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Letture, le Beghine, una storia di donne per la libertà

Un saggio che racconta la verità sul fenomeno che ha dato un senso sbagliato ad un nome

La copertina del libro  |  | pd La copertina del libro | | pd

Svoltando lungo una stradina laterale, dal cuore convulso di Amsterdam, da piazza Kalverstraat, si passa d’improvviso in una sorta di oasi di pace. Un cortile immobile nell’aria fredda e lucida della sera, lampioni dalle linee antiche e in questa luce nitida si staglia tutt’intorno il profilo di case a schiera che sembrano uscite direttamente da una stampa antica o da un quadro ottocentesco.

Case dalle facciate lunghe e strette, tetti spioventi, ampie finestre, piccoli fazzoletti di terra con piante e fiori. Si rimane imprigionati nell’atmosfera senza tempo che emana questo luogo incantato. E del resto in un luogo simile potrebbero essere ambientate molte fiabe della ricca tradizione nordica. Questo è invece il Begijnhof, il quartiere delle beghine, con il suo cortile chiuso del 14esimo secolo, con le case tipiche dell’architettura olandese e la chiesa al centro. Al tempo della sua probabile fondazione, nel Medioevo, il cortile era completamente circondato dai canali, con un unico ingresso, a cui si accedeva attraverso un ponte. La porta in pietra riporta sul timpano la figura di Sant’Orsola, patrona di queste donne dalla vita anticonvenzionale. 

Ma chi erano le beghine e perché ancora sono capaci di avvincere, nonostante che il nome, nel tempo, sia stato usato in tono dispregiativo? Un libro appena ripubblicato offre l’occasione per riparlarne. 

Si tratta del saggio “Le  beghine. Una storia di donne per la libertà”, scritto da Silvana Panciera e pubblicato da Gabrielli Editore, in una nuova edizione riveduta e ampliata. Le beghine erano donne che non appartenevano ad un ordine ecclesiastico, ma avevano deciso di dedicare la loro vita all’assistenza dei bisognosi. Rinunciavano ad una vita privata, facendo voto di castità e unendosi in questa specie di comunità, ma potevano comunque uscire dal beghinaggio in qualsiasi momento. Vedove, giovani senza dote o comunque convinte di poter avere una vita piena e soddisfacente mettendosi a servizio del prossimo senza però entrare in ordini e congregazioni, senza vincoli ecclesiastici, insomma. A partire dal dodicesimo secolo, questa realtà si diffuse nell’Europa del Nord e le beghine, accettate e sconfessate a fasi alterne dalla Chiesa, vennero spesso accusate di eresia, perfino mandate al rogo come accadde nel 1310 alla mistica delle Fiandre Margherita Porete, una delle figure più famose con Hadewijck di Anversa, Maria d’Oignies, Mectilde di Magdeburgo.

Senza farne una lettura protofemminista, senza esaltare (com’è stato fatto spesso e volentieri) eventuali  “tentazioni eretiche”, la scelta di queste donne nasceva in realtà da una fede profonda  e dall’idea che si potessero creare comunità di mutuo sostegno per donne che volevano vivere la propria missione attraverso un’adesione libera e feconda.  

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Del resto, durante il periodo della riforma protestante,  sempre ad Amsterdam, in piena espansione del calvinismo, il Begijnhof rappresentò l’unica istituzione cattolica romana presente in città, soprattutto grazie al fatto che le case delle beghine erano di loro proprietà. All’interno del beghinaggio fu costruita in gran segreto una chiesa cattolica, la chiesa dei Santi Giovanni e Orsula, patroni del Begijnhof, in cui le beghine pregavano in clandestinità in seguito alla confisca da parte dei calvinisti degli edifici di culto cattolici. 

Oggi delle originali abitazioni delle beghine rimane soltanto qualche testimonianza come la Het Houten Huis, che tra l’altro è la più antica casa di Amsterdam, una casa di legno datata intorno al 1420. Tuttavia il Begijnhof è ancora abitato da donne sole, in genere donne benestanti e studentesse, di cui il visitatore deve rispettare la privacy e la tranquillità. Da quando l’ultima beghina è deceduta nel 1971, questo ordine ad Amsterdam è andato perduto. Fu soltanto qualche anno dopo che, per favorire il mantenimento del posto di così grande rilevanza storica, il governo approvò un piano di ristrutturazione.

In realtà la comunità è declinata e praticamente scomparsa lungo tutto il Novecento e ha perso la sua ultima rappresentante nel 2013; si chiamava Marcella Pattijin, era nata nel 1920 nel Congo Belga e, cieca dalla nascita, viveva in una comunità religiosa femminile in Belgio, l’ultima donna vissuta nella costante volontà di  perpetuare  quella straordinaria tradizione nata nel cuore dell’epoca medieval che comunque hanno lasciato una solida ed esemplare eredità, come dimostra il saggio che abbiamo segnalato, un’eredità che potrebbe ancora suggerire molto ai nostri tempi smarriti. Destino ingrato e distorto: ancora oggi (per chi ancora lo conosce)  il termine “beghina” è associato a bigottismo, arretratezza, chiusura. Mentre loro vivevano esattamente al contrario.

 

Silvana Panciera, “Le  beghine. Una storia di donne per la libertà”, Editori Gabrielli, pp.174, euro 17