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CEI, Cardinale Zuppi: “Le crisi presentano una Chiesa infragilita”

Il Cardinale Zuppi apre il Consiglio Permanente dei Vescovi. In discussione anche lo sviluppo del cammino sinodale.

Cardinale Matteo Zuppi | Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI | CEI Cardinale Matteo Zuppi | Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI | CEI

Forza nella debolezza Le crisi presentano una Chiesa infragilita. Non ci spaventino fragilità e piccolezza! Non sono solo indici problematici, ma anche la quotidiana realtà in cui la Chiesa da sempre vive”. Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, apre il Consiglio Permanente della CEI, il “parlamentino” dei vescovi italiani. E lo fa con una introduzione lunga, in cui rivendica il metodo sinodale che da sempre ha caratterizzato la Chiesa italiana da dopo il Concilio Vaticano II, e invita a guardare oltre le crisi. Ma anche ricordando lo speciale legame con il Papa, mentre i vescovi italiani stanno compiendo anche la loro visita ad limina. E sulla Fiducia Supplicans dice: “È un documento che si pone nell’orizzonte della misericordia”.

Chi siamo noi per la nostra gente? È questa la domanda da cui parte il presidente dei vescovi italiani. E la sua prima risposta è che i vescovi sono “operatori di pace”, perché “la pace è quello di cui l’umanità ha più bisogno oggi. Più volte abbiamo parlato di questo tempo di guerra. Ma dobbiamo farlo, perché è la realtà di oggi e proietta la sua ombra sinistra su tutti”.

Il Cardinale esprime “forte preoccupazione per l’escalation di odio e violenza che, in Ucraina, in Medio Oriente e in moltissime altre parti del mondo, sta seminando morte e distruzione”. Nota: “Il rumore delle armi continua ad assordarci; il male della guerra si allarga; la società è come assuefatta al dolore e chi parla di pace è come se gridasse nel deserto”.

Ma il presidente dei vescovi chiede di non rassegnarsi mai, perché “la costruzione della pace è certamente un dovere dei “grandi” della Terra, ma chiama in causa ciascuno di noi. Ognuno deve essere operatore di pace, artigiano di pace”.

Zuppi chiede di “trasformare la sofferenza della guerra nella nostra sofferenza”, e esorta affinché “le nostre Chiese” aboliscano “il linguaggio della discordia e della divisione”, ma abbiano piuttosto “parole di pace, chiamando i fedeli a nutrire pensieri e sentimenti di pace”, invitando a “non lasciare il santo Padre solo nel ministero di pace”.

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Il Cardinale Zuppi ricorda che i vesocvi italiani hanno cominciato proprio oggi la loro visita ad limina, incontrando “il Vescovo di Roma per condividere con lui le sfide odierne per l’annuncio del Vangelo, accogliendo come consegna la sua parola per tutte le nostre Chiese. E tutto questo in uno stile di grande franchezza, requisito essenziale per una Chiesa che voglia essere tutta sinodale”.

Parlando della dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede Fiducia Supplicans sulla benedizione alle coppie irregolari, il Cardinale Zuppi sottolinea che è “un documento che si pone nell’orizzonte della misericordia, dello sguardo amorevole della Chiesa su tutti i figli di Dio, senza tuttavia derogare dagli insegnamenti del Magistero”, ricorda che “non vi è alcuna messa in discussione del significato del Sacramento del matrimonio”, e rimarca che “non possiamo dimenticare che tutti i battezzati godono della piena dignità dei ‘figli di Dio’ e, come tali, sono nostri fratelli e nostre sorelle”.

Per il Cardinale Zuppi, è necessario essere uniti al Papa “in un tempo di frammentazione della comunità internazionale, di nazionalismi ed etnicismi. Siamo in un tempo in cui le organizzazioni sovranazionali faticano a essere punti di riferimento su scala globale, come purtroppo accade per le Nazioni Unite. La stessa Unione Europea necessita di maggiore coesione e capacità di azione in relazione ai conflitti in corso e alla promozione della pace e rispetto ad altri delicati scenari, tra cui le dinamiche demografiche, il cambiamento climatico, la tutela dei diritti fondamentali, la giustizia sociale di fronte alle diffuse povertà, la cooperazione internazionale”.

Il cardinale descrive la coesione tra i Paesi europei come “un dono per i singoli popoli”, che richiede “che le sue fonti ideali e spirituali siano costantemente richiamate, e semmai rinnovate, così da costituire un punto di riferimento per l’attività politica”.

Ma i vescovi sono anche “portatori di speranza”, perché “la fede ci chiede di interessarci della vita delle persone”. E certo, “spesso la speranza sembra offuscarsi”, magari a causa “del clima dovuto alle conseguenze del COVID”, con uno spaesamento che “avviene un po’ anche nella Chiesa”, dove si avverte “un senso di declino, evidenziato da tanti indicatori negativi: i numeri decrescenti di vocazioni e praticanti, il diminuito rilievo della Chiesa. Il senso del declino si diffonde tra sacerdoti, cristiani, mentre una Chiesa troppo preoccupata, se non rassegnata, diventa poco attrattiva, soprattutto per i giovani”.

Il Cardinale Zuppi sottolinea che “la Chiesa è chiamata a essere sé stessa con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante: chiamata dal Signore, dalla sete di senso e di fede di tanti, dal disorientamento di molti, dal bisogno dei poveri, dalla solitudine orgogliosa e disperata di parecchi, dalle inquietudini”.

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Afferma il Cardinale: “Non è solo il tempo della secolarizzazione, ma è anche il tempo della Chiesa! È il tempo della Chiesa, della sua forza di relazione, di gratuità. Non del declino, ma della vocazione a essere Chiesa di Dio!”

