Per quale motivo insisteva sulla convivialità delle differenze?
“La convivialità delle differenze è un’apertura mentale e ‘cardiaca’ per la pace; oggi ce ne rendiamo conto che se nelle guerre in atto in Ucraina ed in Terra Santa ed in tutte le altre guerre in atto fosse stata affermata questa realtà della convivialità delle differenze ai conflitti si sarebbe trovata una soluzione di pace. Il nostro compito educativo, ma anche politico, deve essere quello di esercitarsi nella palestra della diversità e nell’accoglienza del ‘diverso’, che non è una semplice tolleranza, ma stare attorno ad una tavola. Convivialità indica questo”.
E la ‘marcia dei 500’ a Sarajevo nel 1992 resta il simbolo della convivialità?
“Certamente! In quella marcia don Tonino Bello, gravemente malato (morirà quattro mesi dopo), rinasce, perché intuisce la forza dei civili, che possono fare interposizione tra le parti in guerra, con il proprio corpo, come fece nel 1240 ad Assisi santa Chiara, sentendo che i Saraceni, dopo aver distrutto Spoleto, erano in marcia verso Assisi, che ha chiesto di essere portata sul sagrato, ponendosi con il proprio corpo ed il Corpo di Cristo, che è l’Eucarestia, tra la città di Assisi ed i Saraceni che arrivano, pregando per la salvezza di Assisi, come narrano le Fonti francescane. Io non so cosa sia successo, ma di fronte a santa Chiara, che non si è barricata in città come atto di guerra, i Saraceni se ne vanno. In questo modo santa Chiara ha salvato la città. In questo episodio si può vedere una dimensione politica (cioè per il bene della città) della vita contemplativa. Don Tonino aveva intuito questo e diceva che bisognava andare a Sarajevo per mostrare la nostra presenza solidale a chi soffre. Questa è stata la grande intuizione di pace. In quell’occasione a Sarajevo siamo andati a trovare la comunità ortodossa, mentre nella sinagoga abbiamo incontrato i fratelli ebrei, mentre nella moschea quelli mussulmani ed i nostri fratelli cattolici nella basilica della città.
Nel discorso a Sarajevo don Tonino disse che quelli erano gli eserciti del futuro. Quindi nella luce del Vangelo è avvenuto un incontro tra le fedi nella diversità dei credi, che può essere la strada maestra per portare alla pace. Ce lo ricorda la data del 27 ottobre 1986, quando ad Assisi san Giovanni Paolo II convocò i rappresentanti delle diverse religioni con la ‘sfida’ di passare dalla contrapposizione, che storicamente si è registrata tra le fedi, ad un incontro. Non è soltanto la Chiesa che deve usare il ‘grembiule’, come diceva don Tonino, ma tutte le religioni”.
Però anche don Giovanni Rossi aveva il desiderio di portare Cristo nella ‘piazza’ culturale degli anni Quaranta dello scorso secolo?
“Sì, perché la vera sfida di don Giovanni era quella della cultura, cercando di ‘impastare’ il Vangelo con il dato culturale, con l’aria che respiriamo, alla fine dei conti. In questo senso, anche coloro che sono lontani o apparentemente lontani dalla fede, possono mostrare una disponibilità al dialogo ed all’incontro. In questo cammino la storia della Pro Civitate Christiana, grazie all’ispirazione ed all’indirizzo dato da don Giovanni Rossi, continua a seguire”.
Infine dal 21 al 24 agosto si svolge il Corso di Studi Cristiani, intitolato ‘Il tempo delle cose imprevedibili. Il realismo della speranza, il cammino della liberazione: per quale motivo don Giovanni Rossi ha dato vita a questi corsi di Studi cristiani?
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“Mi viene da sorridere, perché siamo arrivati all’83^ edizione. E non so se in Italia esista da tanti anni un’iniziativa così longeva! Fin dalla sua fondazione la ‘Pro Civitate Christiana’ ha centrato la sua azione con un’opera di mediazione culturale attraverso l’organizzazione di incontri, seminari e corsi di studio su temi di spiritualità, cultura, educazione, attualità, dialogo interculturale. La formazione è considerata una strada privilegiata per il cambiamento. In questa direzione la ‘Pro Civitate Christiana’ propone percorsi educativi rivolti a tutti. Sono ancora un punto di riferimento importante gli incontri con le diverse categorie della società: operai, operatori culturali, imprenditori, studenti… a tutti loro era rivolto lo sguardo di don Giovanni Rossi e dei volontari.
La cura e l’attenzione che veniva riservata a quei momenti di formazione è il modello che guida ancora oggi la ‘Pro Civitate Christiana’. L’attenzione alla salvaguardia del creato, l’indagine attenta nei confronti di alcuni protagonisti della cultura, la ricerca biblica, la spiritualità e lo sviluppo delle scienze umane costituiscono la via maestra per la proposta formativa che si svolge nello spazio di ‘Cittadella Laudato sì’, sulle pagine della rivista ‘Rocca’ e nelle pubblicazioni di ‘Cittadella Editrice’.
Quest’anno cercheremo di approfondire la teologia della speranza, che ha trovato nel teologo Moltmann un grande ispiratore, e la teologia della liberazione, iniziata da Gutierrez. Quindi cercheremo una continuazione di queste iniziazioni, sulla scorta dell’anno giubilare, che stiamo vivendo, per cui siamo tutti pellegrini della speranza. Ci saranno testimonianze del card. Zuppi e di Cercas, che ha scritto da ateo il libro sul viaggio di papa Francesco in Mongolia, ‘Un folle di Dio ai confini del mondo’, che ricalca l’esperienza di p. Matteo Ricci, o la teologa Simonelli, o il paroliere Mogol sui versi della speranza con l’apertura del convegno dei concerto di due musicisti dalla Terra Santa”.