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E se la Cina fosse davvero vicina, ma non come dovrebbe esserlo?

Il XIII Rapporto sulla Dottrina Sociale dell’Osservatorio Van Thuan mette in luce come il modello cinese abbia ormai conquistato il mondo. Ma è davvero un bene? E che impatto ha sulla dottrina sociale?

Rapporto Dottrina Sociale | La copertina del XIII Rapporto sulla Dottrina Sociale nel Mondo dell'Osservatorio Van Thuan | Cantagalli Rapporto Dottrina Sociale | La copertina del XIII Rapporto sulla Dottrina Sociale nel Mondo dell'Osservatorio Van Thuan | Cantagalli

Dopo l’accordo sino-vaticano, rimasto riservato, si è sottolineato spesso che “la Cina è più vicina”. E mentre l’accordo veniva negoziato, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, che dagli anni Ottanta del secolo scorso tesse un paziente dialogo con Pechino, aveva detto che “è vero che i cattolici sono ancora in gabbia, ma è una gabbia un po’ più larga”. Oggi, però, nel mezzo di una pandemia originata proprio in Cina, l’adozione del modello cinese per affrontarla anche da parte delle democrazie occidentali lascia molte domande aperte. La Cina non solo è più vicina, ma è un modello. Ed il modello cinese può essere davvero un buon modello?

Se lo chiede il XIII rapporto sulla Dottrina Sociale nel mondo dell’Osservatorio Van Thuan, che ha come tema proprio “Il modello cinese: capital-socialismo del controllo sociale”. Rispetto ai rapporti precedenti, questo ha un sapore più geopolitico. Si guarda alla Cina, ma soprattutto a come il modello della Cina si sia fatto strada nelle organizzazioni internazionali e anche nei continenti, spinto da quel socialismo capitalista che porta il Dragone Rosso ad essere presente in tutti i continenti. Persino la politica del figlio unico, con i suoi 300 milioni di aborti conosciuti, viene in qualche modo presa ad esempio nel mondo occidentale, e portata avanti, in un mondo che ha negato la trascendenza dell’uomo e dunque ha tolto ogni valore alla vita, in favore delle ideologie che, in realtà, non danno dignità all’essere umano.

È, quello cinese, il modello di un totalitarismo mascherato, di una presenza dello Stato forte nella vita delle persone che toglie alle persone ogni forma di trascendenza fino a decidere della vita e della morte, fino persino ad entrare nelle questioni personali. Scrive l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, presidente onorario dell’Osservatorio, che “questo Rapporto, se dovessimo dirlo in estrema sintesi, si occupa della dimensione globale del totalitarismo ateo, che si palesa con molte analogie sia all’Est come all’Ovest. Va dato così merito al Rapporto di cogliere il vero e principale problema dell’umanità di oggi”.

E, nella sintesi introduttiva, Riccardo Cascioli e Stefano Fontana mettono in luce come “il modello cinese ha alle proprie spalle la Cina, ma non ne è la fotografia, quanto piuttosto il biglietto da visita, un’arma politica per creare consenso, stabilire legami, suscitare aspettative, allargare la propria influenza, ovviamente ottenendo anche il contrario, ossia apprensione, paura e contromosse”.

C’è un saggio nel Rapporto, fondamentale per capire la situazione attuale della Cina continentale, ed è stato scritto dal Cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong. Il Cardinale Zen riassume e mette in luce due documenti sulla questione religiosa.

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Il primo è il documento 19 del 1982. Scritto nell’era di Deng Xiaoping, si presenta come “La visione basilare della questione religiosa durante il periodo socialista nel nostro Paese”, e tradisce una impostazione marxista – materialista, che vede nella religione una espressione del senso di paura e di impotenza della gente primitiva davanti a terrificanti fenomeni della natura.

Nel documento, si nota che “la libertà di credere non solo non impedisce ma rafforzerà l’opera del Partito nel disseminare l’educazione scientifica e nel combattere la superstizione. Un punto da sottolineare è che la fede religiosa sia un affare privato, la scelta del cittadino individuo. La religione non deve immischiarsi in affari amministrativi o giudiziali dello Stato, neppure nella scuola o nella pubblica educazione”.

E si delinea la strategia per cui “il Partito ateo deve guidare le religioni, per mezzo delle sue organizzazioni patriottiche religiose (per i cattolici sono l’Associazione patriottica cattolica cinese, la Commissione degli affari religiosi cattolica cinese e la Conferenza episcopale cattolica cinese) con le quali garantire la normalità dell’agire dei credenti”.

La fotografia di quello che succede oggi? No, ma è una base da cui partire. Perché nel 2013, Xi Jiniping stila un altro “Documento 9” che segna, spiega il Cardinale Zen, “il ritorno alle politiche di Mao Zedong”.

Il documento vede nelle democrazie occidentali una minaccia alla guida del Partito, così come nella promozione dei diritti umani ed eterni, nella promozione della società civile, nella promozione del neoliberismo, e addirittura nella promozione della “idea occidentale del giornalismo sfidando il nostro principio che i media e il sistema della stampa devono essere soggetti alla disciplina del partito”.

Insomma, il documento nega “l’inevitabilità storica della Rivoluzione, dicendo che

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è stato un errore e l’inizio di altri errori”, e “non favorisce la libertà religiosa”. Si chiede il Cardinale Zen: “Cosa possiamo fare in questa situazione. Dialogare? Tacere? Diventare pappagalli? Il Signore ci illumini e ci dia forza”.