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Come commenta la Santa Sede il rapporto ONU sul commercio?

Arcivescovo Tomasi | L'arcivescovo Tomasi presenta il rapporto UNCTAD, 15 settembre 2017, Radio Vaticana | AG / ACI Stampa Arcivescovo Tomasi | L'arcivescovo Tomasi presenta il rapporto UNCTAD, 15 settembre 2017, Radio Vaticana | AG / ACI Stampa

Una economia che includa anche gli ultimi e che sia orientata alla persona: è questa la ricetta della Santa Sede per uscire dalla crisi economica, rilanciata ancora una volta nel momento in cui l’United Nations Conference on Trade and Development, la conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo, lancia il suo rapporto annuale.

Il rapporto viene presentato anche in Vaticano, a cura del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ed è questa l’occasione per la Santa Sede per ribadire la sua posizione in termini finanziari. Una posizione certamente più complessa di come viene dipinta, descritta nella enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, rilanciata – non senza polemiche – con il documento dell'ex Pontificio Consiglio della Giustizia e della  Pace “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale” che chiedeva una autorità mondiale per il controllo economico, e ancora una volta riaffermata da Papa Francesco, sia nell’Evangelli Gaudium che nella Laudato Si.

Il rapporto UNCTAD ha delle luci e delle ombre. Fa notare che c’è un contest economico globale bloccato e lontano dal garantire un percorso di crescita sostenuta. Ma lo stesso titolo del rapporto guarda oltre. Si chiama “Oltre l’austerità: verso un nuovo corso per l’economia globale”, e definisce una agenda politica per costruire – si legge nel comunicato – "economie più inclusive ed attente ai bisogni delle popolazioni”.

Al di là dei dettagli tecnici, è importante comprendere il modo in cui la Santa Sede guarda al problema, in particolare dalla sua posizione di Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite.

A spiegarlo è l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, ora consigliere del Dicastero per lo Svliuppo Integrale, che ricorda come la crisi è venuta da “una combinazione di collassi etici e tecnici”, dimostrando che per mitigare i rischi c’è bisogno sia “della disciplina esterna di legge e mercato, sia di una forte presa di coscienza morale da parte chi è coinvolto”.

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È chiaro che “l’economia del libero mercato non è sufficiente, e debba essere supportata da una cornice morale”, perché le crisi economiche sono solo “le più visibili manifestazioni di una economia mondiale che è diventata sempre più sbilanciata” in modalità che non solo escludono parte della popolazione, ma sono anche pericolose per la salute “politica, sociale e ambientale”.

La Santa Sede plaude all’idea del rapporto di andare oltre la politica di austerità, e sottolinea che lo stesso rapport incoraggia il passaggio da una “società orientate sul profitto” a una società “orientata sulla persona”.

Si parte comunque dall’educazione. “Per essere realmente efficienti – dice l’arcivescovo Tomasi – dobbiamo restaurare responsabilità, competenza, coraggio, prudenza, giustizia e moderazione come principi generalmente accettati”.

È una agenda che capita in un momento propizio.

L’arcivescovo Tomasi ricorda che “la famiglia, l’unità naturale e fondamentale della società, è il primo agente di sviluppo sostenibile, e perciò il motivo di comunione e solidarietà tra nazioni e istituzioni internazionali”.

C’è bisogno, insomma, di rafforzare la famiglia, di considerarla come attore economico. C’è bisogno che gli Stati abbiano una preoccupazione condivisa sul tema, perché è da lì che comincia la riduzione della povertà. E la famiglia stessa, con i suoi legami intergenerazionali, può essere un esempio per un migliore sviluppo.

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Nelle parole dell’arcivescovo Tomasi, uno sguardo particolare per l’Africa, perché “l’instabilità economica per le regioni africane è la ragione principale per le masse di immigrazione che l’Europa ha vissuto negli ultimi due anni e che ha causato molte morti, sofferenza per i migranti e le loro famiglie e offese alla loro dignità umana”.