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Il Cardinale Cantalamessa: "Gesù il rivelatore è Lui stesso la rivelazione"

Nella seconda predica di Quaresima il porporato ricorda che "la luce che è Cristo ha sempre avuto un agguerrito concorrente: la ragione umana"

Il Cardinale Raniero Cantalamessa - Vatican Media |  | Il Cardinale Raniero Cantalamessa - Vatican Media Il Cardinale Raniero Cantalamessa - Vatican Media | | Il Cardinale Raniero Cantalamessa - Vatican Media

“Ci poniamo subito la domanda che significa per noi ora è qui quella parola di Gesù Io sono la luce del mondo. L'espressione luce del mondo ha due significati fondamentali: il primo significato è che Gesù è la luce del mondo in quanto la sua è la Suprema e definitiva rivelazione di Dio all'umanità.  La novità consiste ed è nel fatto unico e irripetibile che il rivelatore è Lui stesso la rivelazione: io sono la luce del mondo, i profeti dicevano così parla il Signore mentre Gesù dice io vi dico”. Lo ha detto il Cardinale Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia, in occasione della seconda predica di Quaresima alla quale stamane il Papa non ha partecipato a causa del persistente raffreddore che lo ha colpito negli ultimi giorni.

“Il mezzo con cui viene trasmesso un messaggio – ha aggiunto il porporato - condiziona il messaggio stesso e questo detto si applica in maniera unica e trascendente a Cristo, in Lui il mezzo di trasmissione è davvero il messaggio, il messaggero è il messaggio”.

“Il secondo significato – ha detto ancora il Predicatore della Casa Pontificia - è che Gesù è la luce del mondo in quanto fa luce sul mondo, cioè rivela il mondo a se stesso, fa vedere ogni cosa nella giusta luce per quello che è davanti a Dio”.

La luce che è Cristo – ha sottolineato il Cardinale Cantalamessa - ha sempre avuto un agguerrito concorrente: la ragione umana. Ne parliamo per confermare noi stessi nella fede: i dibattiti su fede e ragione  - sarebbe più esatto dire su ragione e rivelazione - sono affetti da una dissimmetria radicale. Il credente condivide la ragione con l'ateo, l'ateo non condivide la fede nella rivelazione con il credente; il credente parla il linguaggio dell'interlocutore ateo, l'ateo non parla la lingua della controparte credente. Per questo motivo il dibattito più giusto su fede e ragione è quello che avviene nella stessa persona tra la propria fede e la propria ragione. Abbiamo casi famosi nella storia del pensiero umano di persona nelle quali non si può dubitare di un'identica passione per l'una e per l'altra cosa: Agostino di Ippona, Tommaso d’Aquino, Pascal, John Henry Newman, Giovanni Paolo II,  Benedetto XVI”.

“C'è un altro malinteso da chiarire riguardo al dialogo tra fede e ragione – ha concluso il Cardinale francescano - ovvero la critica comune rivolta ai credenti che essi non possono essere obiettivi dal momento che la loro fede impone fin dall'inizio la conclusione a cui devono giungere. In altre parole agisce come una precomprensione e un pregiudizio e non si presta attenzione al fatto che lo stesso pregiudizio agisce in senso opposto anche nello scienziato o nel filosofo non credente, e in modo assai più radicale se si da per scontato che Dio non esiste, che il soprannaturale non esiste, che i miracoli sono impossibili, anche la conclusione è predeterminata fin dall'inizio”.

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