Affreschi, volte, pale d’altare: è facile perdersi tra le tante cappelle della barocca Chiesa del Gesù di Roma, fulcro della storia e della spiritualità della Compagnia del Gesù. In questa magnifica chiesa, posta a pochi passi dalla famosa Piazza Venezia e da Via del Corso,  dal 1637 riposa il corpo di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), il fondatore della stessa istituzione religiosa. Una chiesa da una storia affascinante poiché fu lo stesso Sant’Ignazio, nel 1551, a commissionarne il disegno progettuale all’architetto fiorentino Nanni di Baccio Bigio. Nel 1554 la pianta verrà poi ridisegnata addirittura da Michelangelo Buonaroti, seppur il suo progetto rimarrà solo sulla carta, mai realizzato. Si dovrà aspettare il 1561 quando finalmente il cardinale Alessandro Farnese fornirà il finanziamento per la costruzione della chiesa. Vi lavorono: Jacopo Barozzi, meglio conosciuto come “Il Vignola”; gli architetti gesuiti Giovanni Tristano e Giovanni de Rosis. La facciata fu disegnata dal Vignola, ma poi venne scelto il progetto di Giacomo Della Porta. La costruzione avverrà solo nel 1568 con completamento nel 1575. 

Nella cappella dove giace il corpo del santo fondatore, ogni pomeriggio avviene un meraviglioso prodigio dell’arte barocca: una macchina teatrale racconta la vita del santo guerriero. È un evento che ogni fedele - e anche turista - attende trepidante: un modo per immergersi nel lontano 1600 e abbandonare, almeno per un momento, il nostro secolo. La macchina barocca della Chiesa del Gesù, a Roma, comprende - inoltre - una magnifica statua bronzea di sant’Ignazio: la statua originaria, opera di Pierre II Le Gros, venne fusa durante l’occupazione francese del 1798.  Ne rimase soltanto la pianeta, cui agli inizi del XIX secolo furono adattate le parti mancanti, formate in stucco e quindi argentate. Il lavoro venne eseguito nello studio di Antonio Canova, probabilmente da Adamo Tadolini (1788-1868).             

L’idea di “macchina barocca” proveniva dall’ambiente teatrale dell’epoca: l’ordine dei gesuiti è stato, fin dal suo sorgere, assai attento al mondo teatrale. Il teatro barocco “laico” viveva di alcuni elementi fantastici (come nuvole,  sole, mari riprodotti in legno o tela) e le scene più spettacolari riguardavano per la maggior parte tematiche come le battaglie, spettacolari incendi e distruzioni. Tra questa tipologia di teatro barocco e la Compagnia del Gesù nacque una sorta di dialogo e di contaminazione artistica: ognuno mutuò dall’altro “qualcosa”. La cappella di Sant’Ignazio rappresenta più che bene  questo dialogo. 

Immergiamoci, allora, ora in questo teatro barocco-religioso che è possibile vivere nella chiesa più famosa dell’istituzione religiosa dei Gesuiti: lo “spettatore-fedele” viene catapultato nella vita del santo spagnolo grazie a questa macchina che tutt’oggi funziona perfettamente. Lo stesso impianto architettonico della cappella in cui si trova ricorda molto, infatti, un teatro: le immense colonne, poste a lato della cappella, fungono da “arco scenico” sotto il quale avviene “magicamente” la scena. La tela che è posta nella nicchia sopra il sarcofago di Sant’Ignazio funge da vero e proprio sipario. Attribuita ad Andrea Pozzo, rappresenta, in alto, il santo che riceve da Cristo risorto il vessillo con il monogramma del nome di Gesù; in basso, su uno sfondo indefinito, sono dipinti due angeli: quello a sinistra regge il Vangelo, quello a destra indica verso quattro personaggi, simboli dei quattro continenti conosciuti al tempo. L’attenzione è posta tutta su questa scena dipinta fino a quando magicamente - come un sipario teatrale - si apre, sale e scende con un sistema di bilancieri. Ed è a questo punto che avviene il vero e proprio prodigio della macchina teatrale: la tela scende e lascia lo spazio alla scultura bronzea color oro del santo. E’ questa statua ad essere protagonista della scena. L’effetto è di grande impatto: sembra di assistere alla gloria in Cielo dello stesso santo. E lo spettatore-fedele, davanti a simile colpo di teatro, non sa davvero se sia più opportuno pregare o applaudire.