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Giovanni Paolo II visto da vicino. I ricordi del Cardinale Paul Josef Cordes

Il Cardinale Paul Josef Cordes |  | Wlodzimierz Redzioch Il Cardinale Paul Josef Cordes | | Wlodzimierz Redzioch

Tutti sanno che uno dei collaboratori più stretti e fidati di Giovanni Paolo II era un cardinale tedesco, Joseph Ratzinger, ma c’era anche un altro tedesco che assisteva il Papa polacco nella sua missione petrina: Paul Josef Cordes. Oggi cardinale 83enne, nato a Kirchhundem, arcidiocesi di Paderborn, presidente emerito del pontificio Consiglio "Cor Unum", con cui ho ricordato il pontificato di Giovanni Paolo II in occasione del 40° anniversario della elezione di Karol Wojtyła.
 
- Nel 1978, "l'anno dei tre papi", lei, Eminenza, era il vescovo ausiliare di Paderborn. Conosceva allora il card. Karol Wojtyla?

- Ho incontrato il cardinale di Cracovia ancora prima del conclave. Il mio vescovo di Paderborn, un grande amico dei cattolici polacchi, mi ha inviato in Polonia a un evento importante: nel 1977 il cardinale Wojtyła consacrava una chiesa a Nowa Huta la cui costruzione fu molto ostacolata dal regime comunista. L'arcivescovo Degenhardt mi ha delegato ad esprimere il suo riconoscimento e io sono stato ospite nella casa dell'arcivescovo di Cracovia. Invece nel 1978 ha avuto luogo la prima visita ufficiale della delegazione della Conferenza Episcopale polacca nella Repubblica Federale Tedesca. In circostanze sorprendenti, sono stato scelto proprio io per accompagnarla. Abbiamo visitato diverse diocesi. Durante questo viaggio, nella prima macchina c’era il cardinale Wyszynski, il Primate della Polonia, con il vescovo locale, e nella seconda, il cardinale Wojtyla accompagnato da me. Già allora, il cardinale mi ha impressionato per il suo atteggiamento gioioso e per la sua gentilezza. Questa visita fu di grande importanza dal punto di vista ecclesiastico e politico. Il cardinale di Varsavia è stato al centro dell'attenzione di tutti i media. Tuttavia, il cardinale di Cracovia ha fatto una grande impressione su di me. Quando, dopo la visita, uno dei membri del Capitolo di Paderborn mi ha detto di essere stato colpito dal Primate, ho detto: Wyszynski è buono, ma Wojtyla è migliore. È un fatto autentico!

- Come reagì all'elezione dell'Arcivescovo di Cracovia a Vescovo di Roma nel secondo conclave del 1978?

- Il giorno della sua elezione, amministravo nella mia arcidiocesi il sacramento della Confermazione, e in questa occasione parlavo con le persone che mi aiutavano. Ad un certo punto, uno degli accompagnatori si è avvicinato a me ed ha esclamato con eccitazione: "Abbiamo il nuovo Papa: il Cardinale di Cracovia!” Poi mi è stato detto che sono diventato pallido e non potevo stare fermo. E un pensiero mi tornava in mente: di non poter incontrare mai più personalmente nella mia vita qualcuno che è stato eletto Papa. Ecco perché volevo essere a Roma per l’inaugurazione del suo pontificato. Non elencherò qui tutte le difficoltà per poter realizzare questa mia idea: posso solo dire che con l'aiuto di Dio sono riuscito a farlo. Potevo persino salutare il nuovo successore di Pietro in giorno del suo ingresso: mi ha ricevuto quello stesso pomeriggio, il 22 ottobre 1978, nel Palazzo Apostolico, e mi ha detto in tedesco: “Nun, was sagen Sie denn jetzt?” ("Ed ora cosa mi dici?)”

- Si aspettava, Eminenza, che questo Papa dalla Polonia avrebbe cambiato la sua vita?

