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Guerra in Ucraina, un'intera famiglia in aiuto alla gente con la Società San Vincenzo

La famiglia Uslenghi sul pulmino della San Vincenzo |  | Famiglia Uslengi
La famiglia Uslenghi sul pulmino della San Vincenzo | | Famiglia Uslengi
La famiglia Uslenghi in Ucraina |  | Famiglia Uslenghi
La famiglia Uslenghi in Ucraina | | Famiglia Uslenghi
La famiglia Uslenghi in Ucraina |  | Famiglia Uslenghi
La famiglia Uslenghi in Ucraina | | Famiglia Uslenghi

Sei furgoni della Società di San Vincenzo De Paoli, aggregati alla carovana ‘#STOPTHEWARNOW’, nelle scorse settimane hanno raggiunto Odessa, Mykolaiv e Cherson con aiuti umanitari e generatori di corrente: 6700 chilometri tra il sibilo delle bombe e l’urlo assordante delle sirene antiaeree. Ad aprire la carovana il furgone rosso di Luigi Uslenghi con la moglie Cristina e le figlie Beatrice e Rebecca di 21 e 19 anni: “Questo è il nostro quinto viaggio in Ucraina. Siamo partiti carichi di generi alimentari e tanta speranza, ma non siamo rientrati mai a mani vuote”.

A conclusione del viaggio abbiamo chiesto alla figlia Beatrice di raccontarci la situazione trovata in Ucraina: “Dalla nostra ultima carovana di settembre, la situazione delle città che abbiamo visitato, cioè di Mykolaiv e Odessa è nettamente migliorata: se, solo qualche mese fa, la prima pareva una città fantasma, al nostro arrivo ci è apparsa quasi rifiorita. Mykolaiv è una città che pian piano sta ricominciando a vivere, i negozi riaprono, le luci si accendono i mezzi di trasporto si riempiono.

Questa pace, però, è relativa, effimera, e di facciata; lo sappiamo noi volontari e lo sanno gli abitanti, che nonostante tutto cercano di tornare ad una normalità che non riconoscono più. Nonostante la vita stia riprendendo il suo corso, nella città i segni della guerra sono visibili negli edifici distrutti, che rimangono fermi immobili e che non lasciano dimenticare, nella gente che ancora non ha acqua potabile in casa e che riempie taniche ai pozzi costruiti dagli italiani, nelle famiglie che prendono una borsa di cibo da associazioni caritative perché non possono permettersi altro. Il movimento del fronte che da 15 km dalla città si è spinto fino a 40 km. ha portato solo una pace finta: qui tutto è fermo come in una fotografia, qui nulla respira troppo forte per paura di risvegliare la bestia”.

Quali azioni avete svolto in Ucraina?

“I nostri viaggi in Ucraina vogliono portare principalmente due cose: per primo, un aiuto concreto in forma di aiuti umanitari, quali cibo, acqua, prodotti per l’igiene personale, generatori. E la fatica del trasporto non è solo nelle ore di strada (una trentina di ore da Milano a Mykolaiv), ma anche e soprattutto nelle ore di controlli alle dogane, che ci mostrano una Ucraina giovane, a volte giovanissima, e sicuramente molto poco organizzata (nessuno parla inglese).

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La seconda cosa che ci premuriamo di portare è tanta spensieratezza, pace e una frase fondamentale: ‘noi siamo qui’. E’ stato lo stesso Maksym, rappresentante dell’associazione Youth of Ukraine che ci ha accolti a Mykolaiv, a dire: ‘Gli ucraini scappano dal loro paese, voi invece venite’. Con la nostra presenza vogliamo dare supporto: non siamo soldati, non siamo politici e nemmeno pacifisti, siamo persone, volontari, umani, che vogliono portare sostegno alla popolazione che, senza una colpa, è colpita giornalmente, sia direttamente che indirettamente, da questa follia.

Nel concreto, ogni carovana è un mondo a sé: se nella prima e nella seconda abbiamo portato in Italia famiglie ucraine degli oblast dell’est, nelle altre carovane, compresa quest’ultima a Mykolaiv e Odessa, le nostre azioni si sono concentrate sulla distribuzione di cibo alla popolazione, prima nel centro ‘Youth of Ukraine’, poi in uno dei quartieri della città.

La distribuzione, però, non si vuole porre come un ‘compito asettico’: insieme a bambini, mamme e anziani, la distribuzione si è svolta con la spensieratezza delle voci dei nostri volontari che, accompagnati dalle chitarre, hanno allestito un concertino tutto italiano. Da Al Bano e Romina, a Loretta Goggi, le nostre e le loro voci si sono mischiate, le mani si sono strette, i sorrisi hanno illuminato quel parco fangoso contornato da palazzi fatiscenti. E’ lì che ci si accorge che non c’è lingua, non c’è età, non c’è barriera”.

 Cosa vi ha spinto a questa missione?

“La spinta per questa missione è la più semplice: l’umanità. Una persona non può rimanere indifferente davanti agli orrori della guerra, davanti alla gente che nel 2023 si reca al fiume per avere acqua pulita, ai bambini che giocano nelle trincee, ai militari per strada, ai check point, ai detriti nelle strade. E’ il dovere di un essere umano alzarsi ogni giorno ed ogni giorno operare le proprie energie per la pace.

Siamo consapevoli che questa non sia l’unica guerra nel mondo, e siamo consapevoli che la notizia abbia smosso molto di più rispetto ad altre guerre perché ha colpito una ‘popolazione europea’, ma le nostre azioni devono essere d’esempio per i nostri fratelli in Palestina, per i nostri fratelli in Siria, in Afghanistan e in Congo. Per una questione anche solo semplicemente geografica, noi andiamo in ucraina per i nostri fratelli non europei e viviamo con la sicurezza che anche loro facciano lo stesso nelle zone di guerra più lontane da noi”.

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In quale modo suo padre ha coinvolto la famiglia?

“La famiglia non è stata obbligata ad andare, non è stata raggirata, abbindolata, incantata a partire. Quando l’insegnamento all’interno della famiglia è orientato verso il prossimo, verso il sacrificio, verso un qualcosa che sia altro dal proprio giardinetto, allora non ci sono parole per coinvolgere. Ogni membro della famiglia ha risposto prontamente alla carovana in modo positivo, naturale e spontaneo”.

Perchè avete accolto i profughi ucraini?

“Le famiglie ucraine che abbiamo accompagnato in Italia sono state ospitate in famiglie della zona. La nostra famiglia e i volontari del territorio li aiutano con cibo, con i documenti, con la sanità. I nostri amici ucraini, tra pianti e sorrisi, sono entrati a far parte delle nostre famiglie. Quando la lingua non si comprende, gli occhi parlano, ed è allora che si vive una relazione vera e sincera”.

Per quale motivo la vostra azione di pace si rivolge anche al popolo russo?

“Noi siamo accanto alla popolazione. Ucraina, russa, italiana che sia. Non siamo per la guerra, non siamo per il conflitto, non siamo neanche per la politica, e per quanto ci sforziamo, non siamo neanche qui per cambiare il mondo. Siamo al fianco di chi soffre per colpa di qualcun altro, per chi vive i soprusi, le violenze, le ingiustizie. La popolazione non ha colpe e le condizioni in cui tante persone stanno vivendo è completamente disumana. Le lacrime di una madre russa bagnano come le lacrime di una mamma ucraina”.