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Un servizio di EWTN News

Con Maria Pia Veladiano per capire la ‘polvere’ degli abusi nella Chiesa

“Mi unisco poi alla Chiesa in Italia che oggi ripropone la Giornata di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, perché cresca la cultura del rispetto come garanzia di tutela della dignità di ogni persona, specialmente dei minori e dei più vulnerabili”: al termine della recita dell’Angelus domenicale papa Leone XIV ha pregato per le vittime degli abusi nella Chiesa, che si celebra martedì 18 novembre con il titolo ‘Rispetto. Generare relazioni autentiche’.

Prendiamo spunto da questa giornata per un’intervista a Maria Pia Veladiano (‘profondamente credente’, si definisce, già vincitrice del Premio Calvino e finalista al Premio Strega con ‘La vita accanto’), preside in pensione ed autrice del libro ‘Dio della polvere’, che vede Chiara, una donna di fede e fisioterapista, di fronte ad un vescovo, un uomo perbene, ma forse perbene non è abbastanza per un vescovo. Quell’incontro è solo il primo di una schermaglia che metterà in discussione le strutture del potere e l’inerzia che spesso è complice dell’omertà. Perché Chiara ha bussato alla porta del vescovado per una ragione: Luna, una ragazza giovanissima arrivata nel suo studio di fisioterapia, è stata vittima di una violenza, ed anche se lei non ne vuole parlare, il suo corpo parla per lei.

Con la sua scrittura intensa e diretta, Mariapia Veladiano entra nel cuore del tema più scottante per la Chiesa cattolica, quello degli abusi spesso taciuti sui giovani e le donne con un romanzo profondamente umano, che ha il ritmo serrato di un dialogo in cui entrambi sono determinati a salvare ciò che hanno di più caro: la Chiesa e la vita di una ragazza.

Iniziamo dal titolo: quale è il suo significato?

“La polvere è quella che si caccia sotto il tappeto per nascondere la mancanza di pulizia. Un tentativo di non affrontare la verità. Il romanzo racconta il dialogo serrato, a volte feroce, fra Chiara e un vescovo. Chiara è una fisioterapista e chiede giustizia per una sua paziente che ha subito violenza da un prete. Il vescovo è un uomo perbene, di sicuro non un violentatore, ma è parte di una struttura di potere, la Chiesa, che queste cose le vuole nascondere e ancora nascondere.

Il vescovo mette in campo tutti gli argomenti che tradizionalmente la Chiesa ha confezionato per non affrontare il problema dei preti che abusano sessualmente dei ragazzi e delle ragazze: sono casi rari, mele marce e non vale la pena di starcisi sopra troppo; chissà cosa è successo davvero, i bambini dicono bugie, le vittime esagerano; sono cose vecchie, meglio non rinvangarle. E lei, Chiara, contesta, protesta, si infuria perché l’unica cosa che conta, quando il male è stato compiuto, è rendere giustizia alle vittime e nel racconto della Chiesa le vittime non ci sono. C’è solo il prete da salvare. Contro la polvere dell’ipocrisia che corrode il Vangelo, combatte Chiara”.

Perché  ha deciso di affrontare questo tema?

“C’è da chiedersi perché non lo affrontino in tanti, vista la dimensione del problema. Papa Francesco in un’intervista del 2014 a Repubblica ha ammesso che il 2% dei preti sono pedofili. Ma le indagini dicono che sono almeno il doppio.  Noi abbiamo in Italia 35.000 preti cattolici. Il 2% vuol dire 700. Secondo lo psicoterapeuta Richard Sipe, specializzato in abusi del clero, ogni prete pedofilo, grazie alla prassi di spostarlo di parrocchia in parrocchia quando esce lo scandalo, abusa almeno di duecento, duecentocinquanta bambini e bambine nella sua vita. Il calcolo è facile.

Sicuri che non si debba parlarne? In ogni caso io l’ho potuto fare perché seguo il tema da sempre, sono redattrice del ‘Regno’, una rivista che da almeno 30 anni si occupa con competenza e rigore del tema della pedofilia del clero nel mondo. Perché la verità è che sia pure con lentezza le chiese di molti Paesi stanno affrontando in modo adeguato questo scandalo, noi no, in Italia tutto tace. Un romanzo permette di sentire il dolore dei personaggi, muove l’emozione insieme alla conoscenza. Forse può aiutare a capire la violenza più dei numeri e delle ricerche.

In Chiara come si ‘conciliano’ fede e ricerca della verità?