Insomma, “la Chiesa, con i suoi limiti, è un grande dono per noi e per l’umanità degli italiani. Lo vediamo: è una realtà che chiama alla speranza. Il Giubileo coinvolgerà i nostri popoli nel cammino di pellegrini della speranza”.

Il presidente dei vescovi italiani chiede di non farsi “intimidire da letture solo sociologiche della Chiesa”, né “da una cultura per cui la fede è al tramonto”, perché questa “è la prepotenza del pessimismo, che pare realismo. Il pessimismo diventa una specie di sicurezza e motiva la pigrizia e l’abitudine. Non facciamoci intimidire da letture della Chiesa che interpretano la nostra azione come politica. Siamo aperti al dialogo, ma non ci lasceremo dire da altri quale sia il contenuto dell’azione caritativa o della missione, che non sono mai di parte, perché l’unica parte della Chiesa è Cristo e la difesa della persona, della vita, dall’inizio alla fine”.

Il Cardinale ricorda gli anni difficili del passato, a partire dal post-Concilio Vaticano II “quando la comunità pareva spezzarsi nella contrapposizione tra gruppi, Vescovi e contestazione”. Si rispose “con l’ascolto mutua”, prima con il convegno sulle attese di carità e giustizia a Roma voluto dal Cardinale Poletti nel 1974 (cinquanta anni fa), poi nel convegno nazionale del 1976 su “Evangelizzazione e Promozione Umana”, preparato da un documento curato dal segretario CEI, il Servo di Dio Enrico Bartoletti.

“Quei Vescovi – nota il Cardinale Zuppi - ebbero coraggio, perché, in quegli anni, si scriveva che il cristianesimo stava per finire. Nello smarrimento, c’era contrapposizione di ricette per il futuro e forte incomunicabilità. Quei Vescovi, la cui memoria è benedizione, ebbero fiducia nello Spirito che anima, raccoglie, ispira la Chiesa”. Si trattava di “pastori, in comunione con il Papa, sentirono di dover camminare avanti nella comunione, convinti della missione delle Chiese in Italia e della Chiesa italiana nel mondo. Ascoltarono e vollero che i cristiani parlassero”. E poi “progressivamente, con San Giovanni Paolo II, il popolo cristiano sentì che c’era futuro per la missione della Chiesa. Non dimentichiamo la storia! Siamo in un tempo in cui si cancellano passato e tradizione, quasi quanto è avvenuto prima di noi sia sbagliato o irrilevante; invece la storia, di cui siamo eredi, ci conforta”.

Insomma, di fronte ad una Chiesa infragilita ci si deve ricordare che Davide era l’uomo fragile, il più piccolo dei figli di Iesse, e diventa l’uomo “della parola e della benignità, il cantore e l’uomo della preghiera. Così lo vede Crisostomo”. Per questo, sottolinea il Cardinale Zuppi, “la debolezza è la nostra forza, ma dobbiamo usarla con intelligenza e libertà. Partire dalla debolezza, partire da Colui che è stato crocifisso, fa sì che la carità, la mitezza, la benignità siano la cifra delle nostre relazioni e delle nostre azioni, in una società in cui invece la cifra dei rapporti è l’interesse o si esprime nella conflittualità”. E  ricorda quello che ha scritto Benedetto XVI nella Deus Caritas Est che “la forza del cristianesimo si espande ben oltre le frontiere della fede cristiana”, commentando che “nonostante le letture pessimistiche o politiche sulla Chiesa, ben oltre le frontiere del popolo di Dio ci si accorge della forza della carità, della limpidezza attrattiva della predicazione del Vangelo, che è comunicare Gesù, della preghiera rasserenante pure in momenti dolorosi, della disponibilità dei cristiani e dei sacerdoti a tutti senza preclusione”.

Si tratta di “una realtà viva nella società italiana. Questa visione ci sostiene di fronte ai problemi quotidiani, che non possono essere il nostro orizzonte”.

Il cardinale Zuppi nota che “la questione sociale è sempre anche una questione morale e – oserei dire – spirituale. Nella nostra società si assiste a una divaricazione sempre più ampia tra chi è povero e chi è benestante, le disuguaglianze sono aumentate e c’è come una cronicizzazione della povertà. Lo si nota dall’accesso ai beni fondamentali come il cibo, i servizi sanitari e le medicine, l’istruzione soprattutto quella superiore”.

L’obiettivo è quello di andare oltre “il malessere dei poveri, che crea sacche di pericolosa depressione”, e “consentire a tutti pari opportunità significa anche operare per eliminare la disuguaglianza di genere: non è ammissibile che le donne mediamente guadagnino meno degli uomini per le medesime mansioni”.

Infine, una parola alla firma lo scorso 9 gennaio dell’accordo tra CEI e Ministero dell’Istruzione e del Merito per il prossimo concorso degli Insegnanti di Religione Cattolica. Il Cardinale Zuppi nota che “questi insegnanti – la stragrande maggioranza dei quali sono laici – comunicano a scuola i valori dell’Umanesimo cristiano. Sono i formatori delle prossime generazioni. A loro il compito ecclesiale e civile di educare alla pace, di educare alla legalità, di educare alla cultura, mostrando come il Cristianesimo ha contribuito a fondare i valori di libertà e rispetto dell’altro, che sono alla base della nostra società. L’attenzione verso le nuove generazioni è un tema cruciale per il futuro della Chiesa e della società. I giovani sono il presente delle nostre comunità. È un tema al centro del Cammino sinodale su cui avremo modo di tornare in futuro”.

Conclude il Cardinale: “Di fronte al popolo italiano, alle istituzioni locali o nazionali, alle componenti della vita culturale, sociale e politica, la Chiesa si presenta qual è, senza alterigia, ma consapevole di avere una missione unica”.