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San Giuseppe era un uomo giusto: una omelia di Benedetto XVI che vale una enciclica

Pubblicata da un giornale tedesco, è parte della serie di riflessioni festive del periodo dell'emeritato

Benedetto XV nella Cappella del Mater Ecclesiae |  | Vatican Media
Benedetto XV nella Cappella del Mater Ecclesiae | | Vatican Media
Benedetto XVI Celebra la messa al Mater Ecclesiae |  | Vatican Media
Benedetto XVI Celebra la messa al Mater Ecclesiae | | Vatican Media

"San Giuseppe è un giusto, esemplare ancora dell’Antico Testamento. Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta aperta". É un passaggio di una omelia che Benedetto XVI ha pronunciato nella cappella del Monastero Mater Ecclesiae il 22 dicembre del 2013. Il primo Avvento da emerito. E' una di quelle omelie che preparava con degli appunti su un quaderno ogni domenica. Una delle omelie che poi le Memores Domini, negli anni a seguire, hanno registrato a trascritto. Una omelia che un giornale tedesco ha pubblicato con l'approvazione della Fondazione Vaticana Ratzinger. Una di quelle omelie di cui abbiamo profondamente bisogno in un tempo di incertezza come quello che viviamo. Una di quelle omelie che alcuni fortunati, come me, hanno ascoltato partecipando alla messa festiva al Redemptoris Mater. Era l' 8 dicembre di quell'anno per me e io ho ancora nel cuore le parole della omelia di Benedetto XVI sulla Immacolata. Lei vedeva le cose in modo diverso perché non era avvezza al peccato, perché più si pecca e meno si è lucidi, anche se la misericordia di Dio è infinita. Il peccato ci cambia.

Ecco una di quelle omelie che si serve come faro nella notte.

Ecco allora Giuseppe, l'uomo giusto secondo l' Antico Testamento. Il Pericolo? Ecco come lo racconta Benedetto XVI:"Il pericolo appare nelle discussioni di Gesù con i farisei e soprattutto nelle lettere di San Paolo. Il pericolo è che se la parola di Dio è sostanzialmente legge, va considerata come una somma di prescrizioni e di divieti, un pacchetto di norme, e l’atteggiamento dovrebbe quindi essere di osservare le norme e così essere corretti. Ma se la religione è così, è solo questo, non nasce la relazione personale con Dio, e l’uomo rimane in se stesso, cerca di perfezionarsi, di essere un perfetto. Ma così nasce un’amarezza, come vediamo nel secondo figlio della parabola del figlio prodigo, che, avendo osservato tutto, alla fine è amaro e anche un po’ invidioso del fratello che, come lui pensa, ha avuto la vita in abbondanza. Questo è il pericolo: la sola osservanza della legge diventa impersonale, solo un fare, l’uomo diventa duro e anche amaro. Alla fine non può amare questo Dio, che si presenta solo con norme e talvolta anche con minacce. Questo è il pericolo".

Ma ecco anche la porta aperta, la promessa: "La promessa invece è: possiamo anche vedere queste prescrizioni, non solo come un codice, un pacchetto di norme, ma come espressione della volontà di Dio, nella quale Dio parla con me, io parlo con Lui. Entrando in questa legge entro in dialogo con Dio, imparo il volto di Dio, comincio a vedere Dio e così sono in cammino verso la parola di Dio in persona, verso Cristo. E un vero giusto come san Giuseppe è così: per lui la legge non è semplice osservanza di norme, ma si presenta come una parola di amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in questo dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme l’amore di Dio, capire che tutte queste norme non valgono per se stesse, ma sono regole dell’amore, servono perché l’amore cresca in me. Così si capisce che finalmente tutta la legge è solo amore di Dio e del prossimo. Trovato questo si è osservata tutta la legge. Se uno vive in questo dialogo con Dio, dialogo di amore nel quale cerca il volto di Dio, nel quale cerca l’amore e fa capire che tutto è dettato dall’amore, è in cammino verso Cristo, è un vero giusto. San Giuseppe è un vero giusto, così in lui l’Antico Testamento diventa Nuovo, perché nelle parole cerca Dio, la persona, cerca il Suo amore, e tutta l’osservanza è vita nell’amore."