“Anche qui, c’è da chiedersi come fanno  a vivere bene i cristiani informati dei fatti, per così dire, cioè quelli che sanno delle violenze eppure le nascondono o le minimizzano. Come si fa a vivere una fede in Gesù Cristo venuto per liberare i piccoli e i poveri e poi non voler vedere le violenze dei preti? La verità della fede chiede la giustizia. L’unico posto in cui la Chiesa può stare quando sa di un abuso è vicino alla vittima. Quando la Chiesa ha nascosto e negato, come è capitato in Irlanda, ha pagato un prezzo altissimo. I fedeli della Chiesa cattolica d’Irlanda sono più che dimezzati dopo la pubblicazione dei rapporti sulle violenze sessuali sistemiche operate dal clero e soprattutto nascoste dai vescovi. La Chiesa irlandese ha perso credibilità. Non si può tacere”.

Come è possibile non 'perdere' la fede?

“Nel romanzo il vescovo ad un certo punto lo chiede a Chiara: ‘Senta, ma mi dice perché crede ancora?’ e lei gli risponde: ‘Non siete così importanti sa, vescovo. Potete togliermi il sonno, non la fede’. Questo è. Pensare che la fede dipenda dai preti è una forma di clericalismo, e c’è questo clericalismo, eccome. Ma la fede è un rapporto personale profondo con Dio. Di sicuro però una Chiesa che nasconde la violenza e umilia le vittime tiene lontano, molto lontano. Alla fine è naturale cercare luoghi di fede, o semplicemente di umanità, più autentica”.

In quale modo la Chiesa può 'riparare'?

“Il male fatto è grande, perché tocca i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze. La strada è indicata dalle Chiese che l’hanno già percorsa, come quella francese o tedesca. Promuovere indagini indipendenti, ci vuole terzietà, lo dicono tutti gli esperti. Un’istituzione potente non si guarisce da sola, non è questione di buona o cattiva volontà. Semplicemente non vede abbastanza, tende all’autodifesa. Poi, riconoscere i fatti, ascoltare le vittime, stare dalla loro parte sempre. Infine trovare meccanismi di prevenzione. E’ evidente che c’è un problema di formazione dei preti.

Le linee guida per la formazione dei seminaristi riportano una visione della donna che non si può nemmeno immaginare, oggi. La donna è ‘esempio di preghiera, servizio, abnegazione, tenera vicinanza al prossimo, testimone di umile, generoso, disinteressato servizio’. Quando leggo queste parole durante gli incontri c’è chi ride e dice: la mamma di una volta, insomma. Altri dicono: la perpetua insomma. Non è bello questo. Chiara lo dice al vescovo: se foste più fedeli al Vangelo trovereste modi di condividere la responsabilità della Chiesa con le donne.  Sono convinta che se le donne fossero più presenti nei posti di responsabilità, la violenza del clero sui minori sarebbe un problema molto meno grave”.

Nella Chiesa italiana c’è volontà di ascoltare le vittime?

“No! E non lo dico io, lo dice la Pontificia commissione per la tutela dei minori che il 16 ottobre scorso ha pubblicato il suo secondo rapporto, da quando è costituita. Lì si legge: “La Commissione rileva una notevole resistenza culturale in Italia nell’affrontare gli abusi” e rileva che al questionario sugli abusi e le misure di tutela dei minori inviato alle 226 diocesi italiane, solo 81 hanno risposto e rileva anche che la Conferenza episcopale italiana ‘non dispone di un ufficio centralizzato di ricezione delle segnalazioni/denunce e di analisi in modo tempestivo e comparativo, della corretta gestione dei casi nelle diverse regioni’.

In realtà in Italia solo la diocesi di Bolzano-Bressanone ha promosso e pubblicato un’indagine indipendente sugli abusi del clero a partire dalla data della sua fondazione. Un lavoro serio. Il vescovo Muser ha recentemente detto che nel passato ci sono stati errori da parte della Chiesa, ma che ora tutto il tema sarà seguito anche da esperti terzi che aiuteranno a far bene. Un modello da seguire”.

Come credente quanto è stato difficile affrontare questo tema?

“Lo sdegno e l’incredulità in me sono cresciuti con il crescere delle testimonianze delle vittime. All’estero, la Chiesa ha affrontato questo tema e ci sta lavorando, in Italia ancora no. In Irlanda se ne parla da 30 anni, negli Stati Uniti l’inchiesta ‘Spotlight’ del Boston Globe risale al 2001 ma le prime indagini datano 1992. La Germania ha fatto un lavoro d’inchiesta notevole, in Francia nel 2021 è stato pubblicato un rapporto dettagliato sugli abusi nella chiesa dal 1950 al 2020 frutto del lavoro certosino della CIASE, una Commissione indipendente e terza a cui la Conferenza episcopale francese ha affidato l’indagine”.

Per quale motivo questa ‘anomalia’ italiana?

“In Italia, quando emergono casi di abuso, c’è la tendenza a considerarli singoli ed isolati e non sistemici. I giornalisti americani che lavorano in Italia e si occupano di questi temi sostengono che c’è un’anomalia anche nel giornalismo italiano”.

 

(La storia continua sotto)

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