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Cinque pilastri per il dialogo interreligioso. Spiegati dal Cardinal Turkson

Cardinal Peter Kodwo Appiah Turkson | Cardinal Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace | Daniel Ibanez / CNA Cardinal Peter Kodwo Appiah Turkson | Cardinal Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace | Daniel Ibanez / CNA

Come portare avanti il dialogo tra le religioni? Il Cardinal Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, non ha dubbi: è la Dottrina Sociale la base. E – riprendendoli direttamente dalla Pacem in Terris di San Giovanni XXIII – indica cinque pilastri per il dialogo e la vita comune di tutte le religioni: la dignità umana, la giustizia, l’unità della famiglia umana, il bene comune, la destinazione universale dei beni.

Il Cardinal Turkson parla a Qom, in Iran, durante la conferenza sul ruolo delle religioni nel raggiungimento della pace e della giustizia nel mondo. La conferenza si è tenuta il 6 febbraio, e il tema scelto dal cardinale è “La Gloria di Dio è la pace e la giustizia della terra”. E non poteva esserci luogo migliore per tenere questo discorso.

Perché, ad esempio, è stato a Qom, all’Università delle Religioni e delle Confessioni, che è nata l’idea di tradurre il catechismo in lingua farsi. Ed è nata proprio in ambito islamico. Lontana circa 90 chilometri dalla capitale Teheran, Qom è il cuore dell’Iran religioso ed è la città santa dell’Islam sciita. Lì c’è il santuario dove riposano le spoglie di Fatima Masumeh, sorella di Reza, l’ottavo imam dello sciismo duodecimale: lo visitano in 15 milioni di persone l’anno. Di questa spiritualità “beve” la città, in cui ci sono oltre cento centri di studio, e conta tra i 50 mila e 60 mila studenti di Corano e Islam su una popolazione di circa un milione di persone. Tra questi, 2 mila si sono dedicati allo studio delle altre religioni: cristianesimo, ebraismo, buddhismo e induismo.

C’è, insomma, un ambiente ben preparato ad ascoltare un punto di vista cristiano. Senza contare che l’Iran ha fatto anche passi avanti nel riconoscimento internazionale, e non a caso il Cardinal Turkson cita con piacere la recente visita in Vaticano del presidente Hasan Rohani.

Come possono le religioni rivelate contribuire a creare pace e giustizia nel mondo? Spiega il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che in “ciascuna delle religioni rivelate, il punto di partenza è l’automanifestazione di Dio nell’atto della creazione”, e questo c’è sia nel corano che nella Bibbia. E la creazione è il punto di partenza di quello che Giovanni XXIII definì “un ordine stabilito da Dio”. Ed è da quei cinque pilastri, osservati nella Pacem in Terris e attualizzati dal Cardinal Turkson, che si deve partire per un impegno comune delle religioni.

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In primis, la dignità umana, perché “quando viene a sapere di essere creata e amata da Dio, la gente comincia a comprendere la sua dignità trascendente. Imparano a non essere soddisfatti con loro stessi, ma piuttosto ad incontrare il loro prossimo in una rete di relazioni che sono autenticamente umani”. Insomma, si rendono conto della loro dignità intrinseca, e di essere “creati sociali” nella loro dignità.

Una dignità che passa per la giustizia. Ma la giustizia, secondo il Cardinal Turkson, è un termine di relazione. Perché “tutta la vita riguarda le relazioni o la mancanza di relazioni. Quando viviamo e rispettiamo le ricchezze della relazione in cui ci troviamo, siamo giusti, e dunque agiamo con giustizia”. E il frutto della giustizia “è la pace”, che è “direttamente relazionata alla qualità delle relazioni personali e comunitarie”.

Non solo. “Nella Bibbia cristiana, la storia della salvezza e la redenzione riguarda il restaurare la vita di comunione tra Dio e la creazione, riparando una relazione che si è interrotta. E quando questa riparazione è riferita come riconciliazione giustificazione, allora la Bibbia cristiana ci invita a comprendere la giustizia nel contesto delle relazioni”.

Quindi c’è l’unita della famiglia umana. Siamo figli dello stesso padre, e dunque – sottolinea il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace – “ogni forma di aggressione e di uccisione di un uomo è un fratricidio”. Dobbiamo “cercare il bene di ciascuno in solidarietà”, praticando l’attitudine morale e sociale con fermezza e perseveranza” che ci fa impegnare nel bene comune”, facendo in modo che tutti siano partecipi del processo di solidarietà, anche “i più poveri”. Così “si mettono in discussione le barriere sociali”.

È qui che si innesta il concetto di bene comune. Che “non è meramente quello che alla gente capita di volere, quanto piuttosto ciò che è autenticamente buono per la gente, le condizioni sociali che permettono la fioritura umana”.

Il Cardinal Turkson poi menziona la “destinazione universale dei beni”, in quanto “i beni della terra sono destinati per l’uso di tutti”, un diritto che non nega il diritto alla proprietà privata, ma “invita la proprietà privata a riconoscere la sua funzione sociale”.

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Sono questi principi, derivati dalla Bibbia, che fanno prorompere al Cardinal Turkson la preghiera: “Signore, facci costruttori della città dell’uomo che merita il nome di Salaam/Shalom/pax”.

E torna poi a parlare del concetto di grazia, che è collegato ancora una volta con la giustizia. Perché “il favore immeritato di Dio nella vita degli uomini”, che arriva nonostante gli uomini siano peccatori, si chiama appunto grazia, e “questo ci porta di nuovo in una relazione con Dio”. Perché la grazia “giustifica” l’uomo, ovvero “lo rende di nuovo giusto di fronte a Dio”. Ancora una volta, la giustizia è un termine di relazione.

Le religioni, spiega il Cardinal Turkson, sono chiamate a costruire la città terrestre (ovvero il mondo) in unità, pace e giustizia, in modo da renderla “in qualche modo una anticipazione del Regno di Dio”.

Ma “per costruire un mondo più pacifico, si deve lavorare a un livello personale, tra individui, comunità e nazioni, con la creazione e infine con Dio”. E allora “tutti contribuiscono ad una società più giusta e meno violenta” fin quando “coltiviamo giuste e corrette relazioni ad ogni livello delle nostre vite”, incluso l’ambiente.

Un problema, l’ambiente, affrontato già da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e ora da Francesco. Tutti hanno sottolineato che “la crisi ambientale è fondamentalmente una crisi etica”. Una crisi che non si può superare solo avanzando la tecnologia.

La sfida, per le grandi religioni del Libro, è allora affrontare tutte le crisi in maniera giusta. In modo da costruire insieme sulla terra la città celeste.