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Un servizio di EWTN News

Maurizio Misitano racconta la situazione nella Repubblica Democratica del Congo

Immagine di repertorio

Lo scorso 31 luglio, a Washington i rappresentanti della Repubblica Democratica del Congo e del Rwanda, in collaborazione con gli osservatori degli Stati Uniti, del Qatar, della Commissione dell’Unione Africana e del Togo (facilitatore da parte dell’Unione Africana), hanno tenuto la prima riunione del Comitato Congiunto di Monitoraggio dell’attuazione dell’accordo di pace firmato il 27 giugno dai due Stati. Questo comitato ha il compito di accompagnare l’attuazione dell’accordo di pace, attraverso il monitoraggio delle violazioni dell’accordo, dell’adozione di misure appropriate per rimediare a tali violazioni e della ricerca di soluzione di eventuali litigi per via amichevole.

Mentre il giorno successivo, a Washington, i rappresentanti di questi due Stati, con la collaborazione degli Stati Uniti, hanno firmato un testo relativo ai ‘Principi del Quadro di Integrazione Economica Regionale’, previsto dall’accordo di pace firmato il 27 giugno, secondo cui i due Stati intendono favorire il progresso economico e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nella regione dei Grandi Laghi Africani. Però la situazione resta ad ‘alta tensione’.

Da Maurizio Misitano, direttore esecutivo della Fondazione ‘Agostiniani nel mondo’, ong che opera in molti Paesi del mondo, ci facciamo raccontare la situazione nella Repubblica Democratica del Congo: “La situazione nella Repubblica Democratica del Congo non è facile:adesso è esplosa, ma quella zona con quelle limitrofe è in grande difficoltà. Il reclutamento forzato di popolazione molto giovane è sempre attivo e colpisce moltissimo anche le nostre missioni nel nord della Repubblica Democratica. Abbiamo progetti con l’obiettivo comune di assistere i poveri”.

Quali sono i progetti che la Fondazione sta realizzando?

“A Kinshasa abbiamo una scuola, dalla materna alla secondaria, con 2500 studenti e studentesse (51%). Abbiamo un programma al contrasto del lavoro minorile, fenomeno terribile nel Paese, che ufficialmente ‘coinvolge’ circa 8.000.000 bambini e bambine, ma secondo noi sono molti di più. Con il progetto contro lo sfruttamento al lavoro minorile, cerchiamo di stabilizzare la situazione economica dei genitori, i quali mandano i figli a lavorare per una questione di povertà. Quindi li aiutiamo a stabilizzarsi, coinvolgendo gli imprenditori locali attraverso la formazione del personale, oppure sostenendo l’apertura di piccole attività produttive o cooperative. A Dungu abbiamo costruito il Centro Juvenat che si occupa di reinserimento nella società degli ex-bambini soldato e l’ampliamento dello stesso con una scuola che li possa accogliere”.

 

In quale modo la Fondazione aiuta i bambini-soldato?

“Nel nord della Repubblica Democratica del Congo abbiamo aperto un centro per il recupero ed il reinserimento di ex ragazzi e ragazze soldato. Abbiamo terminato di costruire il centro nel 2020 ed oggi ospita, con un programma di boarding, un centinaio di ex ragazzi soldato; però, al contempo fornisce formazione al lavoro con un programma di reinserimento per circa 800 ragazzi e ragazze vulnerabili. Il ‘piano’ consiste in un primo percorso psicologico e psicofisico, per chi ne ha bisogno; dopodiché li formiamo al lavoro con alcuni laboratori. Abbiamo una falegnameria, dove imparano a fare i falegnami, e corsi di sartoria e di programmazione dei computer; abbiamo anche un’azienda agricola dove imparano tecniche di agro economia, con la produzione di miele e la produzione di mattonelle di carbone da scarti vegetali. Abbiamo aperto anche corsi di video maker e di teatro. Infine abbiamo aperto anche un cinema. L’anno scorso abbiamo costruito una scuola, perché abbiamo visto che il loro reinserimento è complicato, perché le altre scuole hanno paura di questi bambini, ristrutturando una ‘vecchia’ scuola degli Agostiniani, aperta nel 2016, e l’abbiamo ampliata. La costruzione di questa scuola terminerà a fine anno e permetterà di assistere a circa 1000 studenti e studentesse con un ciclo di studi completo”.

