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1959, Giovanni XXIII e l'importanza delle missioni cattoliche

60 anni fa l'enciclica di Papa Giovanni "Princeps Pastorum"

San Giovanni XXIII |  | Medici con l'Africa Cuamm
San Giovanni XXIII | | Medici con l'Africa Cuamm

Il 28 novembre 1959 Papa Giovanni XXIII pubblicava la quarta enciclica del suo pontificato, la Princeps Pastorum dedicata al tema delle missioni cattoliche nel mondo. Un testo attuale anche a 60 anni di distanza.

Il Papa richiama l’importanza che al tema diede Papa Benedetto XV con la Lettera Apostolica Maximum Illud e sottolinea come “le chiese locali dei territori di missione, anche fondate e stabilite con la propria gerarchia, sia per la vastità di territorio, sia per il numero crescente dei fedeli e l'ingente moltitudine di quelli che aspettano la luce dell'evangelo, continuano ad aver ancora bisogno dell'opera dei missionari venuti da altri paesi. Di essi, peraltro, si può ben dire: essi non sono affatto stranieri, poiché ogni sacerdote cattolico nello svolgimento delle sue mansioni si trova come nella sua patria, dovunque il regno di Dio fiorisce o è ai suoi inizi. Lavorino, dunque, tutti insieme, nell'armonia di una fraterna, sincera e delicata carità, sicuro riflesso dell'amore che essi hanno per il Signore e per la sua chiesa, in perfetta, festosa e filiale obbedienza ai vescovi che lo Spirito Santo ha posto a reggere la chiesa di Dio, ognuno grato all'altro per la collaborazione offerta, un cuore solo e un'anima sola, affinché dal modo come essi si amano rifulga agli occhi di tutti che sono veramente discepoli di colui che agli uomini ha dato come primo e più grande precetto, come comandamento nuovo e suo, quello del mutuo amore”.

Richiamandosi ancora a Benedetto XV, Giovanni XXIII aggiungeva che “la formazione del clero autoctono deve mirare a renderlo capace di prendere nelle mani, appena ciò è possibile, il governo delle nuove chiese e di guidare, con l'insegnamento e il ministero, i propri connazionali nella via della salvezza.  A tale scopo, Ci sembra sommamente opportuno che tutti coloro i quali, sia allogeni che nativi, curano detta formazione, si impegnino coscienziosamente a sviluppare nei loro alunni il senso di responsabilità e lo spirito di iniziativa, in modo che questi siano in grado di assumere ben presto e progressivamente tutte le mansioni, anche le più importanti, inerenti al loro ministero, in perfetta concordia col clero allogeno, ma anche in eguale misura. Questa, infatti, sarà la prova della reale efficacia dell'educazione ad essi impartita e costituirà il coronamento e il premio migliore di quanti vi hanno contribuito”.

Il Papa ricorda inoltre che “la diffusione della verità e della carità di Gesù Cristo è la vera missione della chiesa, che ha il dovere di offrire ai popoli nella massima misura possibile, le sostanziali ricchezze della sua dottrina e della sua vita, animatrice di un nuovo ordine sociale cristiano.  Essa perciò, nei territori di missione, provvede con tutta la larghezza possibile anche a iniziative di carattere sociale e assistenziale che sono di sommo giovamento alle comunità cristiane e ai popoli in mezzo ai quali esse vivono. Si badi tuttavia a non ingombrare l'apostolato missionario con un complesso di istituzioni di ordine puramente profano. Ci si limiti a quei servizi indispensabili di agevole mantenimento e di facile uso, il cui funzionamento potrà essere messo al più presto nelle mani del personale locale, e si dispongano le cose in modo che al personale propriamente missionario venga offerta la possibilità di dedicare le migliori energie al ministero di insegnamento, di santificazione e di salvezza”.

Poi il monito, attuale e valido ancora oggi: “un'istruzione ed educazione cristiana che si ritenesse paga di aver insegnato e fatto apprendere le formule del catechismo e i precetti fondamentali della morale cristiana con una sommaria casistica, senza impegnare la condotta pratica - scriveva il Papa - si esporrebbe al rischio di procurare alla chiesa di Dio un gregge per dir così passivo. Il gregge di Cristo, invece, è formato di pecorelle che non solo ascoltano il loro pastore, ma sono in grado di riconoscerne la voce, di seguirlo fedelmente e con piena consapevolezza sui pascoli della vita eterna per poter meritare un giorno dal Principe dei pastori la corona immarcescibile della gloria, pecorelle che, conoscendo e seguendo il Pastore che ha dato la vita per esse, siano pronte a dedicare la loro vita a lui e adempierne la volontà di condurre a far parte dell'unico ovile le altre pecorelle che non lo seguono, ma vagano lontane da Lui, che è via, verità e vita”.

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