francesco per addomesticare secondo i propri gusti quello che ci viene offerto. Quindi fare addomesticare Francesco ‘secondo me’, scegliere quello che mi aggrada di più. Quante volte abbiamo ascoltato di un Francesco ridotto ad ecologista, animalista, pacifista… Questi sono riduzioni che non aiutano. La mostra, che fa parlare il santo assisate, racconta le sue inquietudini (la mostra inizio con il buio), che lo ha fatto gridare davanti al Crocifisso a san Damiano. Come pure vibra la nostalgia di un mondo fraterno e capace di misericordia. Credo che il regalo più grande, per chi ha la pazienza di frequentare Francesco per non ridurlo alla superficie, per ri-conoscerlo è quando ci consegna la sua ‘perla’, che è ‘senza nulla di proprio. Quando facciamo la professione parliamo proprio di questo; questo ‘senza nulla di proprio’ è fondamentale per ogni uomo ed ogni donna, perché il contrario dell’amore è il possesso. Francesco è capace di restituire la verità di questa parola, l’Amore, che è libero ed è liberante; un Amore, che riceve e dona; un Amore che è esattamente il contrario del possesso. Il ‘sine proprio’ è l’antidoto al possesso, che squalifica e crea tensioni nel microcosmo di ogni persona, come nel mondo. Tutto ciò che possiedi, ti possiede e ti fa perdere il cuore rivolto a Dio (donatore). Questo è molto importante, perché la pretesa della mostra non è che tu esca conoscendo qualcosa in più di san Francesco (non sarebbe questo il nostro desiderio), ma di uscire dalla mostra dicendo ‘ma io questo Francesco non lo conoscevo, ma parla a me’. Non voler possedere Francesco, ma lasciarsi inquietare da Francesco, che ha costantemente il dito rivolto verso Gesù. Credo che se riusciamo a trasmettere questo è un dono prezioso per riconoscere san Francesco d’Assisi. Lui negli scritti più volte scrive che è fondamentale che l’uomo cerchi di piacere a Dio, perché un uomo vale quanto vale davanti a Dio e nulla più, seguendo le orme di Gesù. Il cuore per riconoscere l’insegnamento di san Francesco è vivere questo ‘senza nulla di proprio’: non vivere più per possedere ma per amare”.

 Quale rapporto esiste tra il titolo della mostra e quello del Meeting?

"Nella Bibbia il deserto è il luogo, dove si viene messi alla prova; è il luogo della tentazione, ma è anche il luogo dove si va con poco; si viene spogliati; c'è l'essenziale nel deserto. Ma il deserto è anche il luogo dove Dio parla e provvede. Il deserto è il nostro quotidiano, che dobbiamo di farlo diventare il nostro paradiso; ma resta sempre un paradiso artificiale, perché finché abitiamo il deserto fatto di cose abitadinarie, è difficile che riusciamo a cogliere la verità del cosmo. Nel deserto della quotidianità c'è la possibilità di non subire quello che viviamo, ma di scegliere come viverlo. Ed ecco la seconda parte ("Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi"): scegliere con quali mattoni  costruire nostra vocazione missionaria è quella di riparare e di restaurare. Per fare un lavoro di restauro occorrono mattoni nuovi. Pensandoci credo che i mattoni nuovi siano le otto beatitudini del capitolo 5 del Vangelo di san Matteo, dove occorre ritornare a vivere ed a diventare muratori di comunità, perché questi mattoni nuovi servono a costruire una comunità rinnovata, più libera dagli stereotipi e più maturazione; poi una comunità 'calda', cioè capace di leggere ciò che accade negli eventi con l'intelletto d'amore. 

Non basta solo la testa, occorre anche il cuore. Eppoi comunità più povere di pretese e di attese per accogliere le sorprese di Dio. Mi piace il plurale ('costruiamo') e credo che san Francesco (lo dico in punta di piedi) avrebbe sottolineato molto questo plurale, questa fraternità. Forse noi siamo più attratti da questi mattoni nuovi. Da ragazzo cercavo sempre la novità, ma diventando adulto vedo che la novità è già vecchia. Non cerco più la novità, ma cerco la Verità. Mi piace molto questo 'costruiamo'. Sottolineerei che san Francesco dentro questo verbo sceglie veramente di rispondere ancora oggi a quel mandato di Dio a riparare la Sua casa, che 'come vedi va in rovina'; ed oggi non possiamo non vedere le rovine di questo mondo. Ma noi ci siamo ed insieme possiamo costruire!”    

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