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Canada, i vescovi ancora contro l’eutanasia: “È omicidio volontario”

In un messaggio ai fedeli cattolici del Paese, i vescovi del Canada tornano ad attaccare la legge sull’eutanasia nel Paese. Danno supporto a quanti resistono all’eutanasia. Mettono in guardia dall’erosione dell’obiezione di coscienza

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No all’erosione dell’obiezione di coscienza. No all’eutanasia nei posti cattolici. No all’eutanasia in generale. La posizione dei vescovi canadesi sulla legge “Morire con dignità” è “inequivocabile”. “eutanasia e suicidio assistito costituiscono il deliberato omicidio della vita umana in violazione dei Comandamenti di Dio. Erodono la nostra dignità comune mancando di vedere, accettare e accompagnare quelli che soffrono e che muoiono. Minano il dovere fondamentale che abbiamo di prenderci cura dei membri più deboli e vulnerabili della società”.

Nel tempo pasquale, la Conferenza Episcopale del Canada prende carta e penna e scrive una breve lettera ai fedeli, ribadendo la sua posizione sulla legge sull’eutanasia.

Questa – chiamata legge C-7 - è stata approvata nel 2016, e il governo canadese aveva al tempo promesso che ci sarebbe stata una revisione approfondita del testo prima dell’introduzione nella legislazione. Ma questo non è successo, mentre la nuova legge è stata introdotta per rispondere ad una decisione della Corte Superiore del Quebec del settembre 2019, che considerava come la stipulazione di una “morte ragionevolmente prevedibile fosse una violazione dei diritti umani”. Decisione cui il governo canadese non si è appellato.

La lettera, datata 8 aprile, ricorda che i vescovi dal Canada si sono impegnati dall’inizio con una massiccia campagna per contrastare la legge. E ricordano che “la vita umana deve essere protetta dal concepimento alla morte naturale, in ogni momenti e in qualunque condizione”.

Ora, per i vescovi è il momento di supportare “tutti gli individui e le comunità che continuano a difendere la vita resistendo all’eutanasia e al suicidio assistito in Canada, o promuovendo la vita attraverso la cura della famiglia, degli amici e dei loro cari nella loro sofferenza, o nel prestare aiuto ai malati e ai moribondi come lavoratori nel campo sanitario o volontari”.

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I vescovi continueranno, dal canto loro, a lavorare perché ci sia “un rapido accesso alle cure per i malati mentali, il supporto sociale per quelle malattie, programmi di prevenzione e suicidio”, nonché “la gestione e il supporto delle persone con malattie croniche o degenerative, o quanti vivono in isolamento in strutture sanitarie a lunga degenza”.

Nella lettera, anche un grido di allarme riguardo l’eventuale erosione dell’obiezione di coscienza. “Troveremmo inaccettabile – scrivono i vescovi – se i professionisti sanitari che si oppongono all’eutanasia o al suicidio assistito siano mai costretti a partecipare ad atti che la loro coscienza trova moralmente sbagliati”.

E questo perché – aggiungono i vescovi – “l’omicidio diretto di una persona non può mai essere considerata un dovere”.

Senza mezzi termini, i vescovi dicono di essere “categoricamente opposti all’eventualità di consentire l’eutanasia e il suicidio assistito in istituzioni che portano il nome di cattoliche”.

Ribadiscono, i vescovi, la necessità piuttosto di sviluppare e utilizzare le cure palliative, perché queste “ e non l’eutanasia o il suicidio assistito, sono la risposta compassionevole al sofferente e al moribondo”.