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C’è continuità fra culto pagano e culto cristiano? Se ne parla a Mamoiada

C’è continuità fra culto pagano e culto cristiano? Di questo ne discuterà don Massimo Naro nel convegno organizzato per i 20 anni del Museo delle Maschere di Mamoiada

Don Massimo Naro |  | Don Massimo Naro Don Massimo Naro | | Don Massimo Naro

C’è continuità o discontinuità fra culti pagani e culto cristiano? Di questo ricco argomento ne discuterà don Massimo Naro, direttore del Centro Studi Cammarata di San Cataldo dal 2004, durante un evento davvero particolare. L’occasione sarà il Ventennale della fondazione del Museo delle Maschere Mediterranee a Mamoiada in Sardegna. ll Museo delle Maschere di Mamoiada ospiterà un convegno e tanti eventi, il 3 al 4 giugno. Questo piccolo comune sardo è famoso anche perché legato alla suggestiva tradizione del suo Carnevale con le maschere di sos Mamuthones e sos Issohadores e alla festa di Sant’Antonio Abate. Come si legano il sacro e il profano? Ne abbiamo parlato con Don Massimo Naro.

Il suo intervento al convegno che si terrà a Mamoiada si inscrive in un progetto di ricerca volto a studiare – ancora una volta e una volta di più – i riti che in quella località sarda si celebrano annualmente attorno alle figure dei cosiddetti Mamuthones. Che tipo di rapporto esiste, se esiste, tra i culti pagani, di cui i Mamuthones sembrano essere un retaggio, e il culto cristiano che vi si inserisce nel momento in cui i Mamuthones sono accostati alla figura di sant’Antonio abate?

In generale, senza ancora entrare dettagliatamente nel caso specifico che si configura a Mamoiada con i suoi Mamuthones, si può ben parlare di un rapporto di continuità e discontinuità fra culti pagani e culto cristiano. Difatti, a partire dal concilio di Nicea (325 d.C.) si afferma definitivamente nella teologia cristiana il principio secondo cui ciò che non viene assunto dal Logos umanatosi in Cristo Gesù non viene neppure redento. Ne consegue che è necessario che tutto venga assunto e che nulla resti escluso, al fine di realizzare l’avvertimento dato dal Cristo ai suoi discepoli: «La volontà del Padre vostro celeste è che neanche uno di questi piccoli si perda», come leggiamo nel capitolo 18 del vangelo secondo Matteo. In forza di questa logica incarnatoria si sviluppa un ininterrotto processo di inculturazione del messaggio evangelico e della fede cristiana nei vari contesti culturali e religiosi in cui il cristianesimo di volta in volta si va innestando, in tutto il bacino Mediterraneo prima e altrove, ovunque i flussi missionari faranno riecheggiare l’annuncio evangelico, nel prosieguo dei secoli. Così i culti cosiddetti “pagani” di volta in volta, nei diversi contesti in cui l’incontro e il confronto si realizza, vengono lasciati cadere oppure assunti e risignificati.

Come può valere questo discorso generale nel caso specifico dei Mamutones sardi?

I Mamuthones di Mamoiada sono protagonisti di un rito sui generis. Un rito, cioè, che non viene celebrato in uno dei cosiddetti “tempi forti” della liturgia cristiana, per esempio in quaresima o a Pasqua, oppure ancora in prossimità del Natale, ma piuttosto nei giorni in cui ogni anno cade il carnevale. Sotto questo punto di vista il rito inscenato dai Mamuthones, che pur mantiene ed esprime una certa atavica sacralità, non mi sembra un vero e proprio atto di culto, analogo alle tante manifestazioni della religiosità popolare che in ogni contrada d’Italia si possono incontrare ancora ai nostri giorni, seppure anch’esse innestate di elementi folkloristici eterogenei rispetto alle loro origini devote. Le tipiche manifestazioni della religiosità popolare hanno comunque la pretesa di esprimere la devozione del popolo credente – quella che in termini più appropriati dovremmo chiamare la “pietà popolare” – verso il Cristo crocifisso e risorto, verso la Madre sua venerata sotto diverse denominazioni a seconda del tipo di grazia che i devoti vogliono ottenere tramite la sua intercessione, e ancora verso i santi, invocati a patrocinare le attività umane la cui buona riuscita i devoti vogliono garantirsi ponendosi sotto la loro protezione. I Mamuthones di Mamoiada non sembrano avere a che fare con nulla di tutto ciò. Sono del tutto “laici” o, per essere più precisi e più coerenti alla realtà del fenomeno di cui stiamo parlando, sembrano essere pre-cristiani. In ogni caso non si inseriscono dentro il calendario dei tempi forti liturgici. E difatti entrano in scena nei giorni del carnevale. Tuttavia, a ben pensarci, nel contesto culturale – ampiamente e profondamente secolarizzato – in cui oggi viviamo, il carnevale a me sembra essere l’ultimo promemoria di una antica maniera cristiana di intendere e vivere il tempo annuale, con le sue varie stagioni ricondotte a un ritmo festivo cadenzato dal ricordo della vicenda del Cristo e dalla devozione verso i santi che l’hanno ricopiata in sé e rivissuta a loro volta.

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Non a caso il carnevale si colloca alla vigilia dell’inizio della quaresima…

Si, e a sua volta rappresenta il tempo in cui i credenti sono chiamati alla serietà ascetica della preparazione alla Pasqua di Cristo, vale a dire al ricordo del suo cammino di passione attraverso le strettoie della morte subita infine sulla croce, a cui i credenti stessi sentono di doversi associare con i loro personali sacrifici e con le loro penitenze, a cominciare dal digiuno. Oggi di questo cammino cristiano riusciamo ad apprezzare soltanto la vigilia, appunto il carnevale. Per il resto già all’indomani del mercoledì delle ceneri la pubblicità ci riempie gli occhi di colombe pasquali al cioccolato, alle mandorle, al pistacchio. Accade lo stesso in tempo di avvento: gli addobbi natalizi e la fregola consumistica dei regali catturano i nostri pensieri molto prima di arrivare a celebrare il ricordo della nascita del Cristo a Betlemme il 25 dicembre. I Mamuthones, invece, con le loro danze marziali sembrano ancora prendere sul serio quella vigilia quaresimale, come a volersi schierare già per una marcia impegnativa e faticosa come dovrebbe essere la quaresima vissuta in tutte le sue implicazioni penitenziali. Sembrano essere in assetto di guerra, pronti a scendere in battaglia, per lottare contro un nemico invisibile ma certamente presente, come potrebbe essere inteso il male contro cui anche i cristiani sono chiamati a combattere durante la quaresima di conversione.

C’è anche la danza dei Mamuthones a Mamoiada nella domenica che precede l’inizio della quaresima…

Non ho visto, purtroppo, mai in presenza la danza dei Mamuthones. Ne ho però visto alcune riprese televisive e ne ho letto le descrizioni accurate che ne hanno fatto, soprattutto negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, gli etno-antropologi che hanno studiato il caso di Mamoiada. E sempre ne ho ricavato l’impressione di una danza che assomiglia proprio a una marcia militare, col passo pesante ma composto e sincronico. Lo schema che questa danza marziale disegna mentre si svolge – con le sue movenze, ma anche con il clangore bellico che essa emana per via dei campanacci di cui sono muniti i Mamutones –, sembra essere quello dell’antica falange romana. Non ho elementi documentali per arrivare a dire che i Mamuthones stiano mimando l’incedere di una falange romana, ma che una antica popolazione della Barbagia, nel cuore indomito della Sardegna, per riuscire a resistere all’invasione romana si equipaggi adeguatamente alla stessa stregua delle truppe che vogliono conquistarne il territorio, mi pare una ipotesi non del tutto peregrina. In questa prospettiva, i Mamuthones inscenerebbero un rito apotropaico più che propiziatorio: sembrano voler esorcizzare la paura dentro i loro cuori mentre tentano di incuterla ai nemici che li vedono avanzare in quella maniera. La loro è una sacralità marziale, che vuole accattivarsi la buona sorte nella più ardua delle imprese umane: la guerra. Mi fanno pensare un po’ alla danza Haka dell’antico popolo Maori, in quella che oggi è la Nuova Zelanda, e che oggi è divenuta la danza per la vittoria che gli All Blacks fanno prima di ogni loro partita, quasi a voler mostrare in anteprima la loro prestanza fisica ai loro avversari nella speranza di intimorirli. Nondimeno, oggi, dopo secoli di reiterazione rituale, l’antica marcia apotropaica dei Mamutones sardi, stilizzata in danza marziale, rimemorata alle porte della quaresima, fa pensare al desiderio di esorcizzare le forze del male (e del Maligno) contro cui ci si deve preparare a combattere duramente in vista della vittoria pasquale. In questo senso, vedrei il legame dei Mamutones con l’orizzonte cultuale cristiano più che a monte – con l’inizio della loro festa fissato al 17 gennaio, festa di sant’Antonio abate – a valle, cioè guardando in direzione dell’inizio della quaresima.

A Mamoiada è comunque molto sentita la venerazione nei confronti di sant’Antonio abate, protettore degli allevatori. La devozione verso questo santo, in una regione in cui l’allevamento del bestiame era e continua ad essere la principale fonte di sostentamento della popolazione, non potrebbe segnare quell’ incrocio di assimilazione tra culti pagani e culto cristiano di cui lei parlava prima?

Certamente. In questo senso i Mamuthones potrebbero testimoniare anche un’aspirazione propiziatoria: in pieno inverno si invoca un aiuto sovrannaturale – quello garantito dal santo – per sopravvivere a una stagione dura ma che dà la possibilità di pascoli freschi e abbondanti, disponendosi alla transumanza del bestiame dalle zone impervie della montagna ai pascoli pianeggianti, I Mamuthones mimerebbero, in questo caso, l’incedere solo apparentemente disordinato – in realtà normato da una millenaria consuetudine ripetuta e rivissuta ogni anno – delle greggi e delle mandrie, guidate dal suono dei campanacci. Una bella sfida in faccia alle difficoltà della vita in Barbagia.

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