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Il nuovo responsabile, Marco Fadda racconta 50 anni della comunità ‘Papa Giovanni XXIII’

Un realtà iniziata da Don Oreste Benzi

Marco Fadda e la sua famiglia |  | Comunità Papa Giovanni XXIII Marco Fadda e la sua famiglia | | Comunità Papa Giovanni XXIII

L’idea di creare la comunità ‘Papa Giovanni XXIII’ nasce dall’esperienza del suo fondatore,don Oreste Benzi, insegnante di religione cattolica ed assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica, che aveva ideato un metodo da lui definito ‘un incontro simpatico con Cristo’ basato su attività ricreative e soggiorni estivi legati alla catechesi. Quando, nel 1968, incontrò i giovani rinchiusi in un istituto per disabili decise che anche essi avevano diritto al loro ‘incontro simpatico’ e decise di organizzare per loro un soggiorno in montagna. Riuscì nell’intento coinvolgendo un gruppo di suoi ex-alunni del liceo, i quali poi decisero con lui di proseguire la vita insieme ai ragazzi che avevano conosciuto. In questo modo mosse i primi passi la Comunità, che ottenne il riconoscimento della personalità giuridica come associazione da parte dello Stato italiano il 5 luglio 1972.

Il 3 luglio 1973 nasce a Coriano (Rimini) la prima casa-famiglia dell’Associazione destinata ad accogliere disabili e persone in stato di emarginazione. In seguito l’azione si estende ad altri settori del disagio sociale. Il 25 maggio 1983 l’Associazione è riconosciuta come ‘aggregazione ecclesiale’ da vescovo della diocesi di Rimini, mons. Giovanni Locatelli. Il 7 ottobre 1998 il Pontificio consiglio per i laici riconosce l'Associazione come Associazione internazionale privata di fedeli di diritto pontificio (riconoscimento n.1675/98), confermato nel riconoscimento n. 807/04.

Per questo anniversario al nuovo responsabile generale della comunità ‘Papa Giovanni XXIII’, Marco Fadda, abbiamo chiesto di illustrare una ‘casa famiglia’ dopo 50 anni: “La casa famiglia è, come esattamente 50 anni fa, una famiglia con una figura materna ed una paterna, nella maggior parte dei casi sono una coppia di sposi, che dedicano tutta la loro esistenza all’accoglienza degli ultimi, di chi ha bisogno di famiglia, piccoli, portatori di handicap, giovani, adulti in difficoltà, anziani. La bellezza della casa famiglia è che ci si salva insieme, creando legami famigliari anche se non ci sono legami di sangue, che permettono di crescere e di vivere in modo sufficientemente sereno”.

Per quale motivo Don Benzi diede vita all’esperienza della ‘casa Famiglia’?

“Don Oreste ebbe l’intuizione di aprire delle case famiglia per dare una famiglia a chi la famiglia non ce l’ha, a chi si trova in situazione di solitudine, di sofferenza…. per fare in modo che ognuno si senta appartenente ad una famiglia.. nessuno può vivere e morire da solo. Don Oreste sentì forte l’invito di un ragazzo ricoverato in un istituto di Rimini che gli chiese di non lasciarlo lì, ma di portarlo a casa sua: da quella provocazione nacque 50 anni fa il 3 luglio la prima casa famiglia a Coriano”.

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Quale ruolo sociale può avere la famiglia?

“La famiglia ha un ruolo estremamente importante ed essenziale per la crescita delle nuove generazioni; i piccoli, soprattutto se malati o portatori di disabilità hanno necessità di una mamma ed un papà che si prendano cura di loro, ma anche gli adulti e le persone anziane hanno bisogno di legami parentali, di relazioni che li facciano sentire amati e accuditi”.

Che cosa significa vivere in una ‘comunità del noi’?

“Noi non siamo un gruppo di persone che vive un’esperienza di vita, ma siamo un popolo che cerca, con tutte le difficoltà e miserie, di seguire Gesù che per noi si manifesta povero, servo, che espia il peccato del mondo; cerchiamo di vivere la fraternità, uniti da questo legame di popolo, di fratelli”.

Come ha incontrato l’associazione Papa Giovanni XXIII?

“Abbiamo incontrato la comunità, spinti dal desiderio di fare qualcosa di bello per Dio: abbiamo così conosciuto ed osservato tanti fratelli che dedicavano la loro vita alla condivisione (mettere la loro vita con la vita degli ultimi), e siamo stati contagiati dall’entusiasmo della loro vita”.

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Quale era la spiritualità di don Oreste Benzi?

“Credo che a don Oreste stesse a cuore solo seguire Gesù, lasciando mano libera allo Spirito Santo, che operava ed opera ancora attraverso la sua vita, le sue intuizioni, la sua sensibilità: una relazione vera, profonda, sincera con il Dio-uomo, crocifisso e risorto”.

In quale modo don Benzi comunicava Gesù ai giovani?

“Don Oreste aveva a cuore i giovani; la sua missione è partita con l’attenzione agli adolescenti, e con il desiderio di far fare a ciascuno un incontro simpatico con Gesù. Lui studiava e provava ogni mezzo perché questo avvenisse: campeggi, gite…andava lui stesso nelle discoteche a parlare di Gesù, proponendo la riconciliazione, dimostrando piena fiducia nei giovani”.