Washington, 25 October, 2025 / 2:00 PM
A maggio, il Dipartimento di Giustizia del presidente USA Donald Trump aveva dichiarato di investigare su una legge dello Stato di Washington (non la capitale, ma lo Stato, che si trova a Ovest, dall’altra parte degli Stati Uniti) che avrebbe obbligato i sacerdoti a denunciare gli abusi sui minori di cui venivano a conoscenza in confessione, con una pena fino ad un anno di carcere se non lo avessero fatto. Ora, la parte controversa di quella legge è stata messa da parte, e lo scorso 10 ottobre una mozione del distretto federale ha affermato che lo Stato e il governo locale avrebbero smesso di cercare di richiedere ai sacerdoti di violare il segreto della confessione.
Una buona notizia, in un contesto sempre più difficile, tanto che già nel 2020 la Penitenzieria Apostolica aveva dovuto pubblicare una nota in cui si metteva chiaro come il sigillo della confessione fosse inviolabile.
Il procuratore generale di Washington ha detto, in una conferenza stampa convocata lo scorso 10 ottobre, che comunque i sacerdoti rimarranno nella categoria di coloro che devono obbligatoriamente riportare, ma che i procuratori “concorderanno nel non forzare le richieste di riportare su informazioni che i sacerdoti imparano solamente attraverso la confessione o il loro equivalente in altre fedi”.
I sacerdoti erano stati inclusi tra coloro obbligati a riportare da un revisione della legge dello Stato di Washington approvata dalla Legislatura di Stato e firmata dal governatore Robert Ferguson. La legge non prevedeva un’esenzione per il sigillo della confessione, togliendo ai sacerdoti il privilegio della “comunicazione privilegiata” che veniva accordato invece ad altre professioni.
A luglio, la legge è stata fermata da un esposto dei vescovi locali, e il giudice David Estudillo, nel decidere la sospensione, aveva fatto sapere che non era in discussione che la legge colpisse il libero esercizio della religione.
La decisione di non forzare la mano ai sacerdoti è stata accolta con favore da diversi gruppi di avvocati per la libertà religiosa, mentre la Conferenza Episcopale dello Stato di Washington ha fatto sapere che comunque i leader della Chiesa nello Stato hanno “consistentemente supportato l’obiettivo più ampio della legge di rafforzare la protezione per i minori”, e che anzi è stata “solo chiesa una piccola esenzione per proteggere il sacramnto della confessione”.
Già quando la legge aveva cominciato ad essere discussa, l’arcivescovo di Spokane Thomas Daly aveva promesso ai cattolici nello Stato che i sacerdoti avrebbero affrontato la prigione piuttosto che violare il segreto della confessione.
La legge dello Stato di Washington era solo l’ultima di una serie di leggi che violano il segreto della confessione, mentre anche la legge sulla sicurezza di Hong Kong del 2024 rischiava di andare in quella direzione.
Il Senato della California ha approvato il 24 maggio 2019 la legge 360, con 30 voti a favore e 2 contrar. La legge chiede ai sacerdoti di riportare ogni sospetto o conoscenza di abusi su minori ottenute anche durante il sacramento della confessione di un altro sacerdote o collega. La legge era anche stata emendata, perché una prima bozza della legge richiedeva la violazione del sigillo della confessione ogni volta che un sacerdote sospettasse abusi d parte di qualunque penitenti.
In Australia, la Chiesa Cattolica australiana ha già fatto sapere che non romperà il segreto della confessione, accettando le raccomandazioni della Royal Commission, una inchiesta governativa di cinque anni che ha ascoltato8 mila testimonianze su fatti che sarebbero accaduti tra il 1950 e il 2010 – inchiesta che ha portato a 230 processi, l’accusa di molestie al 7 per cento dei sacerdoti australiani e possibili risarcimenti da trasferire a 60 mila persone. La commissione aveva stilato una serie di raccomandazioni per la lotta agli abusi, che la Conferenza Episcopale Australiana ha analizzato passo dopo passo in un documento di 57 pagine, pubblicato il 31 agosto. Quasi tutte le raccomandazioni erano state accettate. Tranne la richiesta di rompere il sigillo sacramentale.
La tendenza internazionale di attaccare il segreto della confessione ha colpito anche l’India, dove ad agosto 2018 la Commissione Nazionale delle Donne ha chiesto al governo di abolire il sacramento perché “è una interferenza indebita in una questione sacra e vitale della vita cristiana”. La richiesta era arrivata a seguito dello scandalo che ha visto coinvolti 4 sacerdoti della Chiesa ortodossa siro-malankarese, i quali avevano utilizzato confidenze che una donna sposata aveva fatto loro in confessione per ricattarla e abusare sessualmente di lei.
Si tratta di una tendenza internazionale che ha radici lontane. Nel 2011, al culmine della crisi degli abusi tra il clero irlandese, Enda Kenny, allora “Taoiseach” (Primo Ministro) sostenne che “i sacerdoti dovrebbero avere un obbligo di legge di riportare i casi di abuso appresi in confessione”.
A livello internazionale, si era andati anche oltre: nel 2014, il Comitato ONU per la Convenzione sui Diritti del Bambino – vale a dire, il Comitato che valuta come le convenzioni siglate vengono applicate dagli Stati aderenti nel loro territorio – arrivò addirittura a fare pressioni sul diritto canonico, non distinguendolo dalle leggi dello Stato di Città del Vaticano, che erano invece oggetto della Convenzione, e criticando “il codice del silenzio vaticano”, che impedisce “pena scomunica” ai membri del clero di andare a denunciare i casi di cui vengono a conoscenza alle autorità.
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