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Prima maggio, il grande tema del lavoro per i vescovi e i pontefici

Un colloquio con don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e del lavoro della Cei

Papa Francesco all' Ilva di Genova nel 2017 |  | Diocesi di Genova Papa Francesco all' Ilva di Genova nel 2017 | | Diocesi di Genova

“La Festa dei Lavoratori, in questo Anno giubilare, vuole offrire orizzonti di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, consapevoli che ‘il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo’. La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come papa Francesco ci ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare”: inizia così il messaggio, ‘Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza’, dei vescovi italiani in occasione della festa del lavoro, che apre il giubileo dei lavoratori ‘pellegrini di speranza’ in programma a Roma fino a domenica 4 maggio, a cui segue quello degli imprenditori fino al 5 maggio.

Da questo incipit del messaggio abbiamo chiesto a don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e del lavoro della Cei, di spiegarci in quale modo il lavoro può essere generatore di speranza: “Il lavoro è una delle esperienze umane più significative, ma mostra anche la sua fragilità. Tutti ci riconosciamo nel nostro lavoro, ci presentiamo spesso indicando la professione e, in genere, ognuno di noi si offende se viene accusato di non saper fare bene il proprio mestiere. Tuttavia, il lavoro può anche essere occasione di sfruttamento e schiavitù. Lo è stato nella storia e può esserlo in ogni epoca.

Si pensi oggi al caporalato, al lavoro nero, alla precarietà, agli stipendi inadeguati a una vita dignitosa, alle forme di controllo attraverso l’intelligenza artificiale. Il lavoro può generare speranza a due condizioni: che sappia valorizzare la persona, coinvolgendola in progetti creativi, e che produca un miglioramento del mondo. La produzione di armi distruttive, la crescita di inquinamento e radioattività, una finanza lontana dall’attività umana… non sono il segnale di un lavoro decente.

La speranza fiorisce quando il lavoro esprime comunità di intenti, miglioramento del mondo, solidarietà tra persone che vivono differenti responsabilità, sviluppo di un territorio e sostenibilità ecologica. La prova di verifica è la qualità relazionale di un luogo di lavoro. Senza sicurezza sul lavoro, ad esempio, manca una colonna portante della salvaguardia della dignità della persona che lavora. C’è strumentalizzazione. La media di due-tre morti al giorno è indice di disumanità”.

Nell’enciclica ‘Laborem exercens’ Giovanni Paolo II ha scritto che il lavoro umano è la ‘chiave essenziale’: perché il lavoro umano è la ‘chiave essenziale’ della questione sociale?

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“La chiave della questione sociale è sempre l’uomo. La sua grandezza emerge ogniqualvolta può sprigionare le proprie potenzialità. Ciò avviene non con la forza e il predominio, ma con la tenerezza. Il lavoro consente alle persone di crescere nella capacità di relazionarsi con il mondo, sia nel senso della fraternità sia nella promozione dell’ecologia integrale. Con un’espressione appropriata l’enciclica ‘Fratelli tutti’ al n^ 162 ha affermato: ‘Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare, perché promuove il bene del popolo, è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze’.

Il risvolto soggettivo del lavoro ha bisogno di ridirsi in ogni epoca storica, se non vuole finire in materialismo che riduce l’uomo a mezzo di produzione e il lavoro a numeri di cose da realizzare. C’è qualcosa di unico in ogni persona che lavora. Non ci sono due uomini che lavorano allo stesso modo, pur facendo lo stesso mestiere; non ci sono due donne che educano con lo stesso esito, pur avendo entrambe lo stesso titolo di studio. Non esiste manualità ripetitiva: lo stile fa la differenza. L’intelligenza artigianale è infinitamente più ricca di quella artificiale! L’uomo può davvero molto grazie al lavoro, sia in termini di pratica manuale sia a livello intellettuale.

C’è anche una dimensione spirituale del lavoro che non va trascurata. Simone Weil ne parla in questi termini: ‘Mediante il lavoro l’uomo si fa materia come il Cristo nell’Eucaristia. Il lavoro è come una morte’.

Chi non ha sperimentato la fatica del lavoro? Lo sfinimento e la stanchezza sottomettono al tempo come la materia. Perdiamo qualcosa di nostro, in una sorta di svuotamento che anela alla vita piena. La risurrezione appare nella bellezza e unicità di ciò che si realizza e nell’acquisizione di abilità e competenze che danno senso alla fatica. Nel lavoro si rivela il mistero pasquale di morte e resurrezione. E, prima ancora, è profonda incarnazione nella storia”.