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Dalle diocesi, la Chiesa italiana in cammino fuori dal nostro Paese

Il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes

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L’Italia non ha smesso di essere Paese di emigrazione. Lo dimostrano i dati che la Fondazione Migrantes ha pubblicato questa settimana. Un dato deve farci riflettere: la comunità dei cittadini italiani che vivono ufficialmente all’estero ha superato la popolazione di stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale.

Una Italia interculturale in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni). Una Italia fuori dall’Italia che la Chiesa vuole continuare a seguire pastoralmente come fa da oltre un secolo. Sono circa 400 i sacerdoti, solo in Europa, che celebrano in italiano nelle varie Missioni Cattoliche presenti nel vecchio Continente.

E non solo: sono veri e propri parroci accanto ai loro fedeli. Una presenza importante. E lo sarà maggiormente nel prossimo futuro.  I dati ci dicono che le partenze non si attenueranno e i nostri connazionali che hanno messo radici fuori del Belpaese hanno trovato e trovano ancora non solo una risposta religiosa e pastorale, ma anche una presenza sostanziale e di vicinanza concreta, come è accaduto e sta accadendo ancora con la pandemia. 

In una Europa che si va sempre più allontanando dal cattolicesimo la presenza di sacerdoti italiani accanto agli italiani che vivono all’estero è molto importante. Ecco perché da più parti si chiede alle diocesi italiane di inviare – anche per una esperienza – sacerdoti per queste “parrocchie italiane” all’estero. Un tassello di Chiesa in cammino fuori dal nostro Paese che deve proseguire nell’accoglienza delle persone che arrivano, spesso bisognose di tutto. E poi una Chiesa che dopo la pandemia inizia a riprendere quell’incontro con le famiglie che si è spezzato, almeno in presenza, a causa della lontananza e del distanziamento sociale. E poi l’incontro verso i bisogni dei più giovani che partono e spesso trovano solo aperte le Missoni cattoliche italiane per un primo contatto. 

Il passato più recente ha visto e vede proprio le nuove generazioni sempre più protagoniste delle ultime partenze. D’altronde non potrebbe essere altrimenti considerando quanto la mobilità – spiega la Migrantes -  sia entrata a far parte pienamente dello stile di vita, tanto nel contesto formativo e lavorativo quanto in quello esperienziale e identitario. Infatti l’attuale comunità italiana all’estero è costituita da oltre 841 mila minori (il 14,5% dei connazionali) moltissimi di questi nati all’estero, ma tanti altri partiti al seguito delle proprie famiglie in questi ultimi anni. Ai minori occorre aggiungere gli oltre 1,2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni. E non bisogna dimenticare tutti quelli che partono per progetti di mobilità di studio e formazione e chi è in situazione di irregolarità perché non ha ottemperato all’obbligo di legge di iscriversi all’Anagrafe degli Italiani residente all’estero (Aire).

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Una popolazione giovane, dunque, che parte e non ritorna. E questo preoccupa la Chiesa italiana.  “I giovani stanno andando via per motivi di lavoro e di studio e non tornano più”, ha detto il vice presidente della Cei, il vescovo di Cassano allo Ionio, Francesco Savino  spiegando che questo significa che dobbiamo creare le condizioni per un lavoro bello, pulito e solidale”. Dal rapporto emerge infatti “una mobilità italiana malata”, perché caratterizzata dalla necessità e unidirezionale, ossia si parte e si non torna più”, ha precisato.

Come vescovo del Sud Savino ha fatto presente il problema dello spopolamento delle aree interne e invitato la politica “ad assumere le proprie responsabilità” in proposito. “Se nel dopoguerra gli italiani andavano all’estero come manodopera ora partono giovani con due o tre lauree – ha osservato -. Questo depotenzia il nostro capitale umano mentre arricchisce il Nord Europa. Noi del Sud dobbiamo liberarci dalla cultura assistenzialista e creare invece un welfare generativo”. Lo studio della Fondazione Migrantes “ci aiuta ad osare di più: quando parliamo di fenomeno migratorio è in gioco la democrazia. Per favore, osiamo di più perché la storia di domani ci giudicherà dal coraggio che abbiamo avuto nel risolvere il fenomeno migratorio”.

Intanto in tutte le diocesi domani al Giornata dei Poveri con iniziative, momenti di incontro e veglie di preghiera come a Rimini dove oltre alla veglia anche un concerto di beneficenza e l’iniziativa di un salvadanaio per bambini e ragazzi da costruire e da riempire con i soldi messi da parte, per acquistare alimenti in favore dei più deboli.