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Papa Francesco a Bari. Padre Caprio spiega l’importanza dell’incontro tra Chiese cristiane

Il Papa e il Patriarca Bartolomeo |  | Vatican Media - ACI Group Il Papa e il Patriarca Bartolomeo | | Vatican Media - ACI Group

 

Nei giorni scorsi il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, ha presentato la Giornata di riflessione e preghiera sulla situazione del Medio Oriente che si terrà il 7 luglio a Bari, città che custodisce le reliquie di san Nicola, la cui Basilica è considerata un vero e proprio ponte tra cristianesimo d’Oriente ed Occidente: “Papa Francesco ci tiene molto. L’iniziativa parte da lui. Ha cercato di coinvolgere tutti i capi delle Chiese cristiane e di coinvolgerli in un’opera comune a favore della pace, sottolineando il contributo che le Chiese cristiane a livello ecumenico possono portare alla soluzione dei tanti problemi del Medio Oriente, soprattutto nei conflitti e nella ricerca della pace… I cristiani del Medio Oriente molto spesso hanno bisogno di sentire davvero vicini i loro fratelli e le loro sorelle del mondo intero. A volte, non si possono dare soluzioni immediate, però è importante che sappiano che la loro situazione sta a cuore alle Chiese. Poi certamente, sottolineeranno il contributo che le comunità cristiane possono portare alla soluzione dei problemi in rispetto dei diritti di ogni persona e di ogni gruppo”. Infatti nella Basilica pontificia è conservata la lampada uniflamma (a forma di caravella) segno dell’unica fede cattolica ed ortodossa, alimentata da due tradizioni, quella orientale e quella occidentale, come ha sottolineato una scheda dell’Istituto Teologico ‘Santa Fara’: “La lampada uniflamma che arde costantemente nella cripta dove sono custodite le reliquie di san Nicola è un importante riconoscimento che viene assegnato a eminenti personalità per il servizio reso alla promozione dell’unità dei cristiani”.

Per comprendere l’importanza dell’incontro abbiamo intervistato padre Stefano Caprio, docente di Storia della filosofia russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma: “Ci sono almeno tre precedenti che spiegano il significato di questo incontro. Uno è certamente l’incontro di Francesco con il patriarca Kirill all’Avana, nel febbraio 2016. Allora il patriarca russo chiese il dono di un pellegrinaggio in Russia di una reliquia di san Nicola, che il papa ha accontentato, facendo addirittura smurare una costola dal sarcofago del santo, che è stata mostrata a Mosca e San Pietroburgo a giugno-luglio 2017, con un immenso pellegrinaggio popolare a cui hanno partecipato 2.500.000 persone. La venerazione di san Nicola è quindi un elemento simbolico della rinnovata armonia tra Roma e Mosca, che ha generato già molti frutti di collaborazione in campo caritativo e culturale, ma anche politico ed ecumenico. All’incontro parteciperà il metropolita Ilarion (Alfeev), capo del Dipartimento per gli Affari Esteri del Patriarcato di Mosca, anche se molti avrebbero desiderato un secondo incontro con lo stesso patriarca Kirill, che tante volte si è recato a Bari come monaco, vescovo e metropolita. Verrà probabilmente il momento anche per una visita come capo supremo degli ortodossi russi, ma non pare questa l’occasione giusta. Inoltre, all’incontro del 7 luglio ci sarà il patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli, con il quale c’è forte tensione per via della questione ucraina, dove settori della Chiesa e della politica attendono da Bartolomeo il Tomos dell’autocefalia, cioè della completa separazione da Mosca a livello di giurisdizione ecclesiastica. Gli altri due precedenti sono la veglia per la pace in Medio Oriente del settembre 2013 a Roma, quando di fatto papa Francesco riuscì a fermare l’intervento americano in Siria con la forza della preghiera, e gli storici incontri interconfessionali di preghiera di Assisi, a partire dal 1986, con papa san Giovanni Paolo II. Sarà quindi la celebrazione della grande volontà dei cristiani del mondo di essere portatori di pace nell’area più problematica del mondo, e una nuova occasione di dare forza al cosiddetto ‘ecumenismo spirituale’, anche se limitato ai soli cristiani orientali e latini”.

San Nicola può essere un punto di unione tra Oriente ed Occidente?

“Il santo di Myra fu portato a Bari all’inizio del secondo millennio cristiano, e rappresenta la volontà di non perdere le radici della fede, che ci vengono proprio dall’Oriente semitico e siriaco. In tempi difficili, come ai tempi delle Crociate, le sue spoglie rappresentarono un importante surrogato della Terra Santa e degli altri santuari occupati dai saraceni, e contribuì a disegnare l’Europa cristiana dei pellegrinaggi, quella di Santiago de Compostela, di san Michele e di tanti altri ‘santi cammini’. Oggi siamo nel terzo millennio, e a maggior ragione si rende necessario questo ‘ritorno alle origini’ in un mondo secolarizzato e spesso disperato. San Nicola è una risorsa preziosa, proprio per l’amore congiunto degli occidentali e degli orientali, ma in fondo anche dei popoli nordici, che sulla sua figura hanno immaginato la purificazione del paganesimo celtico, con l’esaltazione di Santa Klaus e del messaggio natalizio della pace per tutti gli uomini di buona volontà”.

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Tale incontro potrà considerarsi un punto fermo per una nuova Ostpolitik della Santa Sede?

“Questa questione richiederebbe una lunga rilettura della politica vaticana dell’ultimo secolo e non solo, per paragonare le scelte di oggi a quelle di ieri. In breve, l’Ostpolitik vaticana era un ‘cedimento’ al nemico (il comunismo ateo sovietico) allo scopo di salvare il salvabile, e magari sperare in un futuro migliore, come in effetti è avvenuto dopo il 1989. Oggi la Russia e l’Oriente non sono più il nemico, ma le relazioni erano sospese da anni, e la Santa Sede è riuscita a vincere le diffidenze solo con papa Francesco. Sotto il santo papa polacco Giovanni Paolo II sussistevano le reciproche pregiudiziali di ingerenza, proselitismo e uniatismo, mentre sotto papa Benedetto XVI erano falliti i tentativi di rilanciare il dialogo teologico sulle questioni più spinose; la ‘via pastorale’ di Francesco, più pratica e accomodante, è riuscita a sbloccare le relazioni”.

Quali sono le difficoltà di dialogo tra la Santa Sede e le Chiese ortodosse?

“Il dialogo teologico si è arenato ormai da anni: l’ultimo tentativo era stato la discussione sul ‘primato nella Chiesa’ rifiutata dai russi, che in essa vedevano un tentativo congiunto di Roma e Costantinopoli per isolare e ridimensionare il ruolo di Mosca. Di fatto l’unico confronto possibile è sulla collaborazione pratica, evitando le questioni dottrinali; la linea degli ortodossi, in particolare quella dei russi, è che non sia necessaria alcuna ‘riunificazione’ delle Chiese, ma un semplice riconoscimento reciproco, anche senza tentare di raggiungere una piena ‘intercomunione’ sacramentale. La comune preoccupazione per i cristiani perseguitati in Medio Oriente e nel mondo, l’assistenza alle vittime della guerra, ai profughi e ai poveri di ogni latitudine costituiscono la via maestra per superare incomprensioni e pregiudizi. Molto importante sarà anche lo scambio culturale, per riscoprire le tante cose che nella storia ci uniscono. Decisiva sarà anche la questione ucraina, calderone di tutte le contraddizioni dell’Europa, dove le Chiese giocano un ruolo decisivo; un incontro tra Francesco e Kirill a Kiev sarebbe un gesto veramente profetico”.