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Giornata dell’Europa, CEI e COMECE chiedono un nuovo umanesimo europeo

Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI, e il vescovo Mariano Crociata, presidente della COMECE, indirizzano una lettera all’Unione Europea

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Danno del tu all’Europa, affrontando le sfide di oggi, che vanno dai populismi alle migrazioni, passando per la richiesta di una politica estera e di pace condivisa, fino al sogno, delineato anche recentemente da Papa Francesco, di un nuovo umanesimo europeo. Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e il vescovo Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali di Europa, nella Giornata dell’Europa si fanno carico delle preoccupazioni della prossima tornata elettorale europea.

È una lettera senza precedenti, che rispecchia da una parte il recente attivismo comunicativo della CEI, e dall’altra coinvolge anche l’organismo della COMECE, organo di monitoraggio e dialogo con le istituzioni dell’Unione in Europa che include vescovi delegati dei Paesi UE. Non viene coinvolto, invece, il Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa, di cui la CEI è parte, e che invece è organismo che include tutti i presidenti del continente europeo, dall’Atlantico agli Urali, ed è forse una scelta che vuole enfatizzare il ruolo della CEI.

È una lettera dai toni un po’ sentimentali, in cui si esalta che i 27 Paesi dell’Unione hanno deciso “invece di litigare e ignorarsi” di “conoscersi e andare d’accordo”, costituendo “la prima casa comune” in cui “impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”.

Il desiderio dei vescovi italiani e dei delegati europei è che si rafforzi ciò l’Europa rappresenta, ricordando gli inizi dell’Unione Europea, nata dalle ceneri dalla Seconda Guerra Mondiale, ispirata da Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, i quali “animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo”.

Zuppi e Crociata ricordano che l’Europa fu concepita nel 1951 attorno al carbone all’acciaio, e che poi da questo punto comune, anche solo economico, ha creato con i trattati di Roma del 1957 un cammino “che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta”.

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Nella lettera, si definisce l’Unione Europea come “un organismo vivo”, che però ha probabilmente bisogno di “nuove riforme”, perché non può essere “solo una burocrazia” e “direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione”.

Serve, piuttosto, “un’anima europea”, perché sì, ci sono stati momenti positivi in cui i Paesi in crisi economica sono stati accompagnati (ma alcuni ricordano anche un eccessivo attivismo di fronte alla possibilità di una risoluzione nazionale alla crisi), ma ci sono anche “fasi di stallo e difficoltà”, che “crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita”.

In particolare, Zuppi e Crociata mettono in luce la crisi dell’identità europea, sottolineano che si fa fatica “a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi”, notano che “l’impensabile” – cioè la guerra sul territorio europeo – è tornato, e allora c’è “bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente”.

Insomma, si deve “aver cura della pace”, come chiedeva Schuman, e “l’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!”

In questo, CEI e COMECE chiedono alla UE di incidere a livello internazionale, portando la “volontà di pace, gli strumenti della diplomazia, i suoi valori”, cosa difficile oggi perché le “divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli?”

I vescovi italiani e del continente europeo notano il risveglio nato dalle proteste – l’ultima quella cosiddetta dei “trattori” – che pensare ad una perdita di alcuni vantaggi, ma osservano che “il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro”.

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Ci vogliono, insomma, “motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi”.

C’è, insomma, bisogno di avere l’orgoglio di appartenersi, e di appartenere sia alla parte nazionale che a quella europea. Zuppi e Crociata notano che il volto dell’Europa è definito dai valori cristiani, e per questo “come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica”.

Viene chiesto all’Europa di vivere “non solo per stare bene”, ma di “stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà”, e per questo si predica accoglienza dei migranti, perché “chi accoglie genera vita”, e perché comunque i migranti aiutano anche a preparare un futuro migliore.

Zuppi e Crociata notano che “l’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti”.

Ci vuole, però, sostegno internazionale, considerando che l’Europa è “un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali”.

Insomma, è tempo “di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprime”.

Ci sono nuove sfide, come l’Intelligenza Artificiale, altre già vecchie, come la cura della casa comune, il welfare, i diritti individuali, ma ci sono anche i pericoli che “vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate”.

Le elezioni sono chiamate ora ad essere momento di rilancio, con il sogno di creare, concludono, un nuovo umanesimo europeo.