Si sofferma, poi, sui tre verbi-chiave del Vangelo di Luca: “Chiedere”, “cercare”, “bussare”. Li definisce “atteggiamenti familiari” per i consacrati, “abituati dalla pratica dei consigli evangelici a domandare senza pretendere, docili all'azione di Dio” così il pontefice. Poi, li esamina nel dettaglio: "Chiedere" - per il pontefice - "è riconoscere, nella povertà, che tutto è dono del Signore e di tutto rendere grazie. Il verbo "cercare" che vuol dire "aprirsi, nell'obbedienza, a scoprire ogni giorno la via da seguire nel cammino della santità, secondo i disegni di Dio". E, infine, "bussare" che vuol dire "domandare e offrire ai fratelli i doni ricevuti con cuore casto, sforzandosi di amare tutti con rispetto e gratuità”.
E ricordando le parole che Dio rivolge al profeta Malachia della Prima Lettura («Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio») ricorda che sono queste espressioni “con cui il Signore, chiamandoci, ci ha preceduti: un'occasione, in particolare per voi, per fare memoria della gratuità della vostra vocazione, cominciando dalle origini delle congregazioni a cui appartenete fino al momento presente, dai primi passi del vostro percorso personale fino a questo istante”.
Il Signore ha eletto i consacrati, li ha scelti scelta papa Leone XIV. In questa ottica, allora, i verbi “chiedere”, “cercare”, “bussare” vogliono essere anche un modo di “guardare a ritoso alla propria esistenza, riportando alla mente e al cuore quanto il Signore ha compiuto, negli anni, per moltiplicare i talenti, per accrescere e purificare la fede, per rendere più generosa e libera la carità”.
La seconda parte dell'omelia si concentra su: “Dio come pienezza e senso della nostra vita”. Dio è, infatti, ribadisce il pontefice, per ogni consacrato "tutto": "Lo è in vari modi: come Creatore e fonte dell'esistenza, come amore che chiama e interpella, come forza che spinge e anima al dono. Senza lui nulla esiste, nulla ha senso, nulla vale, e il vostro "chiedere", "cercare" e "bussare", nella preghiera come nella vita, riguarda pura questa verità".
Ricorda, a proposito, le parole di sant'Agostino che descrive la presenza di Dio nella sua esistenza “con immagini bellissime” dice il pontefice: “Parla di una luce che va oltre lo spazio, di una voce non travolta dal tempo, di un sapore mai guastato dalla voracità, di una fame mai spesa dalla sazietà”. E concludere, sempre il Vescovo d'Ippona: “Ciò amo, quando amo il mio Dio”. Parole di un mistico, quelle di Agostino, ma allo stesso tempo “molto vicina anche al nostro vissuto, manifestando il bisogno di infinito che alloggia nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo”.
Servire Dio non è facile, dice papa Leone XIV: il mondo di oggi potrebbe definire ciò addirittura inutile. A ciò bisogna rispondere con “esperienze d'amore consistenti, durature, solide, e voi, coll'esempio della vostra vita consacrata, come gli alberi rigogliosi di cui abbiamo cantato nel Salmo responsoriale, potete diffondere nel mondo l'ossigeno di tale modo di amare”.
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Nelle ultime battute della sua omelia, papa Leone XIV si concentra poi sulla dimensione escatologica della vita cristiana “che ci vuole impegnati nel mondo - ricorda il pontefice - ma al tempo stesso costantemente protesi verso l'eternità”. Da questa concezione, allora, invita i partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata ad “allargare il “chiedere”, il “cercare” e il “bussare” della preghiera e della vita all'orizzonte eterno che trascende le realtà di questo mondo, per orientarle alla domenica senza tramonto”.
Infine, cita le parole di san Paolo VI che scriveva ai religiosi nella Esortazione apostolica "Evangelica testimoniatio" del 29 giugno 1971: "Conservate la semplicità dei "più piccoli" del Vangelo. Sappiate ritrovarla nell'interiore e più cordiale rapporto con Cristo, o nel contatto diretto con i vostri fratelli. Rete allora il trasalir di gioia per l'azione dello Spirito santo". Parole che diventano un invito a tutti i religiosi di oggi.