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È morta Jane Roe. Il suo caso fece legalizzare l’aborto. Ma poi si convertì

Norma McCorvey | Norma McCorvey, la Jane Roe di Roe vs. Wade | You Tube Norma McCorvey | Norma McCorvey, la Jane Roe di Roe vs. Wade | You Tube

La conoscono tutti come Jane Roe, un nome che in realtà serviva a nascondere la sua identità. Ma Norma McCorvey, morta a 69 anni lo scorso 18 febbraio, non era solamente un nome fittizio in una delle due sentenze che aprirono la strada all’aborto negli Stati Uniti. Era una donna che poi si era convertita, era stata battezzata nel 1995 e aveva dedicato tutti gli ultimi 27 anni della sua vita a cercare di sovvertire la sentenza che ha aperto alla possibilità di aborto negli Stati Uniti. Come giustamente è stato scritto, è lei la prima vittima dell’aborto.

Era il 1969 quando Norma, incinta per la terza volta, stava lavorando con un avvocato per dare il bambino in adozione. Ma entrarono all’improvviso nella sua vita Sarah Weddington e Linda Coffey, due giovani avvocati che difendevano il diritto all’aborto. In qualche modo, si approfittarono di lei. Era praticamente senza tetto, povera, conviveva con un’altra donna, aveva problemi di tossicodipendenza. I due avvocati la portarono a pranzo e la convinsero a firmare quei documenti che avrebbero consentito loro di portare la causa pro-aborto in tribunale. Documenti in cui si sosteneva tra l’altro che lei era vittima di stupro.

 Non volle mettere il suo nome sulla causa, e allora divenne Jane Roe. Non pensava minimamente all’impatto che avrebbe avuto la sentenza, approvata a grande maggioranza dei giudici. La sentenza della Roe vs Wade aprì le porte dell’aborto negli USA. E lei fu attivista abortista, arrivò a lavorare in Planned Parenthood, fino a quando arrivò la conversione. Improvvisa e incredibile, raccontata nel suo libro “Won by love” (Vinta dall’amore) del 1988.

Nella biografia racconta che notò un poster con uno sviluppo fetale mentre era seduta in un ufficio, e lì, guardando lo sviluppo, guardando “quel piccolo embrione di 10 settimane” non poté dire “non dire: questo è un bambino. È come se un paraocchi mi fosse caduto dagli occhi”. Era il 1988. Ed era l’inizio di un percorso. Si convertì alla causa pro-life nel 1990, dopo aver conosciuto molti leader del gruppo pro-life Operation Rescue, la cui sede era stata trasferita accanto alla clinica abortista in cui lavorava. Nel 1995, arrivò il battesimo. 

In questi ultimi anni, ha cercato di sovvertire la sentenza che la riguarda in tutti i modi. La sua petizione è stata sempre respinta. Aveva dichiarato: “Sono stata persuasa da avvocati femministi a mentire – ha dichiarato – a dire che ero stata stuprata, e che avevo bisogno di un aborto. Ma era tutta una bugia. E da allora oltre 50 milioni di bambini sono stati uccisi. Mi porterò questo peso nella tomba”.

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Non è la sola donna la cui storia fu usata per consentire l’aborto. In Paesi come gli Stati Uniti, dove vige la common law, le sentenze fanno giurisprudenza. E così, fu necessaria un’altra sentenza per consentire l’aborto in ogni momento della gestazione senza paletti. Questa sentenza fu quella del processo Doe vs Bolton.

La signora Doe è Sandra Cano, è la sua storia è molto simile a quella di Norma McCorvey. L’iter processuale di Sandra Cano cominciò nel 1970: aveva 22 anni, e aspettava il suo quarto figlio, dopo aver perso la custodia di due dei suoi bambini e aver adottato il terzo. Viveva in Georgia, e lì l’aborto poteva essere praticato solo in condizioni estreme, ma gli avvocati ritennero che a Sandra Cano dovesse essere concesso il diritto di abortire. La Corte Suprema fu d’accordo, e con quella sentenza estese il diritto di abortire a tutti i nove mesi di gravidanza.

Peccato che da sempre Sandra Cano ha messo sotto accusa il fondamento stesso dell’iter processuale. Perché – ha detto – lei non aveva mai davvero voluto né richiesto un aborto e che era stata portata con l’imbroglio a firmare un affidavit sull’aborto al processo che aveva intentato solamente per definire il divorzio da suo marito e cercare di ottenere nuovamente la custodia degli altri bambini. E nel 2003, a 30 anni della sentenza, ha lanciato un procedimento legale per sovvertire la famosa sentenza che la riguarda. Nemmeno lei ha avuto successo. Anche lei, oggi, è una attivista pro-life.

Così, la morte di Norma McCorvey ci priva di una testimone diretta di come l’industria dell’aborto abbia propagato le sue bugie. Ma anche di una donna che visse una profonda conversione. Jane Roe era solo un nome, un timbro su una sentenza. Ma Norma McCorvey era sangue e carne. E come sangue e carne conobbe la fede.