La riorganizzazione del processo in Russia consente di completare il processo di beatificazione di quei Servi di Dio che vivevano e operavano nel territorio dell'odierna Russia e la cui venerazione privata è ben nota e sostenuta nelle nostre parrocchie cattoliche. Entro pochi anni sarà possibile completare la fase diocesana del processo e trasferire i casi alla Congregazione per la Canonizzazione dei Santi.
Nella sua relazione, l’arcivescovo Paolo Pezzi, guida della Gran Madre di Dio di Mosca, ha ricordato la storia cui questi martiri appartengono.
“Come è noto – ha detto - il governo sovietico e, in particolare, gli organi di sicurezza dello Stato, cercarono di accusare (falsamente) i credenti di crimini contro lo Stato e di ridurre così a nulla l'influenza della fede sulla società. Tuttavia, la fede è sempre e inevitabilmente anche un giudizio sul mondo e sulla società in cui vivono i credenti”.
Pezzi ha notato che “nel corso degli ultimi secoli, il cristianesimo, come affermano molti teologi e filosofi, ha gradualmente perso il suo legame con la vita reale dell'uomo, ha cessato di essere il vero centro dei suoi affetti; è diventata come una ‘pelle di serpente’ che gradualmente si stacca, trasformandosi in una formalità, una norma, un rituale vuoto o un insieme di credenze”, ma “per il martire la fede è questione di vita o di morte”.
Pezzi descrive i tentativi dell’NKVD di screditare la testimonianza dei cristiani come “spiritualismo”, “astrazione” e “burocrazia”.
Spiritualismo è quello che “riduce il cristianesimo solo alla relazione individuale di una persona con lo spirito divino (in un certo senso irreale dal punto di vista dell’NKVD), privando così la testimonianza del credente di qualsiasi collegamento con la vita reale della persona e dell’intera società”,
Per questo, “si può parlare anche di astrazione, cioè di un tentativo di ridurre il cristianesimo solo a idee astratte”.
E infine, “l'NKVD fece ampio uso di metodi burocratici, anche per giustificare il proprio operato. In alcuni verbali di interrogatorio questa burocrazia è molto evidente. I lunghi e complicati protocolli erano necessari affinché l'imputato perdesse di vista il fatto che veniva giudicato proprio per la sua fede, per la sua testimonianza in merito. Tutti questi protocolli mirano a creare nell'imputato la falsa convinzione di aver effettivamente violato qualche legge o di aver screditato lo Stato e i suoi diritti quasi assoluti”.
Per questi martiri, ha detto l’arcivescovo Pezzi, la missione “è una costante della loro vita”, ma questi martiri “sono stati capaci di stabilire nuove relazioni tra loro, così da poter predicare il Vangelo, da poter scacciare i demoni della paura, della solitudine e anche, almeno in alcuni casi, del tradimento”.
L’arcivescovo Pezzi ha poi parlato della testimonianza. Ha detto che è innanzitutto “necessario tenere presente che possiamo comunicare solo ciò che è la nostra esperienza interiore, cioè precisamente ciò che è prova”.
Quindi, ha chiesto di ricordare che “che testimoniamo ha un significato diverso per ogni persona a cui vogliamo trasmettere la nostra fede, ciò che abbiamo visto e udito”, e ha ricordato che la “testimonianza fa appello alla libertà dell’individuo”. E serve, ha concluso, “che l'annuncio cristiano comprenda, oltre alla libertà, anche l'attività e la concretezza in cui proponiamo all'uomo di impegnarsi. Testimoniare significa dunque raccontare agli altri la nostra conoscenza di Cristo e il nostro desiderio del suo regno sulla terra, e anche attirarli al miracolo della comunione della Chiesa, che per grazia esiste concretamente nelle nostre vite”.
Infine, l’arcivescovo Pezzi si è soffermato sull’esperienza ecumenica dei nuovi martiri, perché “l’ecumenismo non è un’ideologia di tolleranza, ma un’esperienza di amore cristiano. Come è noto, ecumenismo significa cattolicità, cioè una posizione, una visione, alla quale chi appartiene a Cristo può rivolgersi verso ogni cosa”.
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