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Domenico Brizi, storia di un vescovo con la missione del prete

Riscoprire la figura di un vescovo che sapeva ascoltare laici e sacerdoti nel ministero del confessionale

Il vescovo Brizi con Papa Giovanni XXIII |  | La Loggetta
Il vescovo Brizi con Papa Giovanni XXIII | | La Loggetta
Domenico Brizi  |  | La Loggetta
Domenico Brizi | | La Loggetta
Domenico Brizi  |  | La Loggetta
Domenico Brizi | | La Loggetta
Domenico Brizi da bambino |  | La Loggetta
Domenico Brizi da bambino | | La Loggetta

“Avviciniamo la gente, interessiamoci di loro: facciamocene nostri i desideri e i bisogni; sappiamo comprendere la loro mentalità, difendere i loro diritti, frenare le loro intemperanze, scusare i loro difetti, compatirne gli errori, illuminarne l’ignoranza, sollevarne le necessità, comporne gli attriti, consolarne le pene, farsi tutti a tutti perché tutti vengano a Dio”.

E’ il 1950 quando Domenico Brizi scrive queste parole. E’ da cinque anni vescovo di Osimo, all’epoca staccata da Ancona, con il suo duomo romanico e la vita che rinasce dopo lo sconvolgimento della guerra. 

Il vescovo Domenico è amato dalla gente perché conosce bene le loro sofferenze. E’ un grande direttore spirituale, confessa molto e non è tenero in confessionale. 

Non abbandona mai il “Ministero del Confessionale”e quando non può scendere al confessionale riceve  nella cappellina dell’episcopio. 

Don Domenico era nato a Tuscania il 21 Gennaio 1891. Studia a Roma al Seminario Romano e presso la Pontificia Università Lateranense si laurea in S. Teologia e Diritto Canonico. Ordinato Sacerdote il 23 Febbraio 1918, al suo rientro in Diocesi, gli viene affidata la Parrocchia di S. Giovanni Decollato a Tuscania che tiene per circa dodici anni. Nella Parrocchia di S. Giovanni il nuovo parroco trova una forte devozione a Maria venerata come “Addolorata”.  Non vi è casa a Tuscania in cui manca una copia dell’immagine dell’Addolorata. Don Domenico ne incoraggia l’Incoronazione da parte del Capitolo Vaticano nel Settembre del 1923 per mano del Cardinale Ehrle.

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Nel 1933 inizia la sua vita come rettore di seminari, fino  al 1939 quando Monsignor. Brizi viene nominato Rettore del Pontificio Collegio Urbano di Romano. 

La guerra la vive a Roma ma, nei primi mesi del  1945 diventa vescovo di Osimo- Cingoli, nelle Marche. Viene consacrato l’11 Febbraio nella Cappella del Collegio Urbano devoto all Madonna della Fiducia, Patrona del Seminario Romano, Madonna tanto cara al nuovo Vescovo di Osimo. La domenica delle Palme entra in diocesi, è il 25 marzo.

Nella sua prima Lettera Pastorale scrive: “Che cosa io ho che posso darvi? non splendore di natali, non tesori di scienza, non ricchezza, nulla. Io non posseggo ne ho mai posseduto, e- posso accertarvene- non possiederò  mai nulla di tutto questo. Vi posso offrire il mio cuore, e mai mi   tanto doluto, che il mio cuore non fosse pi  grande, come oggi, che donandovi il mio cuore vorrei donarvi, non soltanto quello che ho, ma tutto quello che ha Dio”.

E’ sempre l’11 febbraio quando muore, ed è il 1964, all’Ospedale civile di Osimo dopo aver scritto nel suo diario: “Sto per celebrare la Messa più solenne, Ti prego Signore, dammene la forza e fa che sia veramente solenne”.

Brizi scrive molto, soprattutto lettere a chi segue come padre spirituale, ai sacerdoti.  Non sono opere teologiche ma vere pagine di pastorale attualissime anche oggi. 

Nota che l’ostilità verso la Chiesa che si va sempre più intensificando. Aumentano le associazioni “dove si impara a  lottare contro Dio”e da parte dei cristiani “è evidente un  certo disorientamento: illanguimento di fede, intorpidimento di vita morale, lassa mento dei vincoli di unità”. Ma il Sacerdote, ricorda Brizi, non è stato ordinato per avere una posizione privilegiata, ma si è offerto a Dio per la salvezza e per la santificazione delle anime ma “come l’otterremo se non siamo santi noi?”.

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Bellissimi i racconti dei suoi familiari che incontrava nella sua Tuscania di tanto in tanto. Francescanamente povero e figlio di fornai non si vergognava delle sue origini. 

Sulla sua tomba nella cripta del Duomo di Osimo ci sono sempre fiori, e fin dagli anni’90 si parla di grazie ricevute per sua intercessione. 

Sta di fatto che Don Domenico ha lasciato una impronta di santità che potrebbe aprire la strada per l’apertura della causa di beatificazione. 

Per conoscerlo meglio c’è un libro di Giovanni Antonazzi, storico della Tuscia, non facilmente reperibile se non nelle biblioteche. E anche il libro più agile e divulgativo di Matteo Cantori. 

Ed è un peccato. Perché modelli di sacerdoti e di vescovi come don Domenico sono importanti oggi più che mai.