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Il Codice di Diritto Canonico ha 40 anni. Quale futuro?

Un convegno a Bologna, con i Cardinali Parolin, Mamberti, Zuppi. Un bilancio del passato, uno sguardo al futuro

Cardinale Pietro Parolin | Il cardinale Parolin alla conferenza sui 40 anni del Codice di Diritto Canonico all'Università di Bologna | AG / ACI Group Cardinale Pietro Parolin | Il cardinale Parolin alla conferenza sui 40 anni del Codice di Diritto Canonico all'Università di Bologna | AG / ACI Group

Il Codice di Diritto Canonico fu promulgato nel 1983. È “un uomo di mezza età”, nelle parole del Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, che magari ha un passato glorioso, ma che deve guardare anche al futuro, cercando di innovarsi, di auto-comprendersi, di ricevere le nuove sfide della Chiesa con una maturità che deve coniugare “ponderazione, riflessione e decisione”. Sono le sfide che sono state affrontate all’Università di Bologna, in un convegno dedicato a “I 40 anni del Codex Iuris Canonici”, organizzato dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università.

Tre Cardinali (il Segretario di Stato Parolin, il già citato Zuppi, il presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Mamberti), un vescovo (Arrieta, segretario del Dicastero dei Testi Legislativi) e alcuni tra i professori più ferrati nel campo del diritto canonico che sono andati ad analizzare principi e strutture del codice, come  il professor Carlo Fantappié e il professor Andrea Zanotti.

Che il convegno sia a Bologna non è un caso. Geraldina Boni, professoressa di Storia del Diritto Canonico dell’Università di Bologna, ha ricordato come Bologna, città cresciuta intorno all’Università, sia stata culla del diritto, con i punti di riferimento di Irnerio per il diritto civile e di Graziano per il diritto ecclesiastico. Ed è proprio a Bologna che aveva la cattedra Giuseppe Dalla Torre, una storia vaticana di famiglia e una competenza giuridica che lo portò ad essere anche presidente del Tribunale Vaticano.

Nella Chiesa sinodale, il diritto canonico che ruolo ha? Sarà centrale, spiega il Cardinale Zuppi, preannunciando che nel prossimo sinodo “si prevede una presenza forte di teologi e canonisti”. Allo stesso tempo, però, Zuppi nota che “fa bene ai canonisti capire di non poter aspettare 50 anni per cambiare qualche cosa”, un tema centrale, considerando che il Codice ha, sì, quaranta anni, ma è stato anche emendato diverse volte, con vari piccoli interventi già nel corso di quest’ultimo pontificato.

Il Cardinale Mamberti, nella sua relazione, ha sottolineato che si è arrivati alla definizione di un Codice di Diritto Canonico come strumento utile, pensato per la Chiesa universale. Eppure Ecclesia Universalis non compare mai nel Codice, cui viene preferito Ecclesia Universa, la Chiesa tutta.

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“La Chiesa – spiega il Cardinale Mamberti - rimanendo una ed unica riconosce in sé una duplice dimensione, cioè quella di una Chiesa che in tutti i luoghi è chiesa”.

Mamberti sottolinea che “il codice funge da quadro generale nella legislazione della Chiesa in cui si definiscono leggi universali e leggi particolari”, e che il Codice “già possiede una natura costituzionale”, ed è “per sua natura un quadro generale mobile, un quadro nel quale la pura ineluttabile relazione di diritto particolare e diritto universale si mutua in forme diverse”, consentendo una “più larga espansione del diritto particolare”. È un equilibrio difficile, che include anche strumenti come la recognitio da parte del Papa, chiamato a garantire l’unità della Chiesa, e che però permette di avere un codice fatto per la Chiesa latina, ma i cui principi restano universali, facendo in modo che “il diritto canonico universale deve essere applicato nelle Chiese particolari senza forzature”.

Il Cardinale Pietro Parolin, parlando del “Paradigma codificatorio nella realtà ecclesiale odierna”, ha compiuto un lungo excursus, cercando differenze e similiarità tra il Codice del 1917 e quello del 1983, ovvero tra il Codice che scaturì dalla scelta di codificare un corpus che era  ormai diventato a volte anche contradditorio al Codice che ha cercato di recepire gli insegnamenti del Concilio Vaticano II.

Il cambio di paradigma sostanziale deriva dal fatto che si passa da un codice con “taglio fortemente positivo”, e con una fiducia totale nella legge scritta, a un codice che recepisce le indicazioni del Concilio Vaticano II. Il Codice del 1917 fu “sottoposto a un precoce invecchiamento”, seppur dando “certezza in tutto il mondo”.

Giovanni XXIII annunciò la riforma del Codice del Diritto Canonico nel 1959, come coronamento del Concilio Vaticano II, che annunciava in quello stesso giorno e al Sinodo Romano, e già verso il termine del Concilio, nel 1965, Paolo VI – nel frattempo succeduto a Giovanni XXIII – stabilì i principi, sottolineando la necessità di “riformare le norme, adattandole alle nuove necessità, tenendo presenti tutte le nuove norme del Concilio”.

Il Cardinale Parolin nota che la commissione per il codice stabilì molto presto che il codice doveva rappresentare la Chiesa, e non la società secolare, e per quello si decise ben presto di seguire le sezioni della Lumen Gentium, cominciando un lavoro che giovò molto delle nuove norme ad experimentum rimaste dopo il Concilio Vaticano II, e si tenne fuori dal lavoro dal codice tutto quello che avrebbe necessitato un progressivo adattamento alla realtà, come canonizzazioni e riforma della Curia.

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Il Segretario di Stato vaticano sottolinea che il motu proprio Competentias quasdam decernere del 2022 non è andato a impattare il codice e questo è segno che il codice già andasse vero decentramento.

Parolin nota che in quaranta anni ci sono state varie variazioni nei canoni, che “non hanno prodotto squilibri all’interno del sistema”, dovuto alla particolare coerenza del sistema normativo. Lo stesso aggiornamento del Sinodo dei vescovi conserva gli elementi permanenti consacrati nel Decreto 5 Christus Dominus.

In alcuni casi si è dovuto “procedere alla sostituzione dell’intera disciplina codiciale”, a partire dalla riforma della semplicificazone della procedura per le cause di nullità matrimoniale, o la modifica di tutto il Libro VI che lasciavano “tutto il peso sanzionatorio agli ordinari locali”.

Per il Segretario di Stato vaticano il codice, tuttavia, è ancora adeguato, anche se non nega che ci potranno essere ulteriori modifiche, perché “può darsi che alcune materie siano troppo attaccate a normative precedente.” Eppure “non vedo alternative all’attuale codice diritto canonico”, e lo sviluppo di una sorta di normativa “regionale” si è rivelata piuttosto priva di basi, mentre cambiare il codice significherebbe “cambiare il catechismo della Chiesa cattolica”, dove si trovano le fondazioni, e piuttosto si può pensare ad alcune legislazioni speciali e anche ad un equilibrio tra codice latino e codice per il rito orientali, seguendo l’esempio degli ordinariati e senza alterare il principio giuridico.

Il professor Carlo Fantappié ha parlato della relazione tra i principi del Concilio Vaticano II e il Codice di Diritto Canonico, e in particolare ha fatto una proposta “sinodale” sulla formazione delle leggi, perché le leggi canoniche “non dovrebbero essere appannaggio né della Santa Sede né della gararchia episcopale e che dovrebbero vedere partecipazione di classi di rappresentanza di varie classi di fedeli”. La proposta è quella di “riprendere la tradizione di chiedere pareri a dottori, università pontificia”, e anche una valutazione della “recezione della legge canonica da parte del popolo di Dio”.

Fantappié ha sottolineato che “la vera proposta innovativa di Giovanni Paolo II non è da vedere nella relativizzazione del codice, ma nella comprensione del dinamismo interno”, e che le “azioni e regole non sono unico modo per stabilire finalità ultima, perché non è determinata ad alcune forme storiche, e da qui deriva carattere creativo su interpretazioni fondamentali su cui si fondano pratiche della comunità”.

Andrea Zanotti, da 40 anni professore di Scienze  Giuridiche all’Università di Bologna, ha parlato delle relazioni tra il Codice di Diritto Canonico e della Scienza Giuridica. In particolare, il professore ha notato l’attività legislativa recente, dal Mitis Iudex Dominus Iesus e il Mites et Misericors Iesus, frutto sì di un lavoro che era iniziato da diversi anni già con Benedetto XVI, ma promulgati poi dopo un lavoro di una commissione interna che non ha praticamente tenuto conto del dibattito precedente, o anche la riforma del diritto penale vaticano, avviata nel 2007 con le normali procedure di consultazione e poi improvvisamente relegata ad una sottocommissione che ha poi partorito la riforma molto velocemente.

Il tema della mancanza di dibattito sulle riforme è un tema centrale, considerando che in molti casi, come negli esempi addotti, le riforme arrivano quasi all’improvviso, al di fuori del dibattito. “Abbiamo toccato i limiti di un legiferare caratterizzato da metodi emergenziali”, sottolinea il professor Zannotti. Che lamenta: “Un legislatore non può assumere un principio basato sulla contingenza, perché i danni saranno maggiori dei vantaggi”. E afferma: “Non si potrà procedere con commissioni ad hoc, ma si dovrà definire una Chiesa davvero sinodale che recuperi una modalità di ascolto” e che non rinunci “alla sapiente funzione di sovrintendenza del Dicastero per i Testi Legislativi”.

La grande sfida per il diritto canonico oggi sembra essere quella di una eventuale rinuncia al pontificato, mai completamente codificata. Per questo, la conferenza si è conclusa con una tavola rotonda, una discussione su due volumi che, in modi diversi, toccano anche la questione del Papato emerito e soprattutto quella della sede impedita: Papa, non più papa. La rinuncia pontificia nella storia e nel diritto canonico, a cura di Amedeo Feniello, Mario Prignano (Viella, Roma, 2022); e La sinodalità nell’attività normativa della Chiesa. Il contributo della scienza canonistica alla formazione di proposte di legge a cura di Ilaria Zuanazzi, Maria Chiara Ruscazio, Valerio Gigliotti (Mucchi, Modena, 2023).