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Linguaggi pontifici, i riti scomparsi: una memoria da tenere viva

L’incoronazione. Lo stocco e il berrettone, Gli Agnus Dei. Sono tre dei riti scomparsi, che pure avevano una grande tradizione

Concilio Vaticano II | Una assise del Concilio Vaticano II, spartiacque che ha segnato la scomparsa di alcuni riti | PD Concilio Vaticano II | Una assise del Concilio Vaticano II, spartiacque che ha segnato la scomparsa di alcuni riti | PD

Dall’ultima incoronazione di un Papa, avvenuta ormai sessanta anni fa, allo stocco e il berrettone, fino agli Agnus Dei di cera benedetti: sono tutti “riti scomparsi”, ovvero riti che erano parte della liturgia del Romano Pontefice e che ora non si fanno più. Ma sono importanti, ed è importante conoscerli, perché questi riti erano un altro modo in cui la Santa Sede si rappresentava, raccontava se stessa, diceva al mondo il senso del suo esistere.

È per questo che monsignor Stefano Sanchirico, officiale della Archivio Apostolico Vaticano, e già prelato d’anticamera e cerimoniere pontificio, ci accompagnerà alla scoperta di questi riti scomparsi, dando seguito e completamento alle conversazioni sui “Linguaggi pontifici” che svolgiamo per il terzo anno di fila.

Nella prima serie di questi colloqui, ci si era concentrati più sul cerimoniale vaticano, sul modo in cui la Santa Sede si raccontava quando riceveva capi di Stato e capi di governo, sul senso del vestire del Papa di bianco e di rosso, colori che venivano direttamente dall’impero e che venivano mutuati in un lavoro di imitatio imperii, ma anche – oserei dire – resignificatio imperii: dall’impero secolare a quello celeste, dal governo delle cose temporali alla preparazione per le cose del cielo, con un amore presente, fortissimo, sin dagli inizi della Chiesa, per i poveri e gli emarginati.

In fondo, c’è un senso teologico in tutto ciò che si fa, e il fatto che Gesù Cristo sia entrato nella storia, con corpo e sangue, e abbia donato la sua vita, ha reso visibile un dato di fatto: che siamo tutti fratelli perché veniamo da uno stesso Padre.

Da qui nasce il secondo ciclo di linguaggi pontifici, dedicato ai cerimoniali della povertà e della carità. Come dicevamo, i Papi hanno da sempre dedicato parte della loro missione proprio a prendersi cura degli emarginati e dei più poveri. Ma questa funzione primaria del Papa come “padre dei poveri” si ritrovava in antichi riti e paramenti, come il succintorio, in alcuni casi caduti in disuso. Non è caduto in disuso, però, lo spirito e il senso di quei cerimoniali, ed è per questo che vanno raccontati.

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Quest’ultima serie è dedicata ai riti scomparsi. Riti che, improvvisamente, sono finiti nel dimenticatoio, non più utilizzati dai Papi. Se per il cerimoniale vaticano uno spartiacque decisivo è dato dalla cattività avignonese, perché quell’accidente della storia porta a ridefinire cerimoniali e tradizioni che il Papa generalmente compiva in tutta la città di Roma, per i riti scomparsi un punto di riferimento è il Concilio Vaticano II.

Dopo il Concilio, infatti, alcune cose caddero semplicemente in disuso, non furono più riproposte, con l’idea che fossero antiquate. Un po’, forse, ha contribuito anche una narrativa che si era creata già ai tempi del post-Concilio riguardante Paolo VI. Già l’anno successivo al pontificato, Paolo VI rinuncia al triregno. Ma dispone, alla fine, che questo si continui ad usare nelle celebrazioni di incoronazione successiva. Non avverrà più.

E questo anche perché si pensava che Paolo VI avesse abolito il passato, riformando la Casa Pontificia, lasciando da parte alcuni paramenti, rinunciando a volte ai simboli propri di un potere più secolare che spirituale. Ma Paolo VI non abolì nulla, perché mai un uomo che conosceva così bene Roma avrebbe pensato di dover mettere da parte un patrimonio straordinario di storia e simboli. Paolo VI riformò, nel senso di cambiare forma, a volte eliminando, ma nella maggior parte dei casi integrando, ri-sviluppando, dando nuovo significato e a volte nome, ma senza cancellare nulla della tradizione.  

Forse i riti scompaiono semplicemente per un equivoco della storia, forse ci sono altri motivi. La verità, però, è che tutto merita di essere ricordato. E deve essere ricordato soprattutto quando si guarda alla storia della Chiesa. In effetti, l’ossessione della Chiesa per il passato, per i simboli come furono pensati all’inizio della sua storia, nasce da un dato di fatto: che la rivelazione di Gesù è sempre viva e sempre nuova. Sta qui l’universalità della Chiesa. Ed è per questo che, nonostante si vada avanti con gli anni, non ci si può discostare troppo da quell’evento originario che è l’incarnazione di Cristo.

Vale la pena, dunque, andare a conoscere questi riti scomparsi. Servirà anche per ricomprendere la nostra storia e i nostri simboli.

 

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(1 – continua)