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Aspettando il Papa, il nunzio a Sarajevo vede un futuro roseo per la Bosnia

Arcivescovo Luigi Pezzuto | Arcivescovo Luigi Pezzuto, Nunziatura Apostolica di Sarajevo, 4 giugno 2015 | Andreas Dueren, ACI Group Arcivescovo Luigi Pezzuto | Arcivescovo Luigi Pezzuto, Nunziatura Apostolica di Sarajevo, 4 giugno 2015 | Andreas Dueren, ACI Group

“Le visite dei Papi portano sempre eccitazione. Ma io penso che la vera sfida è nel prolungamento virtuale della visita del Papa. Dopo il dato storico dell’arrivo di Papa Francesco, c’è tutto quello che viene dopo, il modo in cui gli stimoli che ha portato la visita saranno messi in pratica.” L’arcivescovo Luigi Pezzuto è nunzio apostolico in Bosnia Erzegovina, e parla con ACI Stampa il 4 giugno 2015, alla vigilia della visita di Papa Franceco. Riceve nel salotto in cui Papa Francesco incontrerà i vescovi della Bosnia sei in tutto, prima di andare a pranzo e poi proseguire la giornata.

L’arcivescovo descrive la situazione bosniaca come “complessa,” ma aggiunge che “in fondo sono complesse tutte le situazioni del mondo.” Di certo, lui è ottimista. “Si tratta di stare dietro a dei processi, perché tutto è in processo, tutto è in cambiamento… e i processi a volte sono lenti, non si possono forzare.”

Il Cardinal Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, ha parlato più volte dell’islamizzazione della Bosnia, raccontando di come lui faccia difficoltà anche ad avere il permesso per costruire nuove chiese, mentre ovunque compaiono moschee. Il nunzio Pezzuto ammette che c’è un problema nell’ottenere i permessi per costruire le chiese. “Io stesso ho parlato con le autorità, ho cercato un dialogo… ma dobbiamo renderci conto che i cattolici sono una minoranza qui, e che vivono tutti i problemi che hanno le minoranze.”

Ma ci tiene a sottolineare che il dialogo con il mondo islamico è vivo, e ben strutturato. “Da quando io sono qui, non ho mai avuto problemi a dialogare con le autorità musulmane. Anzi, c’è un clima di dialogo molto forte. C’erano autorità musulmane all’inaugurazione della statua di Giovanni Paolo II, davanti la Cattedrale.”

“Da quando sono a Sarajevo ho visto solo miglioramenti. Ripeto, si tratta di processi. E noi siamo qui per agevolare quei processi,” racconta l’arcivescovo Pizzuto. Il nunzi ci tiene a sottolineare che è tutto in movimento, in Bosnia. I rapporti con lo Stato – racconta – “sono ottimi,” c’è stato un “accordo, un concordato, siglato nel 2006 e ratificato nel 2007, e ora si stanno creando le leggi per attuarlo. Riguarda anche la questione delle proprietà della Chiesa da restituire, dopo che erano state espropriate dalla dittatura comunista. Ma riguarda anche la questione dei giorni festivi, perché in un posto multi-etnico, multi-religioso come Sarajevo, le feste religiose vanno equamente divise. E la Chiesa cattolica ha fatto una proposta di legge in sede di commissione mista, perché siano rispettate tutte le festività religiose, in uno spirito di dialogo.”

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Di certo, i processi sono favoriti dal dinamismo della società. “Le persone hanno sperimentato la guerra, e non la vogliono più. Sembra una cosa ovvio, ma loro sentono questa necessità di non tornare in guerra molto forte. Anche l’anno scorso, quando ci furono delle proteste, e iniziarono violente, bruciando delle macchine, poi le persone si sono fermate, hanno lasciato andare la parte violenta della protesta, perché hanno probabilmente ricordato i fuochi della guerra… le proteste sono procedute, ma pacificamente.”

C’è da ricostruire la fiducia tra le famiglie, ma questo processo “è aiutato anche dal carattere dei bosniaci, che accoglie il vicino, che ha un forte senso della comunità.” Un senso della comunità che fu spezzato durante le guerra, e che le persone non intendono più perdere.

Il nunzio vede tutto con speranza. È fiducioso che la Bosnia proseguirà nel processo di integrazione europea. È fiducioso che si arrivi ad un buon livello di dialogo interreligioso. È fiducioso del fatto che si possa costruire davvero una pace stabile. È fiducioso anche del dialogo con gli ortodossi. 

Perché può sembrare che gli ortodossi restino alla finestra, ma non è così. “Io devo testimoniare – racconta il nunzio – che la Settimana per la Promozione dell’Unità dei Cristiani è stata inaugurata nella Cattedrale di Sarajevo, ma da un predicatore ortodosso. E che io stesso, questo 25 gennaio, sono andato a concludere un incontro di preghiera in una Chiesa ortodossa.”

Poi, certo, le difficoltà non mancano. Ma è proprio per questo che la Chiesa di Bosnia attende il Papa. Per avere un appello alla pace e alla fiducia reciproca, e trovare una nuova speranza per guardare avanti.