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Tra il bene e il male, il diritto di difesa tra ordinamento italiano e canonico

Il diritto di difesa nella Chiesa e nello stato della Città del Vaticano

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Da oggi otto maggio, un giorno dopo l’inizio del conclave, è in libreria un volume di studio molto interessante, dal titolo:Tra il dire ed il fare. Il diritto di difesa alla prova dei fatti nell’ordinamento dello stato e nell’ordinamento penale canonico”.

Il libro, firmato da monsignor Piero Amenta, giurista noto che ha speso molti anni a servizio della Curia Romana, è presentato dal professor Zanchini, già professore dell’Università di Teramo. Il volume, edito da Rubbettino, si interroga sul grado di tutela del diritto di difesa nei due ordinamenti, quello italiano e quello canonico, rilevandone i pregi e le insufficienze alla luce della sua esperienza personale, delle recenti riforme di Papa Francesco in materia processuale e penale, senza trascurare alcuni fatti significativi a questo riguardo, come ad esempio il processo vaticano che vede coinvolto il cardinale Becciu.

All’Autore del volume porgiamo alcune domande:

Non è certo questa la sede per entrare nel dibattito tra innocentisti e colpevolisti, ma al canonista chiediamo per prima cosa di spiegarci perché cita proprio questo processo.

La ringrazio per la domanda, che mi offre l’occasione di spiegare alcune cose che potrebbero essere fraintese. Dopo aver rilevato le insufficienze strutturali del processo penale, soprattutto dei processi in ambito ecclesiastico, era il momento di offrire un esempio pratico. Gli esempi potrebbero essere tanti: qualcuno l’ho citato, attingendo alle mie personali memorie di avvocato e di giudice. Ma il fatto è che la giurisprudenza canonica, soprattutto quella penale, generalmente rimane chiusa negli archivi e non viene pubblicata. Ed allora non mi rimaneva altro che citare un processo per molti versi emblematico del tema svolto nel mio libro, nonché un processo di cui si conoscono molti aspetti, anche quelli problematici, grazie ai giornali che non hanno cessato di informarci continuamente di quello che si è meritato la denominazione di “processo del secolo”. Ma anche perché – e questo non è di minore importanza – ho potuto rifarmi ad uno studio molto più ampio e puntuale del mio, dovuto alla collega prof. Geraldina Boni, dell’Alma Mater Bononiensis la quale, in collaborazione con alcuni suoi studenti, ha pubblicato, su una nota rivista giuridica, un corposo studio, al quale ho potuto rifarmi ampiamente.

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Ed a proposito della comunicazione fatta dopo la morte del papa della volontà di non permettere a Becciu di entrare in conclave, cosa ne pensa in termini di diritto canonico?

Non conosciamo la fonte della comunicazione divulgata, né se si tratti di un documento, l’epoca della sua redazione e quale natura esso rivesta. Se si tratta di un documento autentico in cui sarebbe depositata la volontà del papa di escludere il cardinale dal conclave, osservo che nella Costituzione Apostolica Romano Pontifici eligendo di Paolo VI vi era una norma che andava in senso esattamente contrario alla presunta decisione di papa Francesco. L’art. 35 suonava così: “Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall'elezione, attiva e passiva, del Sommo Pontefice, a causa o col pretesto di qualunque scomunica, sospensione, interdetto o di altro impedimento ecclesiastico; queste censure dovranno ritenersi sospese soltanto agli effetti di tale elezione”. L’articolo seguente sanciva l’esclusione dei cardinali canonicamente deposti o che abbiano rinunciato, con il consenso del papa, alla dignità cardinalizia. Ne consegue che il diritto di voto in conclave è strettamente legato alla dignità cardinalizia, che non mi risulta sia stata tolta al card. Becciu, il quale comunque non è incorso in alcuna scomunica o interdetto, che comunque sarebbero sospesi. Il n. 35 della Costituzione vigente Universi Dominici gregis, di Giovanni Paolo II, recita: “Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto, fermo restando quanto prescritto al n. 40 e al n. 75 di questa Costituzione”. Dunque, sostanzialmente la stessa prescrizione di Paolo VI, anche se molto più sobria.

