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Coronavirus, il racconto di don Pietro Sacchi in ospedale per essere con i malati

Alla scuola di Don Orione vicino a chi soffre e lavora

Don Pietro Sacchi  |  | Orionini
Don Pietro Sacchi | | Orionini
Don Pietro Sacchi  |  | Orionini
Don Pietro Sacchi | | Orionini

Don Pietro Sacchi, religioso orionino della comunità del Paterno di Tortona, con 7 anni di sacerdozio,ha iniziato da fine marzo a offrire il proprio servizio di accompagnamento spirituale presso l'ospedale Santi Antonio e Margherita.

Questa missione da “cappellano” nell’ospedale cittadino è stata possibile grazie agli interventi del Vescovo diocesano, Mons. Vittorio Viola, e del Superiore Provinciale, Don Aurelio Fusi, entrambi in contatto con le autorità comunali e ospedaliere di Tortona.

La struttura ospedaliera, riconvertita dallo scorso 5 marzo, ospita al momento circa un centinaio di pazienti positivi al coronavirus. Don Sacchi racconta come va questa sua esperienza: "Ho fatto il giro nei reparti. Sono subito partito dalla rianimazione, dopo è stato il turno della Medicina e della Chirurgia, che in realtà ormai ospitano anch'esse pazienti Covid. La vera differenza si nota nelle 12 stanze dedicate alla rianimazione, con gli intubati: lì posso solo benedire. Nelle altre stanze mi reco con il formulario delle confessioni: uso la 3° formula, il 3° capitolo è quello che prevede Papa Francesco per le confessioni comunitarie".

“Abbiamo iniziato - racconta ancora don Sacchi - un bellissimo progetto con i tablet, per fare in modo che qualche paziente, soprattutto quello più anziani che da oltre 15 giorni che non potevano sentire i parenti, potessero finalmente fare loro una videochiamata. A pranzo sono stato con i medici e gli infermieri, perché in questo contesto siamo a tutti gli effetti una famiglia e stando insieme ci carichiamo a vicenda. Loro mi hanno istruito, mi hanno fatto un corso su come vestirmi e svestirmi. Mi hanno spiegato che la cosa più importante e delicata è la svestizione, perché bisogna stare attenti a come si va fuori.  Qui indossiamo una tuta che ha un doppio strato, un doppio calzare, degli occhiali di plastica, una cuffia verde e un cappuccio sopra la cuffia. Io ho indosso anche una bellissima croce di legno che era una copia della croce di Tonino Bello, che mi diedero dopo una missione a Carapelle, ed è l'unico elemento che mi contraddistingue, per capire che non sono un sanitario ma sono un sacerdote".

"Dopo il pranzo - aggiunge - faccio l'esposizione del Santissimo. La cappella è prevalentemente vuota, ma ogni tanto qualche medico, qualche infermiere, qualche malato si affaccia alla balconata della cappella che è su due piani. Poi alle 15 celebro la Messa, e due o tre persone partecipano sempre. Teniamo in questo modo viva la liturgia, alla fine dell'adorazione eucaristica benedico tutto l'ospedale. La gente mi incontra con grande gioia, i medici sono contenti, si fermano a parlare, e anche chi non chiede il sacramento, non chiede la confessione, vuole fare una chiacchierata e questo fa molto piacere anche a me. Io non ho contatti fisici, sto molto in sicurezza, seguo le istruzioni che mi hanno dato e anche quando uso il tablet ho a disposizione tutti i mezzi per non far entrare in contatto le mani. Nonostante tutto, è una bella esperienza, pregate per me perché ne ho bisogno. Io, non ometto di pregare per voi".

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Alla sua testimonianza ha voluto rispondere anche il Direttore generale dell'Opera Don Orione, Padre Tarcisio Vieira: "Facciamo rivivere in noi quello spirito di Don Orione pronto ad accorrere per portare soccorso a chi era colpito da grandi calamità, quella sua disponibilità per imprese grandiose. Ricordiamo che, durante la Prima guerra mondiale, forse in occasione del terribile flagello dell'influenza chiamata 'spagnola', essendo venuto a mancare il cappellano di un ospedale per l'isolamento degli ammalati (lazzaretto), Don Orione scrisse al responsabile di quell'ospedale: "Prego Vostra Signoria un favore: permettermi di assumere la cura spirituale del Lazzaretto (...). Occorrendo, io passerò là la notte e il giorno" (Scritti 68, 36). Forse non ci sarà permesso un tale sacrificio e generosità. Ma, "Sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli che soffrono, sentiamo il grido delle anime che anelano a Cristo. E che la carità, o fratelli, ci edifichi e unifichi in Cristo, quella carità che non s'arresta, che non vede barriere, che è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose". A te, caro Don Pietro, è stato permesso un tale sacrificio... Grazie a nome di tutta la Famiglia Orionina!".