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- Siccome non avevo studiato a Roma, non parlavo l’italiano ed ero il vescovo ausiliare di Paderborn, cioè ero in una buona situazione, non pensavo di trasferirmi a Roma. Allo stesso tempo, tuttavia, durante il mio lavoro nel Segretariato della Conferenza Episcopale tedesca, sono giunto alla conclusione che sarebbe stato utile se la situazione e la teologia tedesche fossero meglio conosciute nel "quartier generale" della Chiesa a Roma. Questo sentimento è stato anche accompagnato dal sentimento di un certo orgoglio ("Germania docens"). Dopo molti anni di esperienza della Chiesa universale, devo ammettere onestamente che, sfortunatamente, questo non è assolutamente confermato dall’esemplare forza di fede e devozione.

- Nel frattempo, nel 1980, Papa Giovanni Paolo II L’ha chiamato alla Curia romana nominandoLa vicepresidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Lavorando all'epoca nella Conferenza episcopale tedesca, Lei era in contatto con varie associazioni e movimenti laicali. Si aspettava che Giovanni Paolo II avrebbe prestato così tanta attenzione al ruolo dei laici nella Chiesa?

- No, non me l'aspettavo. Solo chi conosceva bene papa Giovanni Paolo II poteva aspettarsi questo suo grande interesse per i laici. Movimenti spirituali, nuova evangelizzazione, Giornate mondiali della gioventù, Sinodo dei Vescovi consacrato alla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, 20 anni dopo il Concilio Vaticano II (1987) - tutto questo si è fatto dalla sua ispirazione. Più tardi, ho trovato un suo testo che testimonia fino a che punto il futuro papa si è preso a cuore questa idea del Concilio Vaticano II e che bene esprimeva la sua lungimiranza. Già nella metà del XX secolo, il movimento giovanile "Oaza" (Oasi) è stato fondato in Polonia. Quando i rappresentanti di questo movimento nel 1976 si incontrarono con la Commissione della Conferenza episcopale polacca, il card. Wojtyła pronunciò un discorso importante. Ha detto: "La parrocchia tradizionale post-tridentina ha un solo centro, con un soggetto responsabile. C'è una Chiesa attiva, una Chiesa viva, una Chiesa di pastori e una vasta cerchia di passivi fedeli che ascoltano. La trasformazione di questo modello di parrocchia in parrocchia come l’impegno comune di tutti - questo è il compito del nostro tempo. Sembra che questo sia esattamente ciò che vuole il movimento “Oaza”: il suo scopo è la parrocchia del futuro ... Mi piacerebbe che la parrocchia e il movimento fossero presenti nel vostro lavoro e che la parrocchia cambiasse gradualmente".

- Quali sono state le più importanti iniziative del Consiglio per i Laici intraprese da Lei, Eminenza?

- Tali impulsi come "Oaza" e altri nuovi "movimenti spirituali" non mi erano noti sulla base della mia esperienza tedesca. Attraverso numerose visite e frequenti partecipazioni ai programmi di vari movimenti, mi sono reso conto di quanto giustamente fossero stati valutati dal card. Wojtyla e quanto stimolanti fossero i loro impulsi per la missione della Chiesa. Così ho cercato di aiutarli a trovare il loro "posto nella Chiesa". Ho preso contatto con movimenti come "Focolari”, "Comunione e liberazione", "Comunità di sant’Egidio”, “Movimento Cursillos”, “Movimento Apostolico di Schönstadt”, “Quinta dimensione” e molti altri. Incontri con i loro fondatori, molti dei quali non sono più in vita oggi (Franciszek Blachnicki, Chiara Lubich, Luigi Giussani, Carmen Hernandez), mi hanno arricchito profondamente e rimangono scolpiti nella mia memoria. Questo fu indubbiamente nello spirito del Papa, perché in seguito mi chiese di prendermi cura di due di loro: "Rinnovamento carismatico cattolico" e "Il cammino neocatecumenale". Mi resi subito conto che i nuovi carismi spesso non erano ben visti dai rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche. Le resistenze erano visibili nelle comunità parrocchiali, nelle Chiese locali fino al Vaticano stesso. Tali resistenze potevano essere superate solo attraverso una chiara impostazione teologica e l’inclusione dei nuovi movimenti nella struttura canonica della Chiesa. Era anche molto importante la dichiarazione di Papa Giovanni Paolo II, in cui egli apprezzava le loro vite e azioni; la dimensione carismatica della Chiesa è stata spesso chiamata „coessenziale“ con la dimensione istituzionale (per la prima volta in una lettera dal 2 marzo 1987 al Colloquio internazionale a Rocca di Papa). Tuttavia, l'atteggiamento scettico di molti pastori della Chiesa ci costrinsero a scrivere statuti che hanno permesso loro di essere riconosciuti dalla Santa Sede. Furono formulati per molti movimenti: per la "Comunità di Sant’Egidio”, per i vari rami di "Comunione e Liberazione", per "Rinnovamento carismatico" e per "Il Cammino neocatecumenale". Tutto questo è costato moltissimi incontri, discussioni, domande ai canonisti e tanta mia pazienza. 

- Il 2 dicembre 1995 il cardinale è stato nominato presidente di un altro dicastero della Curia, il Pontificio Consiglio "Cor Unum", un dicastero creato per “esprimere la sollecitudine della Chiesa cattolica verso i bisognosi, perché sia favorita la fratellanza umana e si manifesti la carità di Cristo” (secondo la Costituzione Apostolica" Pastor Bonus "). Potrebbe ricordare il grande impegno caritatevole della Chiesa sotto il pontificato di Giovanni Paolo II?

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- Pochi anni dopo la mia nomina il Santo Padre mi ha chiesto di presentare il lavoro della Caritas, alla presenza dei presidenti di tutti i dicasteri vaticani: l'incontro era previsto per il 25 novembre 1999. Non ho nascosto nulla sulla grande secolarizzazione di questo centrale ministero della Chiesa e mi ha fatto piacere l'opinione positiva sulla mia analisi di queste persone importanti. Alla fine, il Papa mi prese per un braccio e mi chiese direttamente cosa esattamente si potesse fare; poi mi ha incaricato di presentare per iscritto i passi che avrebbero potuto essere intrapresi. Perciò in una lettera del 17 dicembre 1999 ho suggerito al Papa la pubblicazione di un documento del Magistero sulla "la visione cristiana dell'amore cristiano". Così nel nostro dicastero abbiamo iniziato a raccogliere delle riflessioni per un documento papale. Questa idea, tuttavia, non è stata accolta positivamente dalla Segreteria di Stato, anche a causa del costante deterioramento della salute del Papa. In ogni caso, non vi è stata alcuna reazione, quindi mi è sembrato che l'argomento fosse stato rimosso dall'agenda. Più tardi, nel febbraio 2003, si è scoperto che proposta di tale documento non è stata dimenticata dal Papa che mi ha invitato nei suoi appartamenti per una cena e mi ha ordinato a preparare una prima versione dell’istruzione ufficiale. Per preparare tale testo, ho chiesto aiuto al card. Ratzinger. Apparentemente, tuttavia, non siamo riusciti a convincere la Segreteria di Stato che, con un grande ritardo, ha dato la risposta negativa, che immediatamente ho mostrato al card. Ratzinger. Poi, nel 2005, il Santo Padre è morto. Poco dopo la sua elezione, Papa Benedetto XVI mi ha chiesto, cosa fosse successo al testo dedicato alla "Caritas". 

- E così è nata l’Enciclica “Deus Caritas est”…

- Sì. Benedetto XVI decise di riprendere questo argomento. Tuttavia, le osservazioni pratiche sono state precedute da una profonda analisi teologica. Nella prima parte dell’Enciclica “Deus caritas est” il Papa si è occupato soltanto del problema di Dio e nel suo linguaggio ha parlato del fascino che provoca il nostro Dio nella storia della salvezza. Benedetto XVI voleva aumentare la consapevolezza del problema di "Dio dimenticato". In questo modo, ha realizzato l'intenzione di Giovanni Paolo II.

L’intervista in polacco è stata pubblicata sul settimanale “Niedziela”.