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Dio non é indifferente, il racconto di chi lo ha sperimentato

Le famiglie accolte dal Centro Astalli in sala stampa |  | Angela Ambrogetti Le famiglie accolte dal Centro Astalli in sala stampa | | Angela Ambrogetti

C’è una famiglia che è scappata dalla Siria, una mamma con due figli che è fuggita dal Kenia, un somalo che ha attraversto deserto e patito il carcere pur di arrivare in Italia, e una perseguitata della Costa d’ Avorio. Sono loro i protagonisti della presentazione del messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016 firmato da Papa Francesco.

Nella Sala Stampa della Santa Sede il cardinale Turkson presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace rilegge i passi principali del messaggio, poi il sotto segretario Flaminia Giovannelli spiega la continuità del magistero di Francesco con quello dei suoi predecessori e infine Vittorio Alberti che ha proposto una riflessione sull’impegno giovanile e culturale come contrasto alla corruzione nella linea di Papa Francesco.

I momenti più significativi sono stati quelli della lettura di due testimonianze. Una di Don Luigi Ciotti e una dell’ arcivescovo di Monreale Michele Pennisi.

In particolare Pennisi racconta le sue esperienze dirette fin da giovane seminarista, con un  impegno costante verso coloro che tutti dimenticano. “Da più di due anni sono arcivescovo di Monreale- scrive Pennisi- dove non c’è nessun carcere, anche se ci sono molti detenuti provenienti dalla diocesi in varie carceri in Italia. Sinceramente mi mancava il contatto con i detenuti, che ho trovato tra le persone più disponibili ad accogliere il messaggio di misericordia e di conversione del Vangelo. In alcune parrocchie e strutture della arcidiocesi di Monreale sono ospitati dei detenuti che scontano pene alternative. Lo scorso 9 dicembre, all’indomani dell’apertura del Giubileo della misericordia, dopo aver ottenuto i relativi permessi e in comunione con il nuovo arcivescovo di Palermo don Corrado, assieme ad alcuni professori e studenti del Parlamento della Legalità, ho incontrato i detenuti della casa circondariale dell’Ucciardone a Palermo. In un clima di grande commozione dopo aver commentato la parabola del Padre misericordioso che accoglie il figlio prodigo e l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo il pubblicano, ho parlato ai detenuti della modalità di ottenere l’indulgenza del Giubileo in carcere, ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre ricco di misericordia. Parecchi detenuti avevano le lacrime agli occhi e mi hanno chiesto di ringraziare a nome loro papa Francesco”.

Il tema della “libertà dei prigionieri” è quello che prenderà sicuramente più spazio nei media, ma non può essere slegato dalla assunzione delle responsabilità di tutti verso tutti come ricorda nella sua testimonianza Don Ciotti che ricorda le tante iniziative di realtà, dentro e fuori la Chiesa, “che ribellandosi alla “globalizzazione dell’indifferenza”, e testimoniando una “misericordia corporale e spirituale”, presiedono le periferie geografiche e esistenziali dove le persone più indifese – migranti, carcerati, donne, malati, disoccupati – non soffrono solo di bisogni trascurati, ma di diritti negati, vite non riconosciute nella loro dignità”.

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Rimangono a parlare con i giornalisti i rifugiati del Centro Astalli, quella mamma che lavora come funzionario del governo nella sicurezza e aiuta la parrocchia con corsi che sensibilizzano per aumentare la sicurezza, ma i terroristi assaltano casa sua e lei deve fuggire con i figli. Rimane la famiglia Afisa scampata ad un attentato, autista del nunzio a Damasco e che ora vive a Roma che vuole alzare alta la voce del suo popolo. Resta Habiba, 37 anni, viena da una famiglia agiata della Costa d’Avorio, dove le forze governative perseguitano la sua etnia. Non è stato facile per lei ottenere il riconoscimento dei titoli di studi, ma ora Habiba aiuta i rifugiati come lei.