E come ascoltare la parola di Dio ? "Anche per noi è importante questa sensibilità verso Dio, questa capacità di percepire che Dio parla con me, e questa capacità di discernimento. Certo, Dio non parla normalmente con noi come ha parlato attraverso l’angelo con Giuseppe, ma ha i suoi modi di parlare anche con noi. Sono gesti di tenerezza di Dio, che dobbiamo percepire per trovare gioia e consolazione, sono parole di invito, di amore, anche di richiesta nell’incontro con persone che soffrono, che hanno bisogno di una mia parola o di un mio gesto concreto, un fatto. Qui occorre essere sensibili, conoscere la voce di Dio, capire che adesso Dio mi parla e rispondere".

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E per rispondere serve la fede  che "diventa fondamento sul quale agire, sul quale vivere, è riconoscere che questa è la voce di Dio, imperativo dell’amore, che mi guida sulla strada della vita, e poi fare la volontà di Dio. San Giuseppe non era un sognatore, anche se il sogno era la porta con cui Dio era entrato nella sua vita. Era un uomo pratico e sobrio, un uomo di decisione, capace di organizzare".

La preghiera conclusiva è una di quelle con la quale puoi alzarti ogni mattina;: “Signore aiutaci ad essere aperti per Te, a trovare sempre più il tuo volto, ad amarTi, a trovare l’amore nella norma, essere radicati, realizzati nell’amore. Aprici al dono del discernimento, alla capacità di ascoltare Te e alla sobrietà di vivere secondo la tua volontà e nella nostra vocazione”.

 

ECCO IL TESTO INTEGRALE 

22.12.2013 – Domenica IV di Avvento
Omelia di Benedetto XVI

Cappella Privata – Monastero Mater Ecclesiae

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Vangelo: Mt 1,18-24
Cari amici,
accanto a Maria, Madre del Signore, e a san Giovanni Battista oggi la liturgia ci presenta una terza
figura, in cui l’Avvento è quasi persona, una figura che incorpora l’Avvento: san Giuseppe.
Meditando il testo del Vangelo possiamo vedere, mi sembra, tre elementi costituitivi di questa
visione.
Il primo e decisivo è che san Giuseppe viene chiamato “un giusto”. Questa è per l’Antico
Testamento la massima caratterizzazione di uno che vive realmente secondo la parola di Dio, che
vive l’alleanza con Dio.
Per capirlo bene dobbiamo pensare alla differenza tra Antico e Nuovo Testamento.
L’atto fondamentale di un cristiano è l’incontro con Gesù, in Gesù con la parola di Dio, che è
Persona. Incontrandoci con Gesù incontriamo la verità, l’amore di Dio e così la relazione di
amicizia diventa amore, la nostra comunione con Dio cresce, siamo realmente credenti e diventiamo
santi.
L’atto fondamentale nell’Antico Testamento è diverso, perché Cristo era ancora futuro e quindi al
massimo era andare incontro a Cristo, ma non era ancora un vero incontro come tale. La parola di
Dio nell’Antico Testamento ha sostanzialmente la forma della legge - “Torah”. Dio guida, questo è
il senso, Dio ci mostra la strada. É un cammino di educazione che forma l’uomo secondo Dio e lo
rende capace di incontrare Cristo. In tal senso questa giustizia, questo vivere secondo la legge è un
cammino verso Cristo, un estendersi verso di Lui; ma l’atto fondamentale è l’osservanza della
Torah, della legge, e così essere “un giusto”.
San Giuseppe è un giusto, esemplare ancora dell’Antico Testamento.
Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta aperta.
Il pericolo appare nelle discussioni di Gesù con i farisei e soprattutto nelle lettere di San Paolo. Il
pericolo è che se la parola di Dio è sostanzialmente legge, va considerata come una somma di
prescrizioni e di divieti, un pacchetto di norme, e l’atteggiamento dovrebbe quindi essere di

