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Diplomazia pontificia. Quali i risultati dell'impegno multilaterale della Santa Sede?

Papa Francesco alle Nazioni Unite | Papa Francesco alle Nazioni Unite di New York, 25 settembre 2015 | Alan Holdren / CNA Papa Francesco alle Nazioni Unite | Papa Francesco alle Nazioni Unite di New York, 25 settembre 2015 | Alan Holdren / CNA

Quali sono stati i più grandi risultati della Santa Sede nella diplomazia multilaterale? Sono risultati spesso invisibili, si trovano nelle pieghe di difficili negoziazioni dei trattati, e alla persona comune sembra a volte non si sia ottenuto niente. Eppure, in un mondo difficile e in una “dittatura del relativismo” che cerca di cambiare l’antropologia stessa dell’uomo, questi risultati rappresentano una piccola goccia al servizio del bene comune, da non sottovalutare.

Lo racconta ad ACI Stampa l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, per 13 anni Osservatore Permanente della Santa Sede presso la sede ONU di Ginevra.

In che modo la Santa Sede entra nello scenario della diplomazia multilaterale?

L’interdipendenza tra le nazioni ha portato a sviluppare la diplomazia multilaterale, cominciando con l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Questa attività diplomatica acquista maggior visibilità e gioca un ruolo di crescente importanza. La Santa Sede incoraggia i passi che esprimono e sostengono l’unità della famiglia umana e progressivamente prende parte con suoi rappresentanti nello svolgersi della vita internazionale.

Quale è la visione di unità supportata dalla Santa Sede?

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Nel corso della storia sono state proposte differenti visioni di “unità”, molte delle quali spesso basate sull’arbitrio della forza o sulla volontà di superiorità o di potenza, esercitata, o a volte anche solo minacciata, da qualcuno dei Membri della Comunità internazionale. L’apporto della Santa Sede mostra un’unità più profonda basata sul rispetto della persona umana, della sua dignità e del suo valore trascendente. Il cristianesimo, con la sua dimensione universale, la cattolicità, si è posto e si pone come strumento aggregante, un “vincolo unitario” che non ha il compito di relativizzare o distruggere le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma anzi di favorire l’esprimersi della realtà nella differenza.

In che modo questa unità può incidere nei rapporti all’interno delle organizzazioni internazionali?

L’interdipendenza, come accennato prima, è oggi più tangibile. Purtroppo in molti casi è un meccanismo di controllo più che di inclusione. E non possiamo sottovalutare l’importanza che gli Stati continuano ad avere come vediamo nella gestione dei rifugiati e dei migranti. La diplomazia della Santa Sede ha il suo ruolo nel portare le istanze di tutti. Lavora ad abbattere muri e a ridurre il gap tra ricchi e poveri. Parte dalla convinzione che ogni Paese ha il dovere di rispettare i principi consuetudinari del diritto internazionale e le convenzioni alle quali ha liberamente aderito. Senza diritto non manca solamente ordine, ma anche libertà e pace.

Diceva Sant’Agostino che lo Stato senza diritto è come una banda di briganti…

Per questo la Santa Sede ha collaborato spesso alla redazione di Convenzioni che hanno di volta in volta rinnovato il diritto internazionale. Essa si adopera nel concerto delle Nazioni perché la forza della legge prevalga sulla legge della forza. Un esempio significativo è l’articolazione e il sostegno prioritario dell’autorità politica a livello locale, nazionale e internazionale. Questa è una via maestra per orientare la globalizzazione economica e così evitare che essa mini di fatto i fondamenti della democrazia. Come per l’economia così per la cura della casa comune, l’ambiente, per i movimenti di popolazione, per la ricerca della pace, l’azione multilaterale è indispensabile.

Quali sono stati i maggiori temi sviluppati nel corso dei suoi 13 anni a Ginevra?

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Nei quasi tredici anni da Osservatore a Ginevra la Missione della Santa Sede ha lavorato su diversi settori. Ricordo le prime riunioni per la preparazione della Convenzione sulle munizioni a grappolo e i vari momenti critici nel negoziato. In quella occasione, nel 2008, i risultati superarono le aspettative e la Convenzione fu votata a grande maggioranza. Nel settore della proprietà intellettuale si lavorò con successo nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) per la questione dell’accesso ai farmaci. Lavorando con pazienza nell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO) si riuscì ad elaborare il primo trattato basato su eccezioni e limitazioni al diritto di autore per consentire l’accesso alla cultura delle persone ipovedenti, il Trattato di Marrakech del 2013. Quello che sembrava un esercizio di retorica si è tramutato in realtà entrando in vigore lo scorso anno (30 settembre 2016) ed entro la fine dell’anno potrebbe vedere la ratifica anche dell’Unione Europea.

Dal punto di vista economico, in quali campi avete lavorato?

Gli accordi di Bali e di Nairobi alla WTO, rispettivamente del 2013 e del 2015, hanno consentito di dimostrare invece come il multilateralismo a livello commerciale può essere una soluzione sostenibile. Ricordava il Direttore Generale, parafrasando un proverbio africano, che “è meglio fare un passo tutti insieme piuttosto che correre da soli”. Il multilaterale è complesso e richiede un impegno costante ma rappresenta il modo migliore per camminare insieme, cercare soluzioni a problemi comuni, e collaborare per l’inclusione di tutti nei benefici che ne derivano, come insiste Papa Francesco.