 

Quale è l'impegno della fondazione alle Nazioni Unite?

“Tale impegno è in via di definizione, in quanto siamo in stretto contatto con la rappresentanza degli Agostiniani all’ONU per condividere alcune tematiche come i diritti umani in Papua occidentale o sui problemi degli ex bambini soldato nella Repubblica Democratica del Congo e per denunciare. Però direttamente la Fondazione non è coinvolta direttamente; supportiamo solo il lavoro degli Agostiniani all’ONU”.

 

Cosa significa educare allo sviluppo?

“Educare allo sviluppo vuol dire far capire alle persone il significato dell’aiuto ai Paesi emergenti. In un certo senso significa responsabilizzare il donatore. In Italia abbiamo tanta solidarietà, ma purtroppo rimane in superficie. Invece il donatore deve chiedere sempre più a noi, che operiamo, un rendiconto dei progetti in via di realizzazione per comprendere in quale modo si utilizza il denaro. Poi educare allo sviluppo significa stimolare le persone a fare qualcosa come un po’ di volontariato o semplicemente avere un atteggiamento più aperto nei confronti degli altri. Tutti dobbiamo essere costruttori di ponti, come ha sempre sottolineato papa Leone XIV”.

Nel 2019 papa Francesco aveva invitato a tenere viva la 'fiamma della carità fraterna': in quale modo?

“Innanzitutto vogliamo evidenziare che, all’interno del nostro logo, c’è proprio la fiamma sul cuore degli agostiniani. Poi nel nostro lavoro (la fondazione è laica), però portiamo avanti uno spirito missionario ed una ricerca di carità cattolica e cristiana verso i poveri. Tutto ciò sempre in comunione con gli altri attraverso la condivisione con i confratelli ed il territorio i nostri progetti”.

 

Quali sono le parole emergenti in questi mesi di pontificato di papa Leone XIV?

“Sicuramente la prima parola è quella della pace, in quanto nel discorso iniziale ha usato questa parola dieci volte. Una pace disarmata, perché se si tolgono le armi si trova il modo di dialogare in maniera diversa; e disarmante. Dobbiamo essere costruttori di ponti; non dobbiamo creare ostacoli al dialogo, ma stimolo al dialogo. Sant’Agostino è ricordato per essere un ‘ponte’ tra culture. Altra parola riguarda i diritti dei deboli: in tutti i Paesi, in cui lavoriamo, l’aspetto prioritario riguarda la garanzia dei diritti ai più deboli ed agli emarginati. Il primo diritto è quello di vivere una vita degna. Infine, ogni volta che ascoltiamo un’omelia di papa Leone XIV troviamo uno spunto interessante e questo ci stimola a lavorare sempre con più impegno, come stiamo facendo da più di 10 anni, ciascuno con la propria responsabilità, perché noi possiamo fare tanto se le persone ci aiutano anche economicamente”.

 

Cosa rappresenta per voi questo pontificato di papa Leone XIV?

“Papa Prevost, come agostiniano, ha dimostrato la sua forte appartenenza religiosa e il suo legame con i confratelli, con un’aderenza piena al percorso formativo e pastorale che ha compiuto. Un percorso che, di fatto, costituisce la sua ‘carta d’identità’: lo studio, il servizio parrocchiale, la missione e le spiccate capacità per gestire un Ordine. In 10 anni è diventato vescovo (in una diocesi particolarmente complicata), poi cardinale ed infine papa. Come famiglia agostiniana lo abbiamo sempre apprezzato come persona molto umile e disponibile con chiunque. Quando è venuto qui dopo l’elezione ed ha salutato tutti i laici che lavorano per la Curia generalizia, non è passata inosservata la semplicità che non ha smarrito nonostante la veste papale”.    

 

 

(La storia continua sotto)

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