osservare le norme e così essere corretti. Ma se la religione è così, è solo questo, non nasce la
relazione personale con Dio, e l’uomo rimane in se stesso, cerca di perfezionarsi, di essere un
perfetto. Ma così nasce un’amarezza, come vediamo nel secondo figlio della parabola del figlio
prodigo, che, avendo osservato tutto, alla fine è amaro e anche un po’ invidioso del fratello che,
come lui pensa, ha avuto la vita in abbondanza. Questo è il pericolo: la sola osservanza della legge
diventa impersonale, solo un fare, l’uomo diventa duro e anche amaro. Alla fine non può amare
questo Dio, che si presenta solo con norme e talvolta anche con minacce. Questo è il pericolo.
La promessa invece è: possiamo anche vedere queste prescrizioni, non solo come un codice, un
pacchetto di norme, ma come espressione della volontà di Dio, nella quale Dio parla con me, io
parlo con Lui. Entrando in questa legge entro in dialogo con Dio, imparo il volto di Dio, comincio a
vedere Dio e così sono in cammino verso la parola di Dio in persona, verso Cristo. E un vero giusto
come san Giuseppe è così: per lui la legge non è semplice osservanza di norme, ma si presenta
come una parola di amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in questo
dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme l’amore di Dio, capire che tutte queste norme non
valgono per se stesse, ma sono regole dell’amore, servono perché l’amore cresca in me. Così si
capisce che finalmente tutta la legge è solo amore di Dio e del prossimo. Trovato questo si è
osservata tutta la legge. Se uno vive in questo dialogo con Dio, dialogo di amore nel quale cerca il
volto di Dio, nel quale cerca l’amore e fa capire che tutto è dettato dall’amore, è in cammino verso
Cristo, è un vero giusto. San Giuseppe è un vero giusto, così in lui l’Antico Testamento diventa
Nuovo, perché nelle parole cerca Dio, la persona, cerca il Suo amore, e tutta l’osservanza è vita
nell’amore.
Lo vediamo nell’esempio che ci offre questo Vangelo. San Giuseppe, fidanzato con Maria, trova
che aspetta un bambino. Possiamo immaginare la sua delusione: conosceva questa ragazza e la
profondità della sua relazione con Dio, la sua bellezza interiore, la straordinaria purezza del suo
cuore; ha visto trasparire in tutta questa ragazza l’amore di Dio e l’amore della Sua parola, della Sua
verità e adesso si trova gravemente deluso. Che cosa fare? Ecco, la legge offre due possibilità, nelle
quali appaiono le due vie, quella pericolosa, fatale, e quella della promessa. Può fare causa davanti
al tribunale e così esporre Maria alla vergogna, distruggerla come persona. Può farlo in modo
privato con una lettera di separazione. E san Giuseppe, vero giusto, anche se molto sofferente,
arriva alla decisione di prendere questa strada, che è una strada di amore nella giustizia, della
giustizia nell’amore, e san Matteo ci dice che ha lottato con sé stesso, in sé con la parola. In questa
lotta, in questo cammino per capire la vera volontà di Dio, ha trovato l’unità tra amore e norma, tra
giustizia e amore, e così, in cammino verso Gesù, è aperto per l’apparizione dell’angelo, aperto per
il fatto che Dio gli dà la conoscenza che si tratta di un’opera dello Spirito Santo.
Sant’Ilario di Poitier, nel IV secolo, una volta, trattando del timore di Dio, ha detto alla fine: “Tutto
il nostro timore è collocato nell’amore”, è solo un aspetto, una sfumatura dell’amore. Così possiamo
dire qui per noi: tutta la legge è collocata nell’amore, è espressione dell’amore e va adempiuta
entrando nella logica dell’amore. E qui dobbiamo tener presente che, anche per noi cristiani, esiste
la stessa tentazione, lo stesso pericolo che esisteva nell’Antico Testamento: anche un cristiano può
arrivare a un atteggiamento nel quale la religione cristiana è considerata come un pacchetto di
norme, di divieti e di norme positive, di prescrizioni. Si può arrivare all’idea che si tratta solo di
eseguire prescrizioni impersonali e così perfezionarsi, ma così si svuota il fondo personale della
parola di Dio e si arriva ad una certa amarezza e durezza del cuore. Nella storia della Chiesa lo
vediamo nel giansenismo. Anche noi tutti conosciamo questo pericolo, anche personalmente
sappiamo che dobbiamo sempre nuovamente superare questo pericolo e trovare la Persona e,
nell’amore della Persona, la strada di vita e la gioia della fede. Essere giusti vuol dire trovare questa
strada e così anche noi in realtà siamo sempre di nuovo in cammino dall’Antico al Nuovo
Testamento nella ricerca della Persona, del volto di Dio in Cristo. Proprio questo è l’Avvento:

