Rimini, 27 August, 2025 / 12:30 AM
Al meeting dell’Amicizia tra i Popoli giornata particolare con le relazioni del card. Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, e di Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, che hanno interloquito sul Concilio di Nicea (‘1700 anni dal Concilio di Nicea’), introdotti da don Andrea D’Auria, direttore del Centro internazionale di Comunione e Liberazione, che ha ripreso le parole di papa Leone XIV: “Il Concilio di Nicea è una bussola che deve continuare a guidarci verso la piena unità visibile dei cristiani… Quindi Nicea non fu qualcosa di astratto ma ha a che fare con la nostra fede oggi, interessa il nostro rapporto con Dio, il prossimo e noi stessi”.
Nell’intervento il card. Koch ha esordito sottolineando l’importanza delle questioni dottrinali affrontate dal Concilio attraverso la ‘Dichiarazione dei 318 Padri’: “Con essa i Padri professarono la loro fede in ‘un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili’... Ed nella lettera del Sinodo agli Egiziani, i Padri annunciarono che il primo vero oggetto di studio era il fatto che Ario e i suoi seguaci fossero nemici della fede e opposti alla legge, e affermarono pertanto di aver ‘deciso all’unanimità di condannare con anatema la sua dottrina contraria alla fede, le sue affermazioni e le sue descrizioni blasfeme, con le quali oltraggiava il Figlio di Dio’.
Queste affermazioni delineano il contesto del credo formulato dal Concilio che professa la fede in Gesù Cristo come Figlio di Dio, ‘consustanziale al Padre’. Lo sfondo storico è quello di una violenta disputa scoppiata nella cristianità dell’epoca, soprattutto nella parte orientale dell’impero romano; da ciò emerge che, all’inizio del IV secolo, la questione cristologica era diventata il problema cruciale del monoteismo cristiano”.
Dopo una lunga disputa sul termine ‘homoousios’ il Concilio niceno mise al centro della professione di fede la preghiera di Gesù al Padre: “Il credo cristologico del Concilio è diventato la base della comune fede cristiana. Il Concilio riveste una grandissima importanza soprattutto perché avvenne in un’epoca in cui la cristianità non era ancora lacerata dalle numerose divisioni che si sarebbero poi prodotte. Il credo niceno è comune non solo alle Chiese orientali, alle Chiese ortodosse e alla Chiesa cattolica, ma anche alle Comunità ecclesiali nate dalla Riforma; la sua rilevanza ecumenica non deve quindi essere sottovalutata”.
Solo in tale modo è possibile l’unità nella Chiesa: “Di fatti, per ripristinare l’unità della Chiesa, è necessario che vi sia un accordo sui contenuti essenziali della fede, non solo tra le Chiese e le Comunità ecclesiali di oggi, ma anche con la Chiesa del passato e, in particolare, con la sua origine apostolica. L’unità della Chiesa si fonda sulla fede apostolica, che nel battesimo viene trasmessa e affidata a ogni nuovo membro del Corpo di Cristo”.
Questo è il fondamento dell’ecumenismo spirituale cristologico, che si basa sulla centralità della preghiera: “Poiché l’unità può essere ritrovata solo nella fede comune, la confessione cristologica del Concilio di Nicea si rivela il fondamento dell’ecumenismo spirituale. Questo è ovviamente un pleonasmo. L’ecumenismo cristiano o è spirituale oppure non è ecumenismo...
Il movimento ecumenico è stato fin dalle sue origini un movimento di preghiera. E’ stata la preghiera per l’unità dei cristiani ad aprire la strada al movimento ecumenico. La centralità della preghiera evidenzia il fatto che l’impegno ecumenico è innanzitutto un compito spirituale, assunto nella convinzione che lo Spirito Santo porterà a termine l’opera ecumenica che ha iniziato e ci indicherà la via”.
Solo in questo modo l’ecumenismo può progredire: “L’ecumenismo cristiano può progredire in modo credibile solo se i cristiani tornano insieme alla fonte della fede, che è possibile trovare solo in Gesù Cristo, come è stato professato dai Padri conciliari a Nicea... L’ecumenismo cristiano non può essere altro che adesione di tutti i cristiani alla preghiera sacerdotale del Signore, e lo diventa quando i cristiani fanno proprio, nel loro intimo, il forte desiderio di unità. Se l’ecumenismo non si limita a una dimensione interpersonale e filantropica, ma ha un’ispirazione e un fondamento realmente cristologici, non può essere altro che partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù”.
L’importanza del Concilio di Nicea è stata sottolineata anche dal patriarca Bartolomeo, che ha messo subito in evidenza: “Resta evidente che quel Concilio ha svolto e svolge un ruolo primario di adesione stretta alla Sacra Scrittura e la Chiesa Ortodossa vi resta saldamente ancorata. Una pietra angolare per l’annuncio nei 17 secoli successivi”. Però l’intervento del patriarca di Costantinopoli è stato storico, anche se ha sviluppato temi attuali quali la sinodalità e la celebrazione unitaria della Pasqua: “Per essere credibili come cristiani, dobbiamo festeggiare la resurrezione del Salvatore nello stesso giorno. Assieme a papa Francesco abbiamo incaricato una commissione di studiare il problema. Ma esistono sensibilità diverse tra le Chiese e dobbiamo evitare nuove divisioni, non alimentare altre spaccature”.
Per questo è necessario uno ‘sforzo’comune: “Lo sforzo di trovare una data comune di Pasqua è un obiettivo pastorale importante, soprattutto per le coppie e per le famiglie di diverse confessioni e in vista della grande mobilità delle persone, in particolare durante le festività. Con una data comune di Pasqua, potrebbe essere espressa in modo ancora più credibile la profonda convinzione della fede cristiana che la Pasqua non è solo la festa più antica, ma anche la festa più importante della cristianità e che la fede cristiana sta o cade con il mistero pasquale, come la chiesa primitiva riassumeva questa convinzione fondamentale con la frase: ‘Togli la Risurrezione, e distruggi all’istante il cristianesimo’. L’importanza fondamentale della Pasqua verrebbe messa in luce da una data comune, che impartirebbe anche un nuovo slancio al cammino ecumenico verso il ripristino dell’unità della Chiesa in Oriente e in Occidente nella fede e nell’amore”.
Da qui l’invito ad approfondire il cammino sinodale: “Il 1700° anniversario del Concilio di Nicea deve essere percepito anche come un invito ed un’esortazione a trarre un’importante lezione dalla storia e ad approfondire oggi il pensiero sinodale nella comunione ecumenica, ancorandolo alla vita della Chiesa. Di fatti, anche l’ecumenismo avanza sulla via della ricomposizione dell’unità della Chiesa solo se viene portato avanti in maniera congiunta e, quindi, sinodale. Quanto fondamentale sia la sinodalità anche per l’impegno ecumenico è dimostrato chiaramente da due importanti documenti, quale lo studio ‘La Chiesa verso una visione comune’, che mira ad una visione multilaterale ed ecumenica della natura, dello scopo e della missione della Chiesa”.
Ed ha concluso l’intervento affermando l’importanza dello studio insieme: “Questo punto di vista è condiviso anche dalla Commissione Teologica Internazionale nel suo documento programmatico ‘La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa’, dove si constata che il dialogo ecumenico è progredito sino al punto di riconoscere nella sinodalità una ‘dimensione rivelatrice della natura della Chiesa’… Questa panoramica storica ci fa comprendere che lo sviluppo della sinodalità nella vita della Chiesa e dell’ecumenismo deve essere attuato con accuratezza teologica e prudenza pastorale. Anche questa lezione può essere appresa studiando il Concilio di Nicea”.
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