Per chi non è uno studioso del diritto canonico perché è interessante leggere il suo libro?

Il libro contiene uno studio comparativo tra il diritto secolare, nel caso quello italiano, ed il diritto della Chiesa. E dalla comparazione affiora la minore tutela che il diritto della Chiesa offre rispetto agli ordinamenti secolari, e ciò per varie ragioni ampiamente spiegate nel libro. Dunque, esso offre uno spaccato della vita della Chiesa per quanti l’hanno a cuore e se ne interessano, seppure in un settore specifico del diritto, e fa comprendere come nella Chiesa si deve ancora tanto perfezionare la pratica processuale ed avvicinarla alle dichiarazioni di principio, non ultima quella posta dalla riforma di papa Francesco al primo posto dei canoni del libro quinto del Codice, quello penale appunto, vale a dire la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva.

Quale secondo Lei la differenza principale tra diritto penale italiano e diritto canonico? Che si intende per diritto di difesa?

Le differenze sono tante, non una sola. Per me la differenza fondamentale è di carattere strutturale: voglio dire che la minore tutela del diritto di difesa non proviene solo dalla cattiva volontà o dalla scarsa preparazione degli operatori del diritto nella Chiesa, ma dal fatto che il processo penale canonico presenti ancora un carattere marcatamente inquisitorio, quando invece gli ordinamenti dei paesi democratici più avanzati hanno gradualmente purificato gli elementi di carattere inquisitorio per assumere caratteri più marcatamente garantisti per gli imputati, come accade negli ordinamenti processuali a carattere accusatorio. Vi è poi l’assenza nella Chiesa di un codice di procedura penale, che aiuterebbe molto gli operatori del diritto, notoriamente non molto ferrati in materia. I recenti scandali di pedofilia e le norme che hanno accompagnato i processi in materia non hanno, a mio modesto giudizio, offerto le giuste garanzie per gli imputati, avvicinando il processo penale al giusto processo come delineato nelle costituzioni moderne e richiamato continuamente dalla normativa europea. Si è molto parlato – e giustamente – di protezione dei minori e delle persone fragili, ma non si è mai parlato delle tante vittime di processi superficiali, talora sommari e senza le adeguate garanzie per gli imputati. Il diritto di difesa è il diritto di opporre le proprie ragioni a discolpa o diminuzione delle responsabilità dell’imputato, assistito da una difesa che occupi nel processo un posto di parità rispetto alla pubblica accusa. S. Alfonso, già nella metà del settecento, scriveva che il giudice non può condannare l’accusato, se per scienza privata sa esser colpevole, ma lo può condannare solo secundum allegata et probata. Nelle cause criminali si deve sempre porre a favore del reo, quando vi sono ragioni probabili in sua difesa (in dubio, pro reo). Il reo, poi, “può resistere positivamente per liberarsi dalle mani de’ birri, se condannato a morte può lecitamente fuggire dalla carcere” e poi, infine, una chicca che lascia interdetti per la modernità del suo pensiero: “Essendo poi lecito al reo il fuggire, è lecito ancora agli altri il somministragli le funi, le lime o altri stromenti a poter fuggire …”. Allora si trattava spesso del diritto di difesa della propria vita. Giudichi il lettore se da allora ad oggi vi sia stato un vero progresso nella tutela del diritto alla difesa.

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Ci può spiegare il titolo: tra il dire ed il fare?

Si tratta ovviamente di un chiaro richiamo all’antico proverbio: tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. Ho scelto questo titolo per rimarcare che nel processo penale, sia in quello statuale sia in quello ecclesiale, la pratica giudiziaria non è sempre adeguata alla solennità dei principi proclamati in sede accademiche, o comunque ufficiali. Non è sufficiente proclamare il diritto di difesa, occorre renderlo effettivo creando i meccanismi processuali che lo salvaguardino, senza far difetto alla ricerca della verità e delle responsabilità individuali.