uscire dalla pura norma verso l’incontro dell’amore, uscire dall’Antico Testamento, che diventa
Nuovo.
Questo quindi è il primo e fondamentale elemento della figura di san Giuseppe come appare nel
Vangelo di oggi. Ora due brevissime parole sul secondo e sul terzo elemento.
Il secondo: egli vede nel sogno l’angelo e ne ascolta il messaggio. Questo suppone una sensibilità
interiore per Dio, una capacità di percepire la voce di Dio, un dono di discernimento, che sa
discernere tra sogni che sono sogni e un vero incontro con Dio. Solo perché san Giuseppe era già in
cammino verso la Persona della Parola, verso il Signore, verso il Salvatore, poteva discernere; Dio
poteva parlare con lui e ha capito: questo non è sogno, è verità, è l’apparizione del Suo angelo. E
così poteva discernere e decidere.
Anche per noi è importante questa sensibilità verso Dio, questa capacità di percepire che Dio parla
con me, e questa capacità di discernimento. Certo, Dio non parla normalmente con noi come ha
parlato attraverso l’angelo con Giuseppe, ma ha i suoi modi di parlare anche con noi. Sono gesti di
tenerezza di Dio, che dobbiamo percepire per trovare gioia e consolazione, sono parole di invito, di
amore, anche di richiesta nell’incontro con persone che soffrono, che hanno bisogno di una mia
parola o di un mio gesto concreto, un fatto. Qui occorre essere sensibili, conoscere la voce di Dio,
capire che adesso Dio mi parla e rispondere.
E così siamo arrivati al terzo punto: la risposta di san Giuseppe alla parola dell’angelo è fede e poi
obbedienza, fatto. Fede: ha capito che questa era realmente la voce di Dio, non era un sogno. La
fede diventa fondamento sul quale agire, sul quale vivere, è riconoscere che questa è la voce di Dio,
imperativo dell’amore, che mi guida sulla strada della vita, e poi fare la volontà di Dio. San
Giuseppe non era un sognatore, anche se il sogno era la porta con cui Dio era entrato nella sua vita.
Era un uomo pratico e sobrio, un uomo di decisione, capace di organizzare. Non era facile – penso –
trovare a Betlemme, perché non c’era posto nelle case, la stalla come luogo discreto e protetto e,
nonostante la povertà, degno per la nascita del Salvatore. Organizzare la fuga in Egitto, trovare ogni
giorno da dormire, da vivere per lungo tempo: questo esigeva un uomo pratico con senso di azione,
con la capacità di rispondere alle sfide, di trovare le possibilità di sopravvivere. E poi al ritorno, la
decisione di ritornare a Nazareth, di fissare qui la patria del Figlio di Dio, anche questo mostra che
era un uomo pratico, che da falegname ha vissuto e reso possibile la vita di ogni giorno.
Così san Giuseppe ci invita da una parte a questo cammino interiore nella parola di Dio, per essere
sempre più vicini alla persona al Signore, ma nello stesso tempo ci invita ad una vita sobria, al
lavoro, al servizio di ogni giorno per fare il nostro dovere nel grande mosaico della storia.
Ringraziamo Dio per la bella figura di san Giuseppe. Preghiamo: “Signore aiutaci ad essere aperti
per Te, a trovare sempre più il tuo volto, ad amarTi, a trovare l’amore nella norma, essere radicati,
realizzati nell’amore. Aprici al dono del discernimento, alla capacità di ascoltare Te e alla sobrietà
di vivere secondo la tua volontà e nella nostra vocazione”. Amen!

© Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice Vaticana