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Aiuto alla Chiesa che Soffre, quattro mesi per essere la Misericordia di Dio

Papa Francesco per ACS | Uno screenshot del video di Papa Francesco per Be God's Mercy  | ACS Papa Francesco per ACS | Uno screenshot del video di Papa Francesco per Be God's Mercy | ACS

Il primo benefattore è stato Papa Francesco, che fatto pervenire a Erbil, in Iraq, un contributo di 100 mila dollari per la costruzione di un ospedale dedicato a San Giuseppe della Carità nella città del Kurdistan iracheno che è meta di migliaia di rifugiati. Ma la campagna “Be God’s Mercy” (Sii la misericordia di Dio) lanciata da Aiuto alla Chiesa che Soffre ha obiettivi ancora più ampi: dal 17 giugno al 4 ottobre, si raccoglieranno fondi per la costruzione di concrete opere di misericordia in tutto il mondo.

La campagna è sostenuta proprio da Papa Francesco con un video. Il Papa ha affidato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il compito di “realizzare in ogni diocesi, in ogni città, in ogni associazione” una opera di misericordia come segno concreto dell’anno della misericordia”, chiedendo "strutture che siano durature, una struttura per le innumerevoli necessità che sono oggi nel mondo". Un impegno che ha reiterato in una udienza che ha avuto nella mattinata del 17 giugno con Aiuto alla Chiesa che Soffre, che Papa Francesco conosce bene: ne ha visitato la sede centrale quando ancora non era vescovo, e Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto dei progetti in Argentina.

“L’incontro con il Santo Padre – racconta il Cardinal Mauro Piacenza, presidente internazionale di ACS - perché abbiamo incontrato un Papa entusiasta di quello che si cerca di fare e abbiamo avuto la gioia di notare la consonanza delle linee: quello che lui sente e quello che noi cerchiamo di fare sulla traccia di quello che lui ci dice. Abbiamo avuto una trasfusione di entusiasmo”.

Philipp Ozores, Segretario generale della Fondazione Pontificia, ha sottolineato che ACS impiega oltre 120 milioni di euro in progetti in 140 diversi Paesi, e che i progetti dell’Anno della Misericordia “sarebbe bello che fossero visibili in tutto il mondo”.

Sono quattro i temi principali della campagna: bisogno di misericordia; apostoli di misericordia; luoghi di misericordia; frutti di misericordia. Ozores racconta che sono due i messaggi che vengono dall’incontro con il Papa. Ovvero, che “attraverso la preghiera e la bontà, il cuore si apre alla misericordia, e solo dopo entrano in azione le mani”. E che “tutti siamo chiamati all’azione, all’attività”.

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Tra i progetti, Ozores ricorda l’ospedale ad Erbil, la Fazenda de la Esperanza in Colombia, la costruzione di un convento per le Clarisse a Lamezia Terme, in Italia, con uno spazio in grado di ospitare tanti movimenti religiosi nel mondo, e il finanziamento di un incontro di dialogo alla riconciliazione a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana (da dove Papa Francesco ha fatto iniziare l’Anno Santo) che riunirà a Bangui circa 150 religiosi e rappresentanti di diverse comunità. Sono comunque circa 6 mila i progetti in ballo.

L’arcivescovo Sebastian Francis Shaw di Lahore ha portato l’esperienza che vive in Pakistan, dove i cristiani sono una minoranza, sempre a rischio per via della legge sulla blasfemia (che in realtà colpisce anche musulmani). Lui ha raccontato come la comunità cristiana sta reagendo all’attentato dello scorso 27 marzo, quando a Lahore un attentatore suicida si è fatto esplodere in un parco dove i cristiani festeggiavano la Pasqua: il bilancio è stato di 76 morti, tra i quali 30 bambini. “Dopo l’attentato – ha detto – sono andato in ospedale, vestito da prete, e pensavano che fossi andato solo per i cristiani. Ma io ho detto che non avevo alcuna lista, perché le vittime sono tutti esseri umani”. E ha chiesto di “non parlare di quello che divide, ma di quello che abbiamo in comune”, perché “continuando il lavoro di misericordia si possono raccogliere frutti di misericordia”.

A Lahore saranno posti in essere tre progetti della campagna “Be God’s Mercy”, per sostenere le vittime degli attacchi del marzo 2015 a due chiese del quartiere cristiano di Youhanabad e per mettere in sicurezza due delle chiese colpite.

Don Imad Gargees, sacerdote del Kurdistan iracheno, ha raccontato la difficile situazione che si vive in Iraq. “Non sappiamo se ci saremo più, o quale sarà il nostro futuro. C’erano 10 milioni di cristiani, ora sono 300 mila”, racconta Don Gargees.

Infine, una parola sulla difficile situazione dei cristiani in Europa. Certamente – ha detto il Cardinal Piacenza - la “Chiesa che soffre” soffre in molti modi, e uno di questi è l’intolleranza. La Chiesa va aiutata potenziando il più possibile nei Paesi che fanno questa forma di istituzione attraverso un processo educativo o di capacità di ascolto e dialogo di dare le spiegazioni e le ragioni della propria fede. La Chiesa deve andare avanti nella testimonianza ferma della parola di Dio. L’essenziale, il portare la parola di Cristo e la libertà di poterla proporre, la si propone con la parola, con gli scritti, con gli esempi, con la testimonianza di vita. L’aiuto più grande è dato dai mezzi di comunicazione, perché gesti come quelli che accadono contro le chiese non possono che provocare rabbia in una persona civile”.