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Papa Leone XIV e il Concilio di Nicea: le sfide della Chiesa di oggi

La cattedrale dello Spirito Santo

Inizia con l'incontro di preghiera con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali, il secondo giorno del primo viaggio apostolico di papa Leone XIV in Turchia-Libano.  Lo scenario, la cattedrale dello Spirito Santo di Istanbul, aperta al culto il 5 luglio del 1846. Un luogo carico di storia e di fede: presso l'Altare sono collocate le reliquie di alcuni santi tra cui quelle di San Lino, Papa e martire (67-69), successore dell'Apostolo Pietro. La Cattedrale, affiliata alla Basilica Vaticana di San Pietro l'11 maggio 1989, conta circa 550 persone. E oggi, in questo giorno speciale, è tutta gremita. 

 

Un incontro assai atteso e dal forte valore simbolico. Il papa è accolto all'ingresso della cattedrale dal Vicario Apostolico di Istanbul e dal Parroco, il quale gli porge la croce e l'acqua benedetta per l'aspersione. Si fanno avanti, due bambini offrono dei fiori al pontefice. E dopo che papa Leone XIV ha attraversato la navata centrale, raggiunge l'altare, mentre il coro intona un canto. 

 

E' il momento del saluto di benvenuto del Presidente della Conferenza Episcopale, monsignor Martin Kmetec, Arcivescovo di Izmir: "La saluto a nome di tutti i vescovi della Turchia, dei religiosi e delle religiose, delle persone consacrate, nonché dei sacerdoti che servono la Chiesa in questa terra benedetta, proprio dove la Chiesa è nata in mezzo alle nazioni. Il saluto anche a nome dei fedeli laici, che si dedicano con generosità alla pastorale e alla carità. Con il salmista vorremmo esclamare: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!”. Le parole del salmo responsoriale segnano l'incontro: un rallegrarsi, un esultare che sta vivendo tutta la Chiesa della Turchia per questo momento storico. 

 

Dopo le Letture, il papa prende la parola: “È una grande gioia trovarmi qui in mezzo a voi. Ringrazio il Signore che mi concede, nel mio primo Viaggio Apostolico, di visitare questa “terra santa” che è la Turchia, nella quale la storia del popolo di Israele si incontra col cristianesimo nascente, l’Antico e il Nuovo Testamento si abbracciano, si scrivono le pagine di numerosi Concili”, con queste parole il pontefice ha esordito nel suo discorso in lingua inglese. E’ un’omelia incentrata sul tema della radici quella di papa Leone XIV: “Abramo nostro padre si mise in cammino da Ur dei Caldei e poi, dalla regione di Carran, a sud dell’odierna Türkiye, egli partì per la Terra promessa. Nella pienezza dei tempi, dopo la morte e risurrezione di Gesù, i suoi discepoli si diressero anche verso l’Anatolia, e ad Antiochia – dove poi fu vescovo Sant’Ignazio – vennero chiamati per la prima volta “cristiani” (cfr At 11,26). Da quella città San Paolo iniziò alcuni dei suoi viaggi apostolici, fondando molte comunità. Ed è ancora sulle coste della penisola anatolica, a Efeso, che secondo alcune fonti antiche, avrebbe soggiornato e sarebbe morto l’evangelista Giovanni, discepolo amato dal Signore”. La storia evangelica, parla. E tanto. E il pontefice la ricorda, ne fa memoria. Per sé e per l’uditorio che attento ascolta le parole del pontefice. 

 

Poi, l’attenzione si sposta sulle varie comunità cristiane che popolano la Tirchia: cita gli Armeni, i Siri e i Caldei. Qui, in questa terra “il Patriarcato Ecumenico continua ad essere punto di riferimento sia per i propri fedeli greci che per quelli appartenenti ad altre denominazioni ortodosse”. L’invito del pontefice per il presente è chiaro: “Oggi siete voi la Comunità chiamata a coltivare il seme della fede trasmessoci da Abramo, dagli Apostoli e dai Padri”. Poi, il tema della “piccolezza” prende piede nella sua omelia: una piccolezza che - per il pontefice - lambisce la Chiesa tutta che “è diventata numericamente più piccola”. Ma, non è uno “sguardo rassegnato” l’atteggiamento che chiede il pontefice: “Al contrario, siamo invitati ad adottare lo sguardo evangelico, illuminato dallo Spirito Santo. E quando guardiamo con gli occhi di Dio, scopriamo che Egli ha scelto la via della piccolezza, per discendere in mezzo a noi. Ecco lo stile del Signore, che siamo chiamati a testimoniare: i profeti annunciano la promessa di Dio parlando di un piccolo germoglio che spunterà, e Gesù elogia i piccoli che confidano in Lui, affermando che il Regno di Dio non si impone attirando l’attenzione  ma si sviluppa come il più piccolo di tutti i semi piantanti nel terreno”. 

 

Ed è questa “piccolezza”, questa “logica della piccolezza” (così la chiama Leone XIV) che rappresenta “la vera forza della Chiesa. Essa, infatti, non risiede nelle sue risorse e nelle sue strutture, né i frutti della sua missione derivano dal consenso numerico, dalla potenza economica o dalla rilevanza sociale. La Chiesa, al contrario, vive della luce dell’Agnello e, radunata attorno a Lui, è sospinta per le strade del mondo dalla potenza dello Spirito Santo”, continua il pontefice. 

 

“La Chiesa che vive in Turchia è una piccola Comunità che, però, resta feconda come seme e lievito del Regno. Pertanto, vi incoraggio a coltivare un atteggiamento spirituale di fiduciosa speranza, fondata sulla fede e sull’unione con Dio. C’è bisogno, infatti, di testimoniare con gioia il Vangelo e di guardare con speranza al futuro. Alcuni segni di questa speranza sono già ben presenti: chiediamo dunque al Signore la grazia di saperli riconoscere e coltivare; altri, forse, saremo noi a doverli esprimere in maniera creativa, perseverando nella fede e nella testimonianza”, afferma papa Leone XIV. Tra i segni di speranza che papa Leone XIV intravede nella Chiesa della Turchia, quello dei giovani “che bussano alle porte della Chiesa cattolica, portandovi le loro domande e le loro inquietudini”. 

 

Fa inoltre riferimento al servizio pastorale ai rifugiati e ai migranti. E su quest’ultimi, papa Leone XIV si sofferma: sulla loro “presenza assai significativa” che “pone alla Chiesa la sfida dell’accoglienza e del servizio”. Ricorda, inoltre, i primi otto Concili Ecumenici celebrati proprio in Turchia. Ricorda il 1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea: una storia che sembrerebbe passata, e invece - per papa Leone XIV - rappresenta “un evento sempre attuale” che pone alcune sfide alla Chiesa. Quali? La prima che il pontefice ricorda è “l’importanza di cogliere l’essenza della fede e dell’essere cristiani” perché “Nicea ci invita ancora oggi a riflettere su questo: chi è Gesù per noi? Cosa significa, nel suo nucleo essenziale, essere cristiani?” chiede papa Leone XIV. Si concentra sul “Simbolo della fede, professato in modo unanime e comune” che “diventa così criterio di discernimento, bussola di orientamento, perno attorno al quale devono ruotare il nostro credere e il nostro agire”.

 

Poi, la seconda sfida riguarda che l’urgenza di “riscoprire in Cristo il volto di Dio Padre”: “Nicea afferma la divinità di Gesù e la sua uguaglianza con il Padre. In Gesù noi troviamo il vero volto di Dio e la sua parola definitiva sull’umanità e sulla storia. Questa verità mette costantemente in crisi le nostre rappresentazioni di Dio, quando non corrispondono a quanto Gesù ci ha rivelato, e ci invita a un continuo discernimento critico sulle forme della nostra fede, della nostra preghiera, della vita pastorale e in generale della nostra spiritualità”. 

 

Ma c'è anche un'altra sfida: l'"arianesimo di ritorno" che è presente nella cultura odierna ea volte tra gli stessi credenti: "Quando si guarda a Gesù con ammirazione umana, magari anche con spirito religioso, ma senza considerarlo davvero come il Dio vivo e vero presente in mezzo a noi. Il suo essere Dio, Signore della storia, viene in qualche modo oscurato e ci si limita a considerarlo un grande personaggio storico, un maestro sapiente, un profeta che ha lottato per la giustizia e niente di più" afferma papa Leone XIV. E, invece, Nicea ci ricorda che “Cristo Gesù non è un personaggio del passato, è il Figlio di Dio presente in mezzo a noi, che guida la storia verso il futuro che Dio ci ha promesso”. L'ultima sfida: la mediazione della fede e lo sviluppo della dottrina. Prendendo spunto dal Simbolo di Nicea, il papa ricorda che "è sempre necessario mediare la fede cristiana nei linguaggi e nelle categorie del contesto in cui viviamo, come fanno i Padri a Nicea e negli altri Concili. Allo stesso tempo, dobbiamo distinguere il nucleo della fede dalle formule e dalle forme storiche che lo esprimono, le quali restano sempre parziali e provvisorie e possono cambiare man mano che approfondiamo la dottrina". La dottrina cristiana, infatti, “non è un'idea astratta e statica, ma riflette il mistero stesso di Cristo: si tratta perciò dello sviluppo interno di un organismo vivente, che porta alla luce ed esplicita meglio il nucleo fondamentale della fede”.









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