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Chiesa tedesca, è ancora emorragia di fedeli

Cardinal Reinhard Marx | Cardinal Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, Sala Stampa Vaticana, 6 novembre 2014 | Daniel Ibáñez / ACI Group Cardinal Reinhard Marx | Cardinal Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, Sala Stampa Vaticana, 6 novembre 2014 | Daniel Ibáñez / ACI Group

L’agenda della misericordia non porta bene alla Chiesa tedesca. Secondo gli ultimi dati, più di 200 mila tedeschi hanno formalmente lasciato la Chiesa cattolica nel 2014, accelerando così il trend che ha visto scendere sempre più negli ultimi anni la percentuale dei cattolici nella popolazione tedesca.

Perché una persona sia considerata parte di una religione, deve pagare una tassa alla Chiesa, che viene raccolta dal ministero delle Finanze. Si può dare il contributo a cattolici, evangelici od ebrei. Si può anche scegliere di non darla a nessuno. Ma in questo caso, si perde anche il diritto a un funerale di tipo religioso.

Per quanto riguarda i cattolici, la scelta di non pagare alcuna tassa viene comunicata al vescovo, che provvede ad eliminare la persona dal registro dei battezzati. Un atto che un tempo equivaleva ad una dichiarazione di apostasia, e quindi a una scomunica latae sententiae, e che aveva creato non pochi problemi. Se infatti a non pagare le tasse era un immigrato straniero, magari inconsapevole della tassa, la decisione veniva comunicato al suo vescovo di appartenenza. È successo che immigrati, tornati in patria, non si sono potuti sposare in Chiesa perché formalmente scomunicati. E solo di recente la scomunica si è trasformata, ed ora chi non paga le tasse è considerato semplicemente in “grave peccato pubblico.” Con più o meno gli stessi effetti di una scomunica. Non pagare la tassa è comunque reato, e l’ultimo caso noto è quello del calciatore Luca Toni, che non ha pagato la tassa nel periodo in cui era calciatore in Germania.

La tassa si chiama Kirchensteuer, ed è in vigore dal 1867, come compensazione per le perdite della Chiesa dovute al processo di secolarizzazione dovuto da Napoleone. I cattolici tedeschi, che hanno forte il senso della comunità e sentono di dover contribuire alla vita della Chiesa, non hanno mai considerato la tassa come un ‘gabello,’ ma piuttosto come un contributo perché la Chiesa mantenesse la sua indipendenza.

Fino ai tempi moderni, quando – passo dopo passo – i cattolici tedeschi hanno cominciato a decidere di smettere di pagare la Kirchensteuer. In alcuni casi per mere ragioni economiche. In altri casi, per disaffezione verso la Chiesa di Germania.

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Così, nel 2013 l’emorragia era stata di 178.805 fedeli. Nel 2014, sono stati 217.716 i fedeli che hanno smesso di pagare le Kirchensteuer, secondo le statistiche ufficiali rilasciate dalla Conferenza Episcopale Tedesca. Vale a dire, il 22 per cento in più dell’anno precedente.

Altri dati: mentre più di 200 mila persone hanno lasciato la Chiesa di Germania, 2.809 sono entrati e 6.314 sono stati riammessi. Il Cardinal Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale di Germania, ha osservato che gli abbandoni della Chiesa cattolica riflettono “decisioni di vita personale che in ogni caso noi profondamente disapproviamo, ma rispettiamo anche in nome della libertà di scelta.”

Il Cardinal Marx è anche uno dei promotori dell’ “agenda della misericordia,” ovvero l’agenda il cui linguaggio “non è quello dell’esclusione.” In prima fila per il cambiamento della disciplina dell’accesso ai sacramenti ai divorziati risposati, la Chiesa di Germania ha cercato negli anni di orientarsi sempre più verso l’agenda progressista, forse nella speranza di fermare l’emorragia dei fedeli.

L’ultima scelta in questo senso – avvenuta lo scorso marzo -è stata quella di cambiare la loro legge sul lavoro – le agenzie di tipo cattolico avevano la possibilità di assumere secondo i loro criteri – in modo da “renderla più aderente ai molteplici cambiamenti nella pratica legale, nella legislazione e nella società.”

Con questo cambiamento, lo stile di vita personale non è più un criterio di selezione del personale laico degli organismi della Conferenza Episcopale Tedesca e cattolici in generale (ospedali, scuole, servizi sociali). Vale a dire che divorziati e risposati o coloro che sono in unioni civili omosessuali non perderanno automaticamente il lavoro, come poteva accadere in passato.

Il cambiamento della legge sul lavoro è stato approvato con i voti di più dei due terzi delle 27 diocesi tedesche, anche se c’è stata qualche opposizione.

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Tra le voci pro-cambiamento, quella del Cardinal Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Colonia, che pure si è distinto in passato per posizioni molto forti contro le unioni omosessuali, ha voluto sottolineare che la nuova legge sul lavoro non nega l’insegnamento ufficiale della Chiesa che il matrimonio è indissolubile, anche perché – ha spiegato all’agenzia KNA – “le persone che divorziano e si risposano sono molto raramente licenziate. Il punto è limitare le conseguenze del secondo matrimonio e di una unione omosessuale ai casi più seri, che comprometterebbero l’integrità e credibilità della Chiesa.”

Il cambiamento appare essere anche questo parte di una strategia per parare i colpi del mondo secolare, ed eventualmente fermare l'emorragia dei fedeli. Perché è vero che in Germania si permette alla Chiesa di avere una sua legge sul lavoro, ma è anche vero che le sentenze delle Corti di giustizia hanno puntato a limitare le leggi sul lavoro della Chiesa, e in più si è operato molto sulla sensibilità dell’opinione pubblica, che ha cominciato a reagire malamente quando, ad esempio, veniva diffusa la notizia che un primario era stato licenziato dopo che era stata riconosciuta una sua unione omosessuale.

Questo adattamento allo spirito del mondo non ha però portato alla Chiesa di Germania nulla in termini di acquisto dei fedeli, ma ha piuttosto – dati alla mano – fatto accelerare l’emorragia.

E c’è uno zoccolo duro di vescovi in Germania che lo sottolinea, con critiche anche pesanti. Come il Cardinal Walter Brandmueller, che recentemente ha dato una intervista al Rheinische Post – il giornale della Regione del Reno da cui partì l’ondata che chiese una riforma sulla disciplina del matrimonio negli Anni Novanta, con un gruppo di vescovi che includeva gli attuali Cardinali Kasper e Lehman.

Nell’intervista, il Cardinal Brandmueller si è lamentato che i vescovi tedeschi sono rimasti in silenzio di fronte ad alcuni peculiari sviluppi sociali. “I vescovi non hanno promesso al momento della loro ordinazione di proclamare il Vangelo di Cristo con lealtà e di preservare il deposito della fede?” ha chiesto provocatoriamente l’anziano Cardinale tedesco.