Il papa, poi, sottolinea che “la più grave povertà è non conoscere Dio”. Cita papa Francesco quando in Evangelii gaudium scriveva: “La peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede”. Un punto fermo è che “tutti i beni di questa terra, le realtà materiali, i piaceri del mondo, il benessere economico, seppure importanti, non bastano per rendere il cuore felice. Le ricchezze spesso illudono e portano a situazioni drammatiche di povertà, prima fra tutte quella di pensare di non avere bisogno di Dio e condurre la propria vita indipendentemente da Lui”.
Nel Messaggio si legge, poi: “La speranza cristiana, cui la Parola di Dio rimanda, è certezza nel cammino della vita, perché non dipende dalla forza umana ma dalla promessa di Dio, che è sempre fedele. Perciò i cristiani, fin dalle origini, hanno voluto identificare la speranza con il simbolo dell’àncora, che offre stabilità e sicurezza”. E aggiunge: “La speranza cristiana è come un’àncora, che fissa il nostro cuore sulla promessa del Signore Gesù”. Papa Leone XIV ribadisce poi che “la nostra vera patria è nei cieli”. E, dunque, “la città di Dio, di conseguenza, ci impegna per le città degli uomini. Esse devono fin d’ora iniziare a somigliarle”.
Poi, una frase assai forte, che fa riflettere: “Chi manca di carità, invece, non solo manca di fede e di speranza, ma toglie speranza al suo prossimo”. L’invito alla speranza, inoltre, porta con sé “il dovere di assumersi coerenti responsabilità nella storia, senza indugi”. Poi, lo sguardo del pontefice, si posa sul sociale: “La povertà ha cause strutturali che devono essere affrontate e rimosse. Mentre ciò avviene, tutti siamo chiamati a creare nuovi segni di speranza che testimoniano la carità cristiana, come fecero molti santi e sante in ogni epoca”. Fa riferimento all’impegno degli Stati per “gli ospedali e le scuole” che “sono istituzioni create per esprimere l’accoglienza dei più deboli ed emarginati. Essi dovrebbero far parte ormai delle politiche pubbliche di ogni Paese, ma guerre e diseguaglianze spesso ancora lo impediscono. Sempre più, segni di speranza diventano oggi le case-famiglia, le comunità per minori, i centri di ascolto e di accoglienza, le mense per i poveri, i dormitori, le scuole popolari: quanti segni spesso nascosti, ai quali forse non badiamo, eppure così importanti per scrollarsi di dosso l’indifferenza e provocare all’impegno nelle diverse forme di volontariato!”.
Ribadisce, poi, che “i poveri sono al centro dell’intera opera pastorale. Non solo del suo aspetto caritativo, ma ugualmente di ciò che la Chiesa celebra e annuncia”. Un riferimento al Giubileo: “Quando la Porta Santa sarà chiusa, dovremo custodire e trasmettere i doni divini che sono stati riversati nelle nostre mani lungo un intero anno di preghiera, conversione e testimonianza. I poveri non sono oggetti della nostra pastorale, ma soggetti creativi che provocano a trovare sempre nuove forme per vivere oggi il Vangelo”. E ricorda: “Promuovendo il bene comune, la nostra responsabilità sociale trae fondamento dal gesto creatore di Dio, che dà a tutti i beni della terra: come questi, così anche i frutti del lavoro dell’uomo devono essere equamente accessibili. Aiutare il povero è infatti questione di giustizia, prima che di